Il Comandante, narrazione corretta rispettosa della verità

il comandante

Il Comandante, il film di Edoardo De Angelis, pur accolto con favore dal pubblico, ha dato luogo a reazioni negative sui media subendo una sorta di condanna politica come opera di ispirazione retriva se non addirittura fascista. Non mi interessa qui confutare un giudizio che non condivido, ma mi dolgo del fatto che una interpretazione errata dell’opera ne abbia compromesso il bellissimo messaggio umano e civile.

Una premessa metodologica

Qualsiasi opera narrativa che attenga a fatti realmente accaduti, deve obbedire a regole filologiche. Il termine “filologia” appartenente alla linguistica e alla letteratura ha da tempo assunto un significato più ampio: è filologico tutto ciò che nell’interpretare la narrazione o la ricostruzione d’un evento del passato lo  inserisce, lo inquadra, nel contesto storico, politico e culturale del suo tempo. L’episodio si svolge nel 1940 ed è la storia d’un sommergibile italiano che affonda un mercantile ritenuto al servizio del nemico. Il suo comandante, unitamente al suo equipaggio, salva i naufraghi e li porta in salvo in un porto neutrale. Il tutto si svolge in pieno conflitto mondiale, in pieno clima bellico, in uno scenario di battaglie per mare.

Il quadro d’insieme

Siamo in un quadro complesso in cui le scelte individuali debbono rispondere alle regole disumane della guerra, ai comandi ineludibili delle gerarchie militari, alla logica dell’offesa spietata e della difesa disperata. Siamo nell’aura dominante dell’eroismo, del sacrificio, dell’amor patrio illimitato, dell’esigenza primaria del vincere o morire. C’è il disprezzo della vita altrui e l’oblio della propria. C’è la visione del “nemico” come personificazione del male. I protagonisti della vicenda parlano, agiscono, sentono come ogni italiano, e soprattutto ogni militare, sentiva, parlava e si comportava a quel tempo.

Una parentesi umanitaria

Il comandante Salvatore Todaro, nel film interpretato da Pierfrancesco Favino, non fa eccezione, opera in questo quadro d’assieme: è un militare, un uomo di mare, un italiano chiamato a servire la Patria. Il film non ne fa un antieroe, un dissidente, un ribelle al sistema. Il suo gesto, che lo espone a pericoli e a dure censure (sarà convocato addirittura dall’ammiraglio Dönitz) è una parentesi etica e umanitaria che si insinua come un episodio isolato nella sua diurna condotta di soldato in guerra. La sua iniziativa anomala nasce da una sorta di crisi di coscienza di fronte alla tragedia di un gruppo di uomini che sta perdendo la vita in un terribile naufragio conseguente al siluramento della loro nave. È un atto che non contravviene alle contrapposizioni della belligeranza ma che cerca fra le   regole spietate della guerra uno spazio per la pietà e la solidarietà umana. In questa contrapposizione fra la disumanità della guerra e la coscienza umana, fra lo scenario tragico di quel momento storico e la retorica e la menzogna che cercavano di giustificarlo, il gesto di Salvatore Todaro si eleva a simbolo d’una apertura d’orizzonti, d’una silenziosa condanna di ogni odio perverso, d’ una inconscia ribellione alla scelta di morte.

Buona visione

Merito del film di aver fatto affiorare l’immenso significato di un gesto d’umanità senza dimenticare o travisare lo sfondo storico reale.

Quanto al Fascismo, se ne parla solo per bocca del gruppo ostile dei naufraghi che tentò un sabotaggio, alla qual parola il comandante reagisce dicendo di sé e dei suoi: siamo italiani, soldati e uomini di mare.

Questo è un modo di narrare rispettoso della verità, filologicamente corretto e letterariamente (perché il cinema è letteratura) valido.

Buona visione per chi non lo abbia ancora visto.

Fonte foto: pagina ufficiale Facebook di Pierfrancesco Favino

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