Tutta la metamorfosi del culto, da speranza sociale a oppio dei popoli
Esiste un limite oltre il quale la coscienza batte un colpo anche nel cuore degli esseri più insensibili. Il varco che porta al superamento di tale limite, l’umanità lo sta oltrepassando proprio sotto i nostri occhi, nel bel mezzo della nostra, tenebrosa generazione. La linea di confine tra il consentito e l’inaccettabile è già alle nostre spalle, quasi dimenticata. E, ironia della sorte, la causa ultima del decadimento globale a cui stiamo assistendo è esattamente l’ideale in cui l’uomo ha sempre riposto le proprie speranze: la religione.
Dal dilemma immigrazione alla minaccia terroristica, passando per una convivenza interrazziale sempre più tesa: tutto ciò che maggiormente ci preoccupa è riconducibile alle questioni di fede, a quelle differenze di confessione che di fronte a un identico obiettivo (un dio, o un essere superiore) preferiscono la prevaricazione e il potere. A farne le spese non è più solo la libertà, di opinione, di pensiero e di religione. No, a farne le spese è oramai la sopravvivenza stessa della gente.
Basti pensare al significato intrinseco, pressoché scomparso, del termine stesso “religione”. I più comuni dizionari lo traducono anche “rispetto”. Va da sé che, nella ricerca del trascendentale, l’uomo ha perso qualche pezzo per strada. Il tutto, poi, va a fondersi con il desiderio di potere e con gli interessi politici ed economici, roba dannatamente materiale della quale, però, il mondo religioso si occupa molto, molto da vicino.
La verità è che il culto è cambiato. Se prima era una fonte di speranza, di pace interiore, di serenità, un effetto benefico, qualcosa in cui riporre le proprie aspettative, oggi è tutt’altro. È la causa del problema, non più la sua risoluzione. È motivo di divisione, non più collante sociale. È motivo di pazzia. E, restando in tema, il pensiero di Karl Marx somiglia sempre più a una profezia: la religione sta via via trasformandosi nel vero oppio dei popoli.
di Antonio Fioretto
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