4 giugno 1944, 80 anni fa la liberazione di Roma

40 anni

Liberazione di Roma. Esattamente 80 anni fa, il 4 giugno 1944, le truppe tedesche di occupazione abbandonarono Roma. L’evento fu più volte narrato a chi scrive dalla madre, allora sedicenne. Dalle finestre della sua abitazione, in Via Salaria, all’alba, vide due file di soldati tedeschi marciare sui marciapiedi, in un silenzio assordante. Un’analoga fila indiana di soldati che, probabilmente, ripiegavano dal fronte meridionale, vide mia suocera sulla Via Casilina.

La liberazione fu quindi un evento assolutamente incruento. Ciò dette modo al giornalista ed ex partigiano piemontese Giorgio Bocca di esprimere la sua opinione “nordcentrica”. Roma sarebbe stata l’unica città italiana del centro-nord a non precorrere l’arrivo degli alleati con un’insurrezione. In realtà Roma era insorta già il 9 settembre 1943, con la costituzione del CLN Italia. Con i morti di Porta San Paolo, della Montagnola e al Ponte della Magliana. Per un totale di 1700 caduti e diecimila deportati in Germania nei 268 giorni di occupazione.

La liberazione di Roma non fu preceduta dal ‘segnale dell’elefante’

Le centrali partigiane romane, alla vigilia della liberazione, erano pronte da tempo a mobilitarsi per mettere in difficoltà la ritirata dei tedeschi. Lo ha più volte affermato la comandante partigiana romana Carla Capponi. Lo ha confermato addirittura il futuro Presidente Pertini. In un libro sulle Brigate romane di GL si spiega che si attendeva “Il segnale dell’elefante”. Un segnale, però, che non venne mai. Perché?

Fu il Vaticano ad agire dietro le quinte per evitare che la liberazione di Roma si tramutasse in un massacro. Si sapeva che tedeschi avevano minato i ponti sul Tevere. Il giorno 2 giugno il Papa ammonì: «Chiunque osi levare la mano contro Roma, si macchierà di matricidio». Il messaggio, rivolto principalmente ai partigiani, fece effetto in particolare sulla fazione cattolica.

Ma anche il socialista Nenni che, come De Gasperi, si era rifugiato in territorio Vaticano (Palazzo Lateranense) ne rimase colpito. Temeva per la sorte dei suoi compagni di partito Giuseppe Gracceva, Giuliano Vassalli e Bruno Buozzi, prigionieri a Via Tasso. Lo stesso 2 giugno la giunta militare del CLN si accordò con gli alleati che non ci sarebbe stata l’insurrezione partigiana di Roma. Il giorno dopo il generale britannico Alexander emise un comunicato radio in tal senso rivolto ai partigiani.

Le trattative diplomatiche della Santa Sede

Nel frattempo Pio XII aveva dato istruzioni al futuro Papa Giovanni Battista Montini e all’altro pro-segretario di Stato Domenico Tardini. La proposta fatta pervenire alle due parti combattenti era quella che gli alleati non avrebbero attaccato, consentendo ai tedeschi di lasciare Roma senza subire vittime. I tedeschi, a loro volta, non avrebbero dovuto effettuare rappresaglie sulla popolazione o danni alle abitazioni.

Alle ore 22:30 del 3 giugno, l’ambasciatore tedesco in Vaticano von Weizsäcker presentò a Montini e Tardini la richiesta che il centro di Roma fosse riconosciuto “città aperta”. In tal modo il giorno dopo, per alcune ore, nessuna formazione militare armata avrebbe operato nella Capitale. Il Vaticano provvide immediatamente a trasmettere tale richiesta agli alleati. Subito dopo iniziò la ritirata che abbiamo già descritto in premessa.

La liberazione non fu totalmente incruenta

Le SS non vollero però liberare i prigionieri politici sottoposti a pesanti torture reclusi nel famigerato carcere di Via Tasso. Per intercessione di Pio XII rilasciarono soltanto il comandante delle Brigate Matteotti Giuliano Vassalli, futuro presidente della Corte costituzionale.

Gli altri furono stipati in due camion. Quello in cui era stato condotto Peppino Gracceva, però, ebbe un guasto al motore e non ci fu tempo di farlo partire. Quello in cui si trovavano Bruno Buozzi ed altri 13 prigionieri, invece, seguì il suo tragico destino. Giunti a La Storta, i prigionieri furono fatti scendere e poi trucidati. Un cippo sulla Via Cassia ricorda il loro estremo sacrificio.

I primi reparti di americani, guidati dal generale Clark, giunsero dopo il tramonto del 4 giugno. Ma furono pochi i romani ad accorgersi dell’inizio della liberazione perché c’era il coprifuoco. Ancora all’alba del 5 giugno, un reparto di guastatori tedeschi tentò di far saltare il ponte ferroviario sull’Aniene. Furono fermati dal dodicenne Ugo Forno che, con le armi in mano, condusse un’ultima azione contro i nazisti. Riuscì nel suo intento ma perse la vita, insieme a Francesco Guidi, mentre altri due compagni rimasero feriti.

La liberazione di Roma e le sue conseguenze storico-politiche

Alle otto del mattino del giorno 5, i romani si riversarono in massa per le strade a festeggiare i “liberatori”. Mentre sfilavano gli alleati furono accolti dalla folla che gridava di giubilo e sventolava bandiere. Le ragazze elargirono loro baci e abbracci e, per sdebitarsi, i soldati distribuirono cioccolatini e caramelle ai bambini. Lo stesso giorno, gli anglo-americani furono ricevuti in Vaticano dal Papa.

Dal punto di vista strettamente “politico” la liberazione di Roma comportò, come da precedenti accordi, il ritiro a vita privata di Re Vittorio Emanuele III. Le funzioni di capo dello Stato furono assunte dal figlio Umberto, in qualità di Luogotenente del Regno. Il governo militare del maresciallo Badoglio rassegnò le dimissioni. Entrò in carica il primo governo politico formato dai partiti antifascisti e guidato dal socialista riformista Ivanoe Bonomi. Una nuova pagina della storia d’Italia si stava scrivendo.

Foto di Serghei Topor da Pixabay

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