Afghanistan: la guerra dimenticata

Talebani1Una breve nota di agenzia ha diffuso la notizia che il Pakistan  ha chiesto al governo afghano di contattare direttamente la sede di Doha, in Qatar, dell’ufficio politico dell’Emirato dei talebani, per proseguire i negoziati di pace, condotti sinora molto a rilento. Di recente, infatti, i talebani avevano rifiutato l’invito del Gruppo di coordinamento (Afghanistan, Pakistan, Cina e USA) a riprendere il processo di pace, definendolo “un futile e ingannevole esercizio” e aggiungendo che non avrebbero partecipato ad alcun incontro sino a quando non fosse terminata l’occupazione straniera e usciti dalle carceri i detenuti politici. La notizia ci ha distrattamente riportato alla mente che è ancora in corso, in Afghanistan, una guerra civile dimenticata.

E’ singolare che un conflitto ancora non sopito, dopo quindici anni di combattimenti e quasi centomila morti (di cui circa 3.500 militari degli eserciti della coalizione occidentale) sia sparito dai resoconti dei mass media. Né vale a far tornare la memoria il fatto che nel 2015, su oltre un milione di migranti approdati sul suolo europeo, quasi 190.000 provengano dall’Afghanistan, Stato che si colloca al secondo posto, dopo la Siria, nella classifica dei paesi martoriati da dove provengono questi derelitti.

Forse ciò dipende dal fatto che, dopo l’uccisione del capo di Al Qaeda Osama bin Laden  (2 maggio 2011) e la morte del Mullah Omar (Karachi  23 aprile 2013), capo dello stato talebano-islamico dal 1996 al 2001, le potenze occidentali vogliono far intendere che il loro impegno militare è definitivamente cessato, con la conclusione (28 dicembre 2014) della missione NATO, autorizzata dall’ONU, International Security Assistance Force (ISAF).

A tale missione ha però fatto seguito quella denominata “Sostegno Risoluto”, accettata dal Presidente Ashraf Ghani e dal parlamento afgano, avente come unico scopo quello di fornire assistenza per la formazione dell’esercito e delle altre forze armate afgane, senza partecipare ai combattimenti. Un’assistenza fornita, comunque, da forze armate occidentali: 13.100 uomini e donne provenienti da 42 paesi, di cui oltre la metà (6.800) dagli Stati Uniti, seguiti da Georgia (856) e Germania (850). L’Italia è presente con 760 unità, in particolare della brigata meccanizzata “Aosta”. Che tali truppe non partecipino ai combattimenti contro i taliban è – a nostro parere – indimostrato e, forse, indimostrabile.

Lo stesso New York Times, nel novembre 2014, ha riportato che Barak Obama avrebbe autorizzato le truppe americane a partecipare attivamente ai combattimenti in caso di minaccia diretta da parte dei talebani. Per non parlare delle migliaia di mercenari occidentali, di cui si avvale l’esercito afgano e che sono pagati per combattere. La denominazione di “guerra civile” al conflitto afgano pertanto è, tuttora, puramente teorica.

Si è detto dei migranti. Percorrono una rotta che, ad ogni passaggio, comporta un esborso di centinaia di dollari: da Herat o da Kandahar, attraverso il deserto o l’altopiano iranico, per poi affidarsi ai guerriglieri curdi e passare il confine con la Turchia. Di lì, la costa del Mare Egeo per raggiungere la Grecia su gommoni a remi. Riusciranno i migranti afgani, con l’arrivo della primavera-estate e la ripresa degli sbarchi, a far passare l’amnesia degli europei sulla loro “guerra dimenticata”?

di Federico Bardanzellu

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