È nata Note di Viaggio, la nuova rubrica di InLibertà.it – Australia. Uluru: il rosso primigenio

È nata Note di Viaggio, la nuova rubrica di InLibertà.it che racconta il mondo attraverso i racconti di Abha (Valentina Lo Surdo). Storie di personaggi noti e di perfetti sconosciuti, storie di paesaggi raccolte sui cinque continenti, storie di musica, di suoni e di silenzio. Ad ogni storia è abbinata una canzone, a sigillare l’ascolto del racconto attraverso l’espressione artistica che da oltre vent’anni caratterizza le esperienze di Abha. La musica dunque, passione e professione per eccellenza dell’autrice, e i viaggi, che rappresentano il nuovo campo d’azione di una reporter poliedrica, sempre alla ricerca, sempre sul cammino. 

Abha (Valentina Lo Surdo)
Abha India 2016
Nata a Roma nel 1976, è musicista (laureata in Pianoforte), musicologo (diplomata all’Accademia della Critica), nota come conduttrice radiofonica e televisiva, reporter internazionale, presentatrice e trainer di comunicazione.
Ha iniziato a lavorare come giornalista a 19 anni, scrivendo per quotidiani e riviste specializzate e curando numerosi uffici-stampa. Dieci anni più tardi si è consacrata alla comunicazione dal vivo quale conduttrice Rai, alla presentazione di eventi in Italia e all’estero e alla formazione in ambito life e business (i suoi numerosi videocorsi sono pubblicati su www.corsi.it). E’ attiva anche come voce recitante, speaker, attrice e doppiatrice, protagonista di spot audio e video. In questo ambito il suo lavoro coniuga l’approccio della voce in chiave performativa e motivazionale, il teatro, differenti approcci al potenziamento intellettivo e l’esperienza con la meditazione.
Come pianista affianca la pratica dello strumento ai suoi percorsi formativi, coinvolgendo i partecipanti ai suoi eventi in esperienze sonore. La sua passione per l’armonia (musica, comunicazione, benessere) la portano frequentemente a intraprendere viaggi internazionali che diventano, sui principali media italiani, racconti di suoni e di bellezza dal mondo.

Uluru: il rosso primigenio 

di Abha

19030439_1975588679320092_7941811551560750193_nCos’è l’Australia? Chiedetelo a Uluru. La montagna sacra capace di sprigionare i rossi autentici dell’outback, piantata nell’ombelico esatto del continente-isola. Niente può raccontare un’emozione maggiore di dormire sotto le stelle all’ombra del monolite, nella cui notte gli spiriti degli antenati si riuniscono, per narrare la creazione dell’uomo ai tempi del Dreamtime. Certo le coste bagnate da onde gigantesche, certo la natura lussureggiante delle foreste, certo Sydney o la Great Ocean Road. L’Australia ha molte ragioni che meritano l’impresa di volare fino all’altro capo del mondo ma Uluru, semplicemente, è un viaggio nel viaggio, è l’Esperienza pelle a pelle con l’essenza nativa di questa terra. Per niente facile da raggiungere, come tutte le cose uniche e preziose, per niente facile da vivere, anche solo per pochi giorni: d’estate (l’inverno da noi) infestato da milioni di mosche cui puoi resistere solo se coperto dalla testa (con cappello zanzariera) ai piedi, a una temperatura che supera i 50 gradi nelle ore centrali; d’inverno si rischia invece di scivolare nella trappola di un’escursione termica che rende le notti fredde sotto la soglia del gelo.

19029656_1974682902744003_6220085622433202846_nPer raggiungere il luogo che racconta la cultura aborigena come nessun altro, puoi arrivarci nella bambagia del lusso cacofonico predisposto da costosissimi tour organizzati. Oppure puoi affittare una macchina e calcolare bene ogni cosa: i tempi di percorrenza, le tappe dove fare rifornimento, le riserve d’acqua, dove fermarti per la notte. La città più vicina è a 460 chilometri e si chiama Alice Springs, con il suo cuore indurito dai venti del Territorio del Nord e dall’abominio del genocidio aborigeno; far west australiano dove gli indiani hanno le sembianze di questi nativi, che si aggirano come fantasmi nei bar aperti fino a tarda sera.

Io ho scelto di viaggiare da backpacker, zaino in spalla: per vivere nella massima purezza un’esperienza brutalmente edulcorata da champagne e stuzzichini impiattati di fronte ai suoi famosi tramonti, per gruppi disposti a camminare poco, supportati dai segway anche dove la natura manifesta la sua antichità più radicale. Mi sono affidata a Marion e Dinesh, due ragazzi che lavorano per Backpacker Deals, il tour operator che corrispondeva di più all’essenzialità del contatto che andavo cercando. «Prepara solo un piccolo zaino, e maglioni pesanti per la notte», sono state le loro uniche raccomandazioni che ho portato con me fino a quell’atterraggio, indimenticabile e abbacinante.

18952752_1975588565986770_6390754408137852963_nIl rosso intenso, il marrone poi il giallo delle sabbie, quindi l’aereo sterza bruscamente verso il profilo di roccia più famoso al mondo. Accolta da un improvviso profumo di mimosa, sono arrivata a Uluru per davvero. Se ho mai dubitato che la pietra fosse un organismo vivente, ora ne ho la certezza: questa roccia pulsa, pensa, parla. Le parole, le foto, i video non rendono, impossibile. A Uluru bisogna venire e basta. E la fatica di arrivare è parte del desiderio di raggiungere Ayers Rock. Ore e ore di volo verso il centro perfetto del continente, valgono a inginocchiarsi ai piedi di questo luogo solitario, che rappresenta il cuore battente dell’Australia indigena, delle origini.

Inginocchiarsi si può, forse si deve: un atto di rispetto appoggiare la testa in terra, per un popolo violato radicalmente, reciso alle radici. Vietato calpestarla, scalarla, violarla: Uluru è un organismo vivente. Ma qui comprendo che è anche più di tutto questo. È il dio madreterra padrecielo di una civiltà antica sesssantamila anni. Di cui ora restano le briciole sui marciapiedi, nei miseri disegni di “arte indigena” venduti con rituali convenevoli da donne acciambellate sui marciapiedi, davanti ai parcheggi dei pullman. Per niente inclini ad avere a che fare con noi visitatori.

18893459_1974683662743927_6935771981097570638_nSenza tante ciance, Connor ci accoglie nel nostro bus da backpacker, ci prepara un pasto frugale e alle quattro del pomeriggio del primo giorno siamo già lì, nel vivo, selvatici e liberi, ognuno con il proprio passo, a compiere il periplo della roccia in silenzio. Lontani dal caos del turismo organizzato, assistiamo alla sinfonia di rossi del tramonto: Uluru come l’Arunchala, come Tikal, come il Machu Picchu, di fronte allo spettacolo quotidiano del sole, la cultura archetipica di questo pianeta riconduce ogni civiltà a una stessa maestosa, inspiegabile bellezza.

18922062_1974683346077292_1238213912870671539_nQuando il blu neronotte si impossessa del cielo, prepariamo l’accampamento: il fuoco al centro per allontanare gli animali e riscaldarci nel sonno sulla terra rossa che si farà fredda, sistemati in gusci che non sono né sacco a pelo né letto da viaggio. Anche se il freddo è più grande di noi, la coperta di stelle è infinita e l’alba arriva così intensa che gli occhi stentano a sostenerla.

Volano le ore in questo luogo senza tempo, volano le mosche incessanti, a qualsiasi ora di questi giorni, siamo nel deserto, mica per scherzo. A ogni sosta, dentro il pullman sembrano moltiplicarsi. Ma ora che è inverno sono niente, pare che in estate le uniche ore in cui puoi camminare sono dalle 3 di notte alle 9 del mattino, perché altrimenti rischi di ritrovarti rivestito.

18920197_1974682946077332_2086152171480010438_nLa traversata fino ad Alice Springs è un altro passaggio da custodire nello scrigno di viaggio. Connor, il ragazzone alla testa dei Backpacker Deals, saluta ogni mezzo che incrociamo con un gesto liturgico. Lungo questa strada che sembra dritta e monotona, non soltanto la varietà di colori dell’erba e della terra cangia come nel rullo di un lento caleidoscopio, ma anche il bush si trasforma ogni dozzina di chilometri, sorvolato da spaventosi rapaci dalle ali nerissime, le aquile del deserto.

Eccolo qui l’outback vero, finalmente. 19030327_1975588769320083_3685972490448760646_nL’ho aspettato come nessun’altra parte di questo viaggio. Qui tutto è diverso, persino il limite di velocità è a 130, quando in tutta l’Australia puoi andare non oltre i 110. Qui anche gli aborigeni hanno caratteristiche diverse, più drammatiche che altrove, con la pelle che non è nera luccicante come quella degli africani, ma di un buio pece che sembra assorbire anche la luce dei loro sguardi. Alice Springs è la capitale dei lost, degli aborigeni che vagano su quelle gambe secche come fusi, piantate sotto un corpo largo, il più delle volte sfatto dalla dieta che li ha resi dipendenti dalle abitudini impiantate dai bianchi: alcool, zucchero e farina raffinati.

18893318_1974683196077307_7696357496948589387_nIn questa lunga traversata, ripercorro mentalmente linee geografiche che non saprei disegnare. Quanti Uluru visti oltre a Uluru! Pensavo che il monolite più largo al mondo fosse l’unico solista al centro di questo aspro deserto. E invece, nell’ombelico dell’Australia, sono ammassati in segreto così tanti tesori che ogni giorno è stata una scoperta. La conturbante varietà di rossi della Valle del Vento, il giardino dell’Eden e la città proibita del Kings Canyon, fino a Fuluru, la falsa Uluru per quanto da lontano sembri uguale, ma in realtà si chiama Mountain Connor, proprio come la nostra guida. Che intanto è cambiata: arriva Patrick, un tedesco pieno di allegria, di vita e di passione e il gruppo dei Backpacker Deals è letteralmente innamorato di lui. È giovane, bello, votatissimo su Trip Advisor, eletto miglior tour leader del mese. La sua energia ci permette di non vacillare: ti si strappa il cuore a stare così, senza poter fare nulla per i nativi. Ma Patrick sa come maneggiare questa emozione e ci invita al silenzio, all’osservazione di una cultura dalla suscettibilità imprevedibile. Ci fa comprendere cose dell’altro mondo, che per gli indigeni mettere i piedi su Uluru, la montagna che può essere solo camminata intorno, sarebbe come voler scalare la cattedrale di Notredame.

19059869_1975274512684842_1723011147078721716_nOsservo, ascolto e comprendo. Eppure nei miei 5 giorni a contatto con la montagna sacra, a volte mi sento presa dallo sconforto. Cavolo, sono venuta fin qui per voi, soprattutto per voi! A disposizione per incontrarvi e sapere come state, per raccontare la vostra storia, per riportare in modo autentico il vostro pensiero indietro in Italia!

Ma forse è proprio con questa sensazione che da qui devo tornarmene a casa. Con il tassello del puzzle mancante, con la ciambella senza buco. Il popolo di Anangu, cui il territorio di Uluru appartiene, è il più riservato, il più ritirato e forse il più ferito nella culla nativa. Con loro non hai da condividere, non hanno voglia di risponderti, e anche se li cerchi solo con lo sguardo si allontanano guardando altrove: perché mai dovrebbero fidarsi di te? E così non sai come aiutarli. L’unica cosa che accettano sono soldi, per barattare un piccolo dipinto, o una fotografia. Ma questo è l’opposto di una soluzione.

Così, da Uluru, le mie foto aborigene sono solo mentali: chiudete gli occhi, immaginate con me. Questa è l’Australia, anche questa. Terra bella e selvaggia, per molti maledetta, per molti benedetta.

19059665_1977395292472764_4830285566702411234_nL’ultimo scatto lo strappo però oltre il limite previsto dal programma: chiamo Marion, le chiedo di aiutarmi ad accendere un’ultima scintilla di magia: decido di salutare Uluru da un’altra prospettiva e l’esperienza è così sorprendentemente profonda che non sarà l’ultima. Nel giro di poche ore mi ritrovo su un aereo, sorprendentemente calma, con la montagna sotto di me. I piedi a penzoloni, il portellone aperto, un vento da togliere il respiro, “tre-two-one-go”. Quel tuffo in paracadute è il sigillo tra cielo e terra nel tempo irripetibile di un volo.

 Consigli di viaggio

Per l’esperienza backpacker e per il volo in paracadute su Uluru: Marion & Dinesh support@backpackerdeals.com

Per info:  www.backpackerdeals.com

La canzone del viaggio è: Xavier Rudd – Spirit bird

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