Quando sentiamo pronunciare il nome di Sandro Filipepi, meglio noto come il “Botticelli “ (Firenze, 1445-1510) si affacciano alla nostra mente alcuni dei capolavori d’arte del ‘400, tra cui la “Primavera” e “La Nascita di Venere”. Se a tutti è nota la genialità dell’artista in questione, in pochi ne conoscono il lato giocoso. Pare infatti che fosse solito architettare scherzi a chicchessia ed addirittura sono state scoperte delle frasi burlesche all’interno delle sue opere.
Il primo a parlare della sua vena goliardica fu lo storico d’arte Giorgio Vasari (1511-1574) che lo definì “una persona molto piacevole e faceta e sempre baie e piacevolezze si facevano in bottega sua, dove continuamente tenne a imparare infiniti giovani, i quali molte giostre e uccellamenti usavano farsi l’un l’altro”. In effetti – come scrive Alessandro Cecchi, Direttore della Galleria Palatina e Appartamenti Reali di Palazzo Pitti e del Giardino di Boboli – “Botticelli era assai distante dagli esiti eterei della sua pittura bagnata di neoplatonismo ficiniano, frutto di serrati confronti iconologici con filosofi e poeti della corte medicea. Aspetto, questo che fornisce ulteriore conferma del fatto che Botticelli si trovò, soprattutto rispetto ai suoi celebri dipinti, ad essere regista che traduceva in immagini una sceneggiatura da altri vergata”.
Del resto, vivendo in un borgo caotico, l’artista era assai assuefatto alle celie dei garzoni, agli schiamazzi e ai clamori, dunque non è difficile immaginare che dietro la “seriosità” dell’arte si potesse nascondere anche una vena ironica dai connotati fortemente popolani. Anche il poeta Agnolo Poliziano nei “Detti piacevoli” narra di uno stratagemma escogitato dall’artista per non prendere moglie. Di recente, alcuni ricercatori hanno individuato delle frasi che avallano l’irriducibile scanzonatezza di Botticelli, celate nel libro di geometria alle spalle del Sant’Agostino.
Parliamo appunto del “Sant’Agostino nello studio”, dipinto nel 1480 con tecnica ad affresco su muro e situato nella Chiesa di Santa Lucia d’Ognissanti. L’opera fu commissionata dall’importante famiglia fiorentina dei Vespucci. Come accennato, osservando con attenzione lo scaffale all’altezza della testa del Santo, si può vedere chiaramente che i libri sono appoggiati frontalmente e non con il dorso. Uno di questi è aperto e vi sono disegnati dei triangoli con i teoremi di Pitagora e le relative dimostrazioni. Qui si legge chiaramente una sorta di filastrocca che recita:
“Dov’è fra Martino? É scappato. E dov’è andato? É andato fuor dela Porta al Prato”.
La frase infamante era indirizzata al camerlengo del convento che non pagava i conti o forse era riferita alle scappatelle di un frate, scoperto proprio dal Botticelli mentre lavorava nella Chiesa. Il frate era poi fuggito in campagna fuori dalle mura cittadine per evitare al vergogna.
di Simona Mazza
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