Berlusconi, Bersani e Bossi: tre leader in picchiata

La casta partitica trasversale sembra aver individuato, nei tre leader dei partiti più importanti del Paese, l’origine dei problemi  della nazione e deciso senza tanti preamboli di farli fuori dall’agone politico. Questo, secondo il vociferare delle basi partitiche, è quanto sembrerebbe stia avvenendo. Tuttavia, pur se  per motivi diversi, il risultato sarà lo stesso: l’allontanamento di Berlusconi, Bersani e Bossi dai vertici dei propri partiti.

Per il presidente del Consiglio, ormai 75enne, appesantito e con parrucchino trapiantato sempre ben pettinato, il congedo dal vertice del Pdl, pur se già festeggiato a favore di Alfano come una scelta propositiva al partito, sta arrivando di fatto per i suoi errori personali. Negli ultimi anni il cavaliere con i suoi comportamenti da comico e le sue uscite grottesche ha evidentemente abusato della fiducia del proprio elettorato, tradendolo con situazioni a dir poco ridicole: dalle feste di Arcore, alle leggi ad personam, fino alle sue uscite inopportune avvenute spesso in contesti internazionali e nei confronti di leader mondiali. Ricordo la battuta fuori luogo nei confronti del presidente finlandese Tarja Halonen, quando (ironicamente?) disse “Ho fatto la corte al presidente della Finlandia pur di convincerla” a lasciare a Parma la nuova istituzione europea sugli alimenti, ambita anche dalla Finlandia; il comportamento da clown assunto nei confronti del cancelliere tedesco, quando giocando a nascondino fece il cucù ad Angela Merkel; la foto con le corna al vertice dei ministri degli Esteri europei (ruolo che ricopriva ad interim); fino alla battuta nei confronti di Obama sul colore della sua pelle. Atteggiamenti e uscite, pur se divertenti e simpatiche in contesti amichevoli, inopportuni e di pessimo gusto per un capo di governo.  Ora, in un momento difficile per tutti i leader mondiali dovuto alla crisi economica internazionale, ma direi soprattutto per la scomposizione interna al suo partito, Silvio Berlusconi sembra essere davvero arrivato al capolinea politico.

Così, per motivi diversi, sembra essere arrivato il declino di Pierluigi Bersani. L’attuale segretario del Pd, troppo tenero e poco carismatico per fare il capo di un movimento con più correnti dell’Oceano Pacifico, pagherebbe la sua mancanza di efficacia politica. Effettivamente da quando prese in mano il timone del Partito Democratico egli non ha mai dimostrato incisività nel fare opposizione al governo e soprattutto non è mai stato amato dalla parte democristiana del suo partito. Sbagliando spesso strategie politiche e tempi attuativi di queste, a partire da quando s’arrampicò sul tetto della facoltà di architettura di Roma per protestare contro la riforma Gelmini, gesto effettuato poche ore prima da Antonio Di Pietro. E poi l’affaire Penati e il recente mancato appoggio alla proposta di legge sull’abolizione delle Province presentata dall’Idv hanno dato la spallata finale all’uomo su cui anche Massimo D’Alema aveva puntato molto.

Pure per il leader della Lega pare sia giunto l’ultimo giro di giostra. Ormai la forza di Maroni interna alla Lega, le capacità politiche e istituzionali dimostrate negli anni dallo stesso ministro dell’Interno e la lucidità politica sempre più scarsa del Senatur stanno chiudendo il ciclo politico di Umberto Bossi. Inoltre il leader della Lega paga anche il tentativo di nepotismo ostinato e più volte ostentato nei confronti del “Trota”, suo figlio Renzo.  

Ma per fare politica non basta avere un genitore leader, o essere “l’amico del giaguaro”, c’è bisogno di carisma, di pragmatismo, di consenso, di capacità persuasive, politiche e istituzionali. Qualità che sempre meno uomini politici posseggono.

Enzo Di Stasio  

Foto: scappo.it – politica24.itilquotidianoinclasse.it – informazionescorretta.blogspot.com

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