“14”. Un monologo al cardiopalmo

Scritto e diretto da Paolo Vanacore, interpretato da una strepitosa Carmen Di Marzo, “14” è un monologo non facile: intenso, sconcertante, carico di una violenza che si trasforma in tragedia interiore, in dolore e contro-dolore, poiché parla di una sofferenza che tocca, sebbene in modo diverso, sia vittime che carnefice.

L’arte del monologo non è facile: privilegia una dimensione intima della narrazione, che parte dalla storia per raggiungere lidi onirici e psicologici. Il monologo presuppone sempre, in scena, un invisibile specchio infranto, sul quale il protagonista può moltiplicare se stesso in una dimensione quasi medianica.

La protagonista di questa pièce è Giovanna Denne, una serial killer che si racconta dalla prigione, in una costante fusione tra passato e presente, tra delirio e lucida follia, tra sogno e realtà. Gli spazi scenici sono suddivisi e intrecciati allo stesso tempo, quasi come campi ipnotici: il tempo presente, dove Giovanna si racconta; l’angolo del flashback, dove prende vita la genesi dell’istinto omicida; la stanza dei colloqui psichiatrici, dove Giovanna passa costantemente dalla manipolazione alla ragionevolezza, consapevole di non poter perdere quell’unico aggancio con una realtà esterna al suo ormai definitivo, triste oblio carcerario; la cella, dove la solitudine la aggredisce fino a farle desiderare la morte; il sogno, dove rivive follia, eccitazione, dramma …

“D-E-ENNE-ENNE-E”.

Scandisce il proprio nome con cura, quando si presenta.

È un personaggio che focalizza la propria attenzione esclusivamente su se stesso e sull’impatto mediatico dei propri crimini. Esibisce come un vanto l’aggressività predatoria tipica della sua perversione narcisistica, della sua psicopatia.

Si tratta di una donna affascinante e crudele. Si prende il sesso dagli uomini come, solitamente, fanno gli uomini violenti con le donne. Dalle percosse passa al desiderio di veder scorrere il sangue; e da lì scende rapidamente verso l’omicidio.

È una storia attinta dalla realtà.

Nel 2013, in Inghilterra, viene arrestata la serial killer Joanna Dennehy: nell’arco di 14 giorni aveva ucciso tre uomini, e ne aveva feriti altri in una furiosa sete di sangue. Ora sta scontando l’ergastolo.

Tra gli elementi probatori in mano agli inquirenti anche un suo selfie postato sui social media subito dopo uno degli omicidi, mentre brandisce il coltello ancora insanguinato.

La sua esaltazione narcisistica totalmente amorale le fa ignorare le più elementari regole di autoprotezione: il rischio di essere catturata e condannata, postando una foto del genere, è niente rispetto al desiderio di apparire, di avere followers, di diventare famosa.

Carmen Di Marzo ha affrontato una prova attoriale davvero impegnativa e lo ha fatto al meglio, sia attraverso la comunicazione verbale, sia attraverso la mimica. Le parole sono sottolineate da una lieve balbuzie, da movimenti frenetici delle mani, da tic nervosi, da sguardi a volte sfuggenti e altre volte diretti e indagatori. L’esperienza artistica di Carmen Di Marzo emerge tutta, in questo contesto. È un’esperienza che tocca diversi campi. In primo luogo il teatro. Ha recitato in produzioni importanti, come il Berretto a Sonagli di Pirandello, con Gianfranco Jannzzo per la regia di Francesco Bellomo, opera che riprenderà in autunno al Manzoni di Milano. Dal teatro di livello arriva la sua padronanza scenica, la sua sorprendente capacità di immedesimazione. In secondo luogo la televisione e il cinema. Basti citare il recente film Arrivano i Prof, che la vede accanto a Claudio Bisio. Del cinema si porta dietro la capacità di rendere quasi visibile la telecamera che intervista Giovanna Denne. Infine, la danza, disciplina che ha praticato e pratica da molti anni e che le ha donato un’attenzione particolare al linguaggio del corpo.

Questo monologo è una ricerca di sensazioni annerite dal Male, uno stato d’animo sceneggiato, che, a tratti, richiama il dramma futurista, ma con una sviluppata capacità di comunicazione. Una comunicazione a tutto tondo. Accanto all’interpretazione di Carmen Di Marzo, infatti, hanno un ruolo essenziale la forza della parola di Paolo Vanacore, incisiva e, al contempo, musicale, dotata di un ritmo incalzante, e la musica di Alessandro Panatteri, grande musicista dai trascorsi teatrali illustri. Per questa pièce il maestro Panatteri ha creato quattordici inserti musicali che parlano quanto la protagonista, sia con le gocce di sangue che sottolineano gli omicidi, quattordici anch’esse, sia con la melodia.

“14” è un testo interessante non solo sotto il profilo puramente artistico, ma anche criminologico e storico-criminale Sinceramente, suggerirei a tutti gli avvocati, soprattutto penalisti, di andarlo a vedere. Quale componente della Commissione Cultura del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, ho proposto una serata per gli iscritti, poiché trovo davvero stimolante il meta-teatro, ossia il teatro che va oltre il puro messaggio artistico.

La nostra è un’epoca in cui sembra andare tristemente di moda il cosiddetto femminicidio, in cui sembra dilagare l’amoralità, alimentata anche dalla fama che si vuole conquistare sui social media. Portare in scena una donna assassina potrebbe sembrare una provocatoria inversione di marcia, ma non è così.

La Giovanna Denne di Vanacore è una donna con un lato maschile molto sviluppato e, quando uccide, si trasforma in vittima e carnefice al contempo. È come se in lei convivessero due persone: un uomo e una donna. La violenza maschile rende vittima la sua parte femminile.

Una frase mi ha colpito particolarmente. Vado a memoria, mi perdonerà l’autore: non sopporto le donne, sono piagnucolose, deboli; da morte, però, mi fanno pena. In questa frase c’è tutto il dualismo del personaggio, il dramma del doppio, perfettamente rappresentato anche dalla foto della locandina, dove la Di Marzo è donna e uomo al contempo, e dalla scritta sulla sua maglietta “(wo)man”.

Difficile essere sintetici nel recensire “14”. È un’opera che parla il linguaggio della violenza, ma anche della psicologia, della vittimologia, e della realtà. Soprattutto, è un’opera che parla il linguaggio dell’arte a cinque stelle: drammaturgia, interpretazione, musica. A volerla racchiudere in una frase, potrei solo dire: va assolutamente vista.

Info: bottegadegliartisti.net – Foto di Claudio Polvanesi

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