Il Consiglio d’Europa ha condannato l’Italia per la mancata applicazione dell’articolo 9 della legge 194 sull’aborto.
La sanzione, arrivata “ a causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza”, era già nota da oltre quattro mesi, ma la ministra della Salute Beatrice Lorenzin ha prontamente smentito i dati sciorinati dal Comitato europeo dei Diritti Sociali.
Secondo i dati dell’Osservatorio italiano sui diritti Vox, (relativi al 2011) nel nostro paese attualmente “ gli obiettori 69,3% del totale del personale addetto”, almeno così si legge sul sito wwwvoxdiritti.it, mentre nel 1983, cinque anni dopo la promulgazione della legge, essi erano il 59,1%.
Se in Italia sette medici su 10 sono obiettori di coscienza, nel Lazio sono addirittura otto e per questo le donne hanno lanciato una petizione su change.org per chiamare in causa il Presidente della Regione Nicola Zingaretti.
La ministra Lorenzin ha tuttavia precisato in una nota che “Il carico di lavoro per i ginecologi non obiettori negli ultimi trent’anni si è dimezzato, passando da 3.3 aborti a settimana nel 1983 agli attuali 1.7, considerando 44 settimane lavorative in un anno. Anche il calcolo eseguito per ciascuna regione italiana conferma un impegno di lavoro congruo per i non obiettori: si va da un minimo di 0.5 Ivg (interruzione volontaria gravidanza) a settimana della Val d’Aosta a un massimo di 4 Ivg a settimana per il Lazio”.
Ha poi sostenuto che “Appare difficile, a fronte di tali dati, sostenere che il numero elevato degli obiettori di coscienza sia un ostacolo per l’accesso all’Ivg”, per poi dichiarare di aver “già avviato, insieme alle regioni, un monitoraggio” presso consultori e strutture sanitarie, al fine appunto di raccogliere meglio i dati da inviare al Consiglio d’Europa.
A dire il vero il tempo per fornire tali dati è già abbondantemente scaduto ed è proprio per questo che l’Italia è stata condannata per violazione dell’articolo 11 della Carta sociale europea, che tutela il diritto alla salute e il principio di non discriminazione e rischia pesanti sanzioni.
La cosa che preoccupa è tuttavia la rete parallela di aborti clandestini che non accenna affatto a diminuire, mentre parecchie donne sono costrette a rivolgersi all’estero per ricorrere alla pratica in maniera più discreta.
Per evitare il ricorso a pratiche pericolose, dal 1 marzo è partita la campagna “Mai più clandestine”, attraverso la quale le donne chiedono che l’aborto venga garantito e tutelato in tutte le strutture ospedaliere (pubbliche e convenzionate) nelle quali la proporzione fra medici favorevoli all’aborto e non, sia adeguata.
A tal proposito infatti precisiamo che la legge 194 affida alle Regioni la responsabilità della sua piena applicazione anche attraverso la mobilità del personale.
La direttiva era stata ribadita anche nel 2012 dal Comitato nazionale per la bioetica che aveva raccomandato “forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atte a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori”, ma ad oggi le strutture hanno spesso fatto orecchio da mercante.
In difesa dell’articolo 194 intanto sabato a Roma, si è svolto un corteo composto da vari collettivi e movimenti femministi, che dal consultorio di piazza dei Condottieri ha raggiunto il reparto di ostetricia e ginecologia della Sapienza.
La manifestazione è stata organizzata a sostegno della campagna spagnola “Yo Decido” che protesta contro il governo Rajoy. I movimenti ribadiscono che l’obiezione di coscienza dei medici contro il diritto alla libera scelta delle donne in materia di aborto, è un fatto molto grave che rischia di produrre effetti disastrosi.
di Simona Mazza
foto: pourfemme.it
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