Ho letto con interesse, su queste stesse pagine, il bell’articolo sull’Europa e i migranti africani di Raffaella Bonsignori. Di seguito vorrei contribuire alla discussione prendendo le mosse dal G20 appena conclusosi ad Amburgo.
L’obiettivo principale dei vertici G20 è la crescita economica sostenibile. Un obiettivo arduo se si pensa che per crescita si intende quella globale. Anche quest’anno non sono mancate manifestazioni e proteste contro un vertice che da quando è stato creato, nel 1999, è diventato espressione da una parte di buone intenzioni e grandi aspettative, dall’altra di forti delusioni. Queste, a ben guardare, sono la conseguenza delle contraddizioni intrinseche nel binomio crescita-capitalismo di cui il G20 è portatore. I paesi membri rappresentano il 90% della ricchezza del mondo, l’80% del commercio mondiale e sono responsabili dell’84% delle emissioni totali di gas serra. L’Africa è la grande esclusa dalla festa (solo il Sudafrica ne è membro) ma, a guardar bene, è lei che paga il conto.
In Africa attualmente 20 milioni di persone rischiano la vita a causa della carestia che ha colpito alcuni paesi dell’area subsahariana, in primis la Somalia, il Sud Sudan e la Nigeria nord-orientale, dove da quasi tre anni non piove quasi più. A siccità e carestia si sono aggiunte epidemie come il colera e la malaria. Paradossalmente la pioggia quando arriva diventa veicolo delle malattie. Molti somali hanno abbandonato i loro villaggi per raggiungere gli accampamenti di sfollati sorti come funghi nel paese. Nella regione a nord e a ovest di Mogadiscio di questi accampamenti ce ne sono a centinaia. In essi le condizioni di vita sono estremamente difficili soprattutto per bambini e vecchi. Come se non bastasse in questa zona sono i terroristi islamisti di Al Shabaab a dettar legge.
All’origine della carestia è il cambiamento climatico che nel continente nero è più devastante che altrove. Secondo le Nazioni Unite in Africa sta avendo luogo la peggiore crisi alimentare dal 1945. Questa riguarda una ventina di nazioni africane caratterizzate anche da instabilità politica. L’appello lanciato dall’ONU per raccogliere i 4 miliardi e 400 milioni di dollari ritenuti necessari per affrontare la crisi è rimasto inascoltato. Solo il 2%, e cioè 90 milioni di dollari, è stato raccolto. 90 milioni diviso 20 milioni fa 4 dollari e mezzo a persona. La distribuzione di cibo e medicinali è resa problematica dalle scorrerie dei terroristi. Tutto ciò succede in vaste aeree comprese tra tropico ed equatore. Ed è da queste aree che iniziano i flussi migratori verso il mediterraneo.
La geografia non permette speculazioni. Per raggiungere l’Europa le rotte sono obbligate. Tutte comportano il superamento di due mari, uno di sabbia e l’altro d’acqua, entrambi pieni di insidie. Attraversato il Sahara i migranti giungono in Libia dove vengono ridotti in schiavitù. Vengono derubati, imprigionati, molestati, violentati. Nel migliore dei casi vengono sfruttati nei lavori più umili e degradanti. Quel poco che guadagnano serve a pagare gli scafisti che li ricattano con la promessa di imbarcarli. L’attesa per imbarcarsi e tentare la fortuna della traversata dura mesi. Il deterrente rappresentato dall’alto numero di morti non ferma l’esercito dei disperati. Secondo l’IOM (International Organization for Migration) dal 1 gennaio al 12 luglio di quest’anno 86.121 persone sono arrivate in Italia attraverso le rotte mediterranee centrali. 2.206 non ce l’hanno fatta. Tra essi, un numero spaventoso di minori non accompagnati.
In estate gli arrivi aumentano e con gli arrivi aumentano le polemiche su chi in Europa debba farsi carico dell’accoglienza e se questa non debba essere data esclusivamente a chi fugge dalle guerre e non ai cosiddetti migranti economici. Il 12 luglio ne hanno riparlato a Trieste Gentiloni, Merkel e Macron. I due ospiti hanno espresso solidarietà e comprensione per l’Italia. Belle parole, ma niente di più. Uno dei punti caldi in discussione è la gestione dei cosiddetti migranti economici. Corrisponderebbero all’85% degli arrivi. La differenza tra aventi diritto o meno all’asilo, tra chi emigra perché perseguitato e chi lo fa per via della miseria, non è chiara. La linea di demarcazione tra le due categorie non è netta. La disperazione di coloro che fuggono dalla miseria è del tutto simile a quella di chi fugge dalla guerra. I pericoli che affrontano durante il viaggio e i rischi che corrono per arrivare in Europa sono esattamente gli stessi.
Questo non vuol dire che li dobbiamo prendere tutti, ma salvarli, quello è un dovere morale cui uno Stato civile, e per di più “di diritto”, non può sottrarsi. Non farlo sarebbe un reato e una violazione della Convenzione Internazionale sulla Ricerca ed il Salvataggio Marittimo del 1961. Quanto al diritto all’asilo questo è contemplato dalla Costituzione (art. 10, comma 3) e la Costituzione non si discute. Secondo l’ONU siccità, carestie, guerre e conflitti regionali diventeranno endemici col risultato di alimentare indefinitamente i flussi di persone che abbandonano i luoghi d’origine. Sfollati, profughi, rifugiati potrebbero aumentare fino a raggiungere, alla fine del secolo in tutto il mondo, l’incredibile cifra di due miliardi di persone. Un forte contributo a questo aumento lo darà la crescita demografica mondiale che riguarderà l’Africa più degli altri continenti.
Attualmente nel continente africano vivono 1 miliardo e 200 milioni di persone. Nel 2100 saranno 4 miliardi e 400 milioni. Su scala planetaria l’83% dell’aumento demografico avrà luogo in Africa. Nella sola Nigeria la popolazione a fine secolo sarà di circa 800 milioni, di 150 milioni superiore all’intera popolazione europea. Queste proiezioni si basano su valutazioni che i demografi ritengono ragionevoli e che partono dalla considerazione che attualmente in Africa l’età media della popolazione è inferiore ai venti anni. Solo per fare un confronto, in Europa l’eta media è ben al di sopra i 40 anni (in Germania e Italia rispettivamente 46,3 e 45,1 nel 2015) col risultato che a fine secolo la popolazione europea diminuirà di circa 90 milioni di individui. Il grafico qui sotto mostra la proiezione al 2100 della crescita demografica dei continenti. La linea viola dell’Africa è impressionante e il suo andamento contiene interrogativi inquietanti per l’intero pianeta e in primis per l’Europa.
Nella politica come nella società quello della migrazione è diventato il tema più scottante e controverso. Se ne parla in ogni talk-show e in ogni telegiornale. Se n’è parlato anche al G20 di Amburgo dove Angela Merkel ha riaffermato le responsabilità dei paesi membri verso l’Africa. Al di là delle polemiche personali molti politici concordano nel dire “dobbiamo aiutarli a casa loro”. Giustissimo, ma perché non è stato fatto finora? La risposta è semplice. Non è stato fatto perché farlo, veramente e bene, sarebbe stato estremamente difficile e costoso. Aiutarli a casa loro significa mettere mano ad alcune delle grandi questioni che attanagliano il pianeta e rispetto alle quali la politica dei paesi più sviluppati è (colpevolmente) responsabile: cambiamento climatico, sfruttamento delle risorse e delle materie prime, sostegno a governi corrotti, vendita di armi. Eccetera, eccetera. Tutte questioni che si intrecciano, alimentandole, con le migrazioni.
Che ci piaccia o no, la pressione migratoria si intensificherà progressivamente. Le discussioni e i battibecchi della politica, in Italia e in Europa, continueranno ancora, tra una tragedia e l’altra, tra un attentato terroristico e l’altro, tra un’elezione politica e l’altra, tra un vertice internazionale e l’altro. Che a noi cittadini della vecchia Europa piaccia o no, l’Africa è lì, enorme e vicina, ed è il nostro futuro. Se non ce ne occupiamo subito e seriamente, sarà lei ad occuparsi di noi.
Grazie per l’interessante e documentato prosieguo della questione che ho affrontato nel mio articolo. Il suo scritto è meritevole d’ogni attenzione.
Gentile Raffaella,
grazie per il Suo commento. Per me equivale a un like.
Il mio articolo non riceverà il numero di like che ha avuto il Suo, tuttavia questo Suo riscontro compensa la differenza.
Cordiali saluti
Pasquale Episcopo