MONTECITORIO (Roma) — «La candidatura di Prodi non c’è più». L’ha dichiarato Matteo Renzi subito dopo la conclusione del quarto scrutinio che ha, di fatto, bruciato il nome del professore proposto dall’establishment piddìno quale candidato ufficiale alla presidenza della Repubblica. Il nome era stato annunciato in mattinata dopo i dissapori promanati dalla mancata adesione intorno alla figura di Marini – la cui nomina era stata fortemente criticata dallo stesso sindaco di Firenze, che aveva poi fatto convogliare i voti dei “renziani” verso Sergio Chiamparino – ed ha causato la rottura di ogni intesa con il Pdl che, per protesta, non ha partecipato alla quarta votazione.
Prodi ha ottenuto 395 preferenze, almeno un centinaio in meno del previsto, considerato che Pd e Sel fanno contare, indipendentemente dai delegati regionali, 463 seggi. «Un problema prima politico, poi numerico», segno che la linea di Bersani non ha convinto i più. Gran parte dei renitenti ha virato su Stefano Rodotà, candidato sostenutissimo dai Cinque Stelle in ossequio ai risultati delle «Quirinarie», e grande anelito della base elettorale del Pd.
Ma la sorpresa è Anna Maria Cancellieri: ministro dell’Interno dell’ultimo governo, rappresenta una figura super partes che riuscirebbe a conciliare destra e sinistra. Candidata alla presidenza della Repubblica da Mario Monti (Scelta civica), ha raggiunto quota 78 preferenze; non poche, se si considera che il partito centrista è limitato a 64 seggi parlamentari – e che quindi i voti sono pervenuti anche da sponde diverse – e soprattutto che il Pdl sarebbe immediatamente disposto ad aggrapparsi a quest’opportunità.
Nei bersaniani divampano i primi malumori e si fa viva l’imminente urgenza di una riunione interna per stabilire quale sia la nuova linea del partito, dopo la rinuncia del professore («chi mi ha portato a questa decisione deve farsi carico delle sue responsabilità»). «Il Partito Democratico ha solo qualche ora per rinsavire», dice Sandro Gozi, mentre Rosy Bindi annuncia le sue imminenti dimissioni dalla presidenza del partito: «Non sono stata coinvolta in nessuna decisione e non voglio prendermi colpe in questo senso». Franco Prodi, fratello di Romano, sostiene che il Pd è in una situazione da cui sarà difficile uscire «perché la gente non è più disposta ad appoggiarlo».
Intanto Sel fa sapere che, in attesa di direttive, il candidato che sosterrà nella quinta votazione – stamattina, alle 10.00 – sarà proprio quello più caro agli elettori: Stefano Rodotà. Il noto giurista ha conseguito un ottimo risultato, che va decisamente oltre la sola adesione dei Cinque Stelle: 213 preferenze. Dato il successo, Grillo rincara la dose: «Non abbiamo mai pensato di votare Prodi, il nostro candidato resta il grande professore Stefano Rodotà».
Quindici voti sono quelli ottenuti da Massimo D’Alema, una delle figure più papabili al principio della disputa, su cui potrebbe riaprirsi un accordo con gli “azzurri”; i renziani fanno però da contraltare e negano una possibilità di questo tipo – «Ragazzi, per piacere…», risponde Renzi ai cronisti televisivi, «grazie mille, buonasera». Scomparsi anche i nomi di Emma Bonino e di Gino Strada che pure erano personalità apprezzate da entrambi gli schieramenti.
Il Pdl e la Lega non hanno affatto digerito la sterzata intransigentista dei piddìni: «I democratici sono in balìa di Grillo e dei sui diktat», attacca Daniela Santanchè, soddisfatta dal risultato eloquente delle urne. Berlusconi si prepara quindi a chiudere per un rapido accordo con Scelta civica con cui opporsi ai candidati di Bersani e Renzi. Quello che ci si aspetta per la votazione di questa mattina è, quindi, uno scontro frontale fra Anna Maria Cancellieri (sostenuta da destra e centro) e Stefano Rodotà (candidato di M5S e Sel). In attesa del piano del Pd, che al momento sembra esser fuori dai giochi.
di Andrea Capati
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