La Libia post Gheddafi è una terra sconquassata dalla disorganizzazione e dal caos. Così in assenza di un’autorità centrale di controllo, l’eredità culturale e religiosa del paese è in grave pericolo.
A soffrire, dal punto di vista archeologico, è il tessuto storico della città, un territorio immerso in un mirabile paesaggio culturale. Fortunatamente, i siti più importanti del paese nordafricano, tra cui Leptis Magna (patrimonio mondiale dell’Unesco) al momento sono salvi.
Per gli studiosi, si tratta di luoghi fondamentali per la conoscenza della civiltà romana, per i turisti sono fonte di forte impatto emotivo, in cui rifulgono ancora tutto lo splendore e la seduzione delle province africane dell’Impero.
Con la caduta della Jamahiriyya, la democrazia diretta di Gheddafi, il Dipartimento di Archeologia ha iniziato un percorso di valorizzazione e tutela del patrimonio. La missione ha coinvolto anche il nostro Paese, impegnato nelle zone di Leptis Magna e Tripoli già dal 2011.
All’indomani della morte di Gheddafi è iniziata infatti una missione patrocinata dall’Unesco, che aveva come fine quello di valutare lo stato di conservazione dei siti.
All’epoca, la situazione non era particolarmente preoccupante, ma successivamente un gruppo di salafiti ha preso d’assalto tutti i luoghi santi e marabutti, considerati indecorosi secondo i dettami del Corano e così le statue antiche, oggetto delle attenzioni degli estremisti, sono state trasferite in musei più sicuri.
Purtroppo le città storiche, tra cui la stessa Tripoli italiana, hanno subito feroci attacchi e numerosi edifici dell’epoca coloniale sono stati demoliti in nome dell’ideologia purista, ma anche della speculazione edilizia che sfrutta l’onda dell’intolleranza.
Oggi, intere regioni sono coinvolte dalla furia delle fazioni avverse e dalla politica corrotta.
In Cirenaica ad esempio una parte degli abitanti vorrebbe appropriarsi delle terre (confiscate durante il regime fascista) per creare un’area archeologica, ma le battaglie vengono puntualmente vanificate dall’azione delle ruspe, che devastano interi siti per dare spazio a nuove costruzioni.
Altrove si assiste a ripetuti saccheggi dei tombaroli, impegnanti nel traffico clandestino internazionale.
In Tripolitania fortunatamente il fenomeno è risibile, poiché i corredi funebri delle tombe, situate a grosse profondità, non sono particolarmente appetibili.
In Libia, dove attualmente non c’è alcuna guerra, si potrebbe sicuramente lavorare al meglio per recuperare e preservare i tesori archeologici, purtroppo però vi sono una serie di ostacoli che impediscono un regolare flusso di informazioni e dunque i lavori sono puntualmente rallentati dai vari intoppi.
Ad esempio, su rete non esiste un sito archeologico ufficiale per la consultazione e lo scambio di informazioni.
Non esiste altresì un registro online dei monumenti e dei principali reperti mobili libici.
Il pericolo maggiore deriva comunque dall’imprevedibilità dei fanatici.
La stessa Unesco, che ha un ruolo istituzionale importante, non è in grado di incidere sulla realtà, pertanto il rischio che si corre è quello di dover assistere impotenti all’ennesima apocalisse di pietre, senza per altro che la Comunità Internazionale prenda adeguati provvedimenti.
Oggi il Ministero degli Esteri Italiano ha sconsigliato agli archeologi di Roma Tre, impegnati nelle Missioni in Libia, di tornare.
Ancora una volta dunque la politica frena gli slanci di chi crede nella necessità di recuperare i valori locali, in nome di fantomatici accordi e scaltri interessi diplomatici, tesi questi ultimi a scatenare lotte intestine, su cui poi avventarsi per “ricostruire” la realtà speculando sulle guerre altrui.
In attesa di tornare in Libia, i nostri archeologi hanno previsto l’uso di un database in tre lingue (arabo, italiano, inglese) per confrontarsi e cooperare con i colleghi nordafricani.
Interessante è anche la proposta di utilizzare mappe satellitari ad alta risoluzione, ad oggi usate solamente in ambito militare, per identificare distruzioni ed abusi edilizi nelle zone d’interesse.
di Simona Mazza
foto: it.wikipedia.org
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