Oggi a 15 anni dagli attentati che hanno sconvolto, e potremo dire, cambiato le sorti del pianeta, occorre fermarsi a riflettere su quanto accaduto e continua ad accadere.
La mattina dell’11 settembre 2001 diciannove affiliati all’organizzazione terroristica di matrice fondamentalista islamica al-Qāʿida dirottarono quattro voli civili commerciali. I terroristi fecero intenzionalmente schiantare due degli aerei sulle torri nord e sud del World Trade Center di New York, causando poco dopo il collasso di entrambi i grattacieli e conseguenti gravi danni agli edifici vicini. Il terzo aereo di linea venne dirottato contro il Pentagono. Il quarto aereo, diretto contro il Campidoglio o la Casa Bianca a Washington, si schiantò in un campo vicino a Shanksville, nella Contea di Somerset (Pennsylvania), dopo che i passeggeri e i membri dell’equipaggio tentarono, senza riuscirci, di riprendere il controllo del velivolo. Nell’attacco alle torri gemelle morirono 2996 persone, tra queste 343 vigili del fuoco e 60 poliziotti. La maggior parte delle vittime era civile; settanta le diverse nazionalità coinvolte.
Indagini e conseguenze internazionali
L’idea degli attacchi dell’11 settembre fu formulata da Khalid Shaykh Muhammad, che per primo la presentò a Osama bin Laden nel 1996. In quel momento Osama bin Lāden e al-Qāʿida vivevano un periodo di transizione, in quanto erano appena tornati in Afghanistan dal Sudan. Gli attentati alle ambasciate statunitensi del 1998 segnarono un punto di svolta, in quanto con essi bin Laden attaccava direttamente gli Stati Uniti. Alla fine del 1998, quest’ultimo diede il proprio consenso a Khālid Shaykh Muḥammad per l’organizzazione dell’attentato.
Una serie di incontri ebbero luogo nella primavera del 1999 tra Khālid Shaykh Muḥammad, bin Lāden e il suo rappresentante Mohammed Atef: bin Lāden approvò la scelta dei capi dell’azione e garantì il sostegno finanziario e fu anche coinvolto nella scelta dei partecipanti all’attacco, tanto che fu lui a scegliere Mohamed Atta come il capo dei dirottatori. Khālid Shaykh Muḥammad fornì il supporto operazionale, selezionando gli obiettivi e organizzando i viaggi per dirottatori. Quindici dirottatori provenivano dall’Arabia Saudita, due dagli Emirati Arabi Uniti, uno dall’Egitto e uno dal Libano. In contrasto con il consueto profilo degli attentatori suicidi, i dirottatori erano adulti maturi e ben istruiti, le cui visioni del mondo erano ben formate.
Dopo alcune ore dagli attacchi, l’FBI fu in grado di determinare i nomi e, in molti casi, i dettagli personali dei sospetti piloti e dirottatori. Il giorno degli attacchi, la National Security Agency intercettò delle comunicazioni che portavano a Osama bin Laden, come avevano fatto i servizi segreti tedeschi. Gli attacchi ebbero grandi conseguenze a livello mondiale: gli Stati Uniti d’America risposero dichiarando la guerra al terrorismo e attaccando l’Afghanistan controllato dai talebani, accusati di aver volontariamente ospitato i terroristi. Le borse rimasero chiuse quasi per una settimana, registrando enormi perdite subito dopo la riapertura, con quelle maggiori fatte registrare dalle compagnie aeree e di assicurazioni. L’economia della Lower Manhattan si fermò per via della distruzione di uffici del valore di miliardi di dollari. I danni subiti dal Pentagono furono riparati un anno dopo e sul luogo fu eretto un piccolo monumento commemorativo. Le indagini ed i misteri di tale strage ha segnato il decollo della più grande Nazione mondiale, ed il conseguente incerto riassetto geopolitico e geoeconomico.
La fine è l’inizio
Fu una strage, a cui non seppi dare, all’età di 14 anni, una spiegazione, interpretazione e motivazione che potessero essere accompagnate dalle immagini indiretta televisiva. Senza nessun post o Twitter a seguire, ricordo soltanto un silenzio freddo, che aveva l’odore della certezza della morte e della violenza. Qualcosa di destabilizzante ma che fece rimanere tutti inermi ed attoniti. Dopo la fine della guerra fredda, un attacco del genere sembra essere il campanello di allarme di una nuova guerra. Molti battezzarono l’accaduto come l’inizio della III guerra mondiale, e forse, dopo 15 anni può essere solo che data conferma. La potenza americana, studiata sui libri di storia e di politica internazionale, è sempre stata presentata come opportunità, innovazione, crescita e libertà. Il New Deal, il piano Marshall sono sempre stati esempi da inseguire e seguire nello scenario internazionale. Ma, ricordo nel corso degli anni, che l’America fu anche il Paese della discriminazione, e prima ancora dello spionaggio dei servizi, e in ultime con le operazioni di peace-keeping in medio oriente. Il potere, ed è la storia che ne dà voce e riscontro, molte volte nasce a discapito di qualcun altro, in cui c’è uno che vince ed uno che perde. Che gli Stati Uniti abbiano condotto una politica internazionale di opinabile pensiero è dato certo, ma che si siano fatti “fregare” così è stato di gran lunga sconcertante. Dopo 15 anni, più consapevole della pericolosità di una incertezza sempre alle costole, sia essa di terrore o di una economia allo sbando, penso fermamente che non tutto è possibile prevedere e programmare, ma che sia possibile intervenire. Non parlo di un rapporto causa effetto, ma di una determinazione internazionale che abbia delle solide basi e prospettive. Se fino all’11 settembre del 2001, la parola attentato terroristico era riferita alle torri gemelle, oggi per la moltitudine di eventi terroristici non riusciamo più a ricordarli tutti, e questo innesca un meccanismo di convivenza con la paura. Quando ci abituiamo all’idea che non possiamo reagire ad una situazione brutta, scomoda e deleteria e ci adattiamo alla pericolosità del non senso civico, allora significa che l’uomo comincia ad attuare un processo di regressione in termini sociali, economici e civili. L’incertezza di non sapere, di non riuscire, di non essere certi provoca alienazione e standardizzazione, con fenomeni di devianza comportamentale e criminale. Nessun comportamento è fine a sé stesso. Con ciò voglio intendere una presa di consapevolezza maggiore del nostro agire e pensare quotidiano. Credere, nell’era del world wide web, che dietro ogni bombardamento mediatico sia tutto vero, è da irresponsabili. Se la nascita e la morte sono due certezze oggettive, penso che sia necessario trovare un’oggettività nell’interpretazione della realtà e della nostra vita, che si allontani il più possibile dall’errore. La violenza umana richiede interventi interni ed esterni che devono richiamare il rispetto della società umana.
Attuali e cariche di verità sono le parole di Charlie Chaplin, in il Grande Dittatore, che dedico a tute le vittime di terrorismo.
“Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, ma non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci. Al mondo c’è posto per tutti. E la buona terra è ricca e in grado di provvedere a tutti.
La vita può essere libera e bella, ma noi abbiamo smarrito la strada: la cupidigia ha avvelenato l’animo degli uomini, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell’oca, verso l’infelicità e lo spargimento di sangue. Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi dentro. Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciato nel bisogno. La nostra sapienza ci ha resi cinici; l’intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d’intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto. L’aereo e la radio ci hanno avvicinati. E’ l’intima natura di queste cose a invocare la bontà dell’uomo, a invocare la fratellanza universale, l’unità di tutti noi. Anche ora la mia voce raggiunge milioni di persone in ogni parte del mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che costringe l’uomo a torturare e imprigionare gli innocenti. A quanti possono udirmi io dico: non disperate. L’infelicità che ci ha colpito non è che un effetto dell’ingordigia umana: l’amarezza di coloro che temono la via del progresso umano. L’odio degli uomini passerà, i dittatori moriranno e il potere che hanno strappato al mondo ritornerà al popolo. E finché gli uomini non saranno morti la libertà non perirà mai.
Soldati! Non consegnatevi a questi bruti, che vi disprezzano, che vi riducono in schiavitù, che irreggimentano la vostra vita, vi dicono quello che dovete fare, quello che dovete pensare e sentire! Che vi istruiscono, vi tengono a dieta, vi trattano come bestie e si servono di voi come carne da cannone. Non datevi a questi uomini inumani: uomini-macchine con una macchina al posto del cervello e una macchina al posto del cuore! Voi non siete delle macchine! Siete degli uomini! Con in cuore l’amore per l’umanità! Non odiate! Solo chi non è amato odia! Chi non è amato e chi non ha rinnegato la sua condizione umana! (sic)
Soldati! Non combattete per la schiavitù! Battetevi per la libertà! Nel Vangelo di san Luca è scritto che il regno di Dio è nell’uomo: non in un uomo o in un gruppo di uomini ma in tutti gli uomini! In voi! Voi, il popolo, avete il potere di rendere questa vita libera e bella, di rendere questa vita una magnifica avventura. E allora, in nome della democrazia, usiamo questo potere, uniamoci tutti. Battiamoci per un mondo nuovo, un mondo buono che dia agli uomini la possibilità di lavorare, che dia alla gioventù un futuro e alla vecchiaia una sicurezza.
Promettendo queste cose i bruti sono saliti al potere. Ma essi mentono! Non mantengono questa promessa. Né lo faranno mai! I dittatori liberano se stessi ma riducono il popolo in schiavitù. Battiamoci per liberare il mondo, per abbattere le barriere nazionali, per eliminare l’ingordigia, l’odio e l’intolleranza. Battiamoci per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso conducano alla felicità di tutti. Soldati uniamoci in nome della democrazia!”
di Giovanni Sacchitelli
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