Roma, 21 febbraio, Palazzo Wedekind, sala Angiolillo, presentazione dell’ultimo libro di Marcello Veneziani “Alla luce del mito” attraverso un dialogo tra lo scrittore e il noto critico d’arte Vittorio Sgarbi. La cornice che accoglie i due straordinari intellettuali è sita nell’antico palazzo che ospita la storica sede del quotidiano Il Tempo, a pochi passi da Palazzo Chigi, sede del governo.
Veneziani, noto giornalista e filosofo, inizia la sua presentazione sostenendo che “Il mito non è un tema soltanto accademico e filosofico ma un tema centrale della nostra epoca” che ci aiuta ad elevarci al di sopra della quotidianità. Quotidianità che in quelle ore, proprio nei pressi del Palazzo che ci ospita, registra scontri tra tassisti e ambulanti in protesta e forze dell’ordine. Un malcontento di migliaia di lavoratori che, grazie ai due relatori, è mitigato agli ospiti in sala.
“Il mito è un bisogno dell’anima” continua Veneziani “è la capacità di proiettarci in un’altra dimensione”, “un piano elevato da dove si scorge il bello del mondo”. Sicuramente una dimensione diversa da quella definita da Vittorio Sgarbi, che nelle sue prime battute del dialogo la concentra soprattutto in un’accesa critica verso quel femminismo ridondante, a suo dire, tipico della presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini.
Edito da Marsilio Editori, nella collana dei nodi, “Alla luce del mito” è un libro che segue un percorso iniziato dall’autore diversi anni fa con Amor fati, Vivere non basta e Anima e corpo, solo per citare alcune delle sue opere dove Veneziani approfondisce con semplicità ma in maniera completa i vari aspetti della vita e delle sue sfaccettature spirituali.
1) Scrittore, giornalista, filosofo. Qual è il vero Marcello Veneziani?
Non ci sono veri e falsi Veneziani, ma gradi diversi: a pianterreno c’è quello che vive nei suoi giorni e commenta i suoi tempi facendo il giornalista, il polemista, anche satirico; poi salendo c’è quello che si lascia condurre dal suo cuore e dai suoi sentimenti, scrivendo testi letterari di ricordi, figure ed esperienze di vita; infine, c’è quello che legge, pensa, scrive nel segno di una visione del mondo, e che definirei pensatore più che filosofo.
2) Negli ultimi suoi libri, a differenza di quando scrive articoli politici, lei ha sposato un filone filosofico spirituale. E’ questa la vera dimensione di Veneziani?
Le altre non sono finte o marginali, sono semplicemente meno rilevanti, secondarie, dal mio punto di vista.
3) Perché oggi un libro sul Mito?
Perché Se la storia finisce, la politica fallisce, la ragione si spegne e la religione declina, l’economia non regge e la finanza si sgonfia, cosa può salvarci da questa corale e fatale percezione di decadenza? Solo un mito. Non un’illusione o una bella menzogna, ma un mito. Perché un mito non è verità ma non è nemmeno finzione. E’ vedere il mondo con altri occhi, sotto altra luce. Scoprire altri orizzonti, altre chiavi di lettura. E del resto, i miti scacciati dalla porta sono rientrati dalla finestra in forma di idoli, feticci, totem, film e spot pubblicitari.
4) Crede che l’attuale società, improntata ormai da decenni soprattutto verso la tecnologia, abbia bisogno di riscoprire miti ed eroi?
I miti – e gli eroi – sono bisogni permanenti dell’umanità perché consentono di proiettarsi in una dimensione superiore, in una vita più grande, in un racconto di fondazione. La tecnica amplifica la sfera dei mezzi, modifica il mondo e dunque manipola la realtà, il mito consente di avere un’altra visione. La tecnica è mani, il mito è occhi.
5) L’epoca in cui viviamo è vittima di una civiltà imbarbarita dai social e dagli smartphone o abbiamo noi uomini peggiorato la nostra società con la scarsità di importanza che diamo ai valori primari?
E’ evidente che l’abuso barbaro di social e smartphone concorre a generare un’inciviltà di ritorno, ma alle origini c’è la nostra perdita di visione e di energia spirituale, di anima e di mente, e il nostro totale assoggettarci ai mezzi, alle merci, a ciò che per definizione è strumentale e non può essere il senso e lo scopo dell’esistenza.
6) Alcuni detrattori del pensiero filosofico sostengono che la filosofia è fine a se stessa. E’ così?
La filosofia non serve a niente, ma la parola chiave su cui intendersi è servire; pensare non è un esercizio servile, è una delle condizioni primarie, se non la condizione primaria, della nostra umanità. Pensare la vita e la morte, il mondo e le cose che stanno, che vanno e che spariscono, è la coscienza elementare di essere al mondo. Ed è la premessa per poi orientarsi nel mondo, compiere scelte, realizzare imprese.
7) Cosa pensa dall’attuale situazione politica incentrata sul leader, sulla persona, piuttosto che sugli ideali come accadeva prima di Mani pulite?
Dubito che prima di Mani pulite la politica fosse mossa solo dagli ideali… Ma è senz’altro vero che una politica ridotta solo a leadership televisive, priva di storia, di cultura politica, di motivazioni comunitarie, sia destinata a finire male.
8) Berlusconi ha fatto il suo tempo, Salvini è estremista ed euroscettico, la Meloni non credo abbia le potenzialità necessarie per essere un vero capo coalizione, lei ha mai pensato di candidarsi a guida del centro-destra?
Ognuno deve fare il suo mestiere ed essere consapevole dei suoi limiti e delle sue virtù. I miei difetti e i miei pregi sono incompatibili con la politica. Mi affaccio già abbastanza nella realtà politica ma nel ruolo che mi è più consono, di osservatore critico, di suggeritore, di cultore…
9) Condivido il suo pensiero a riguardo della politica in cui “… un singolo si riconosce cittadino e prende coscienza di appartenere a una polis …” Se è vero che già ai tempi de “L’Italia settimanale” lamentavamo i vizi e i malaffari di una politica che ci andava stretta, quanto questa “Patria” è ulteriormente peggiorata negli anni e quanta rassegnazione verso il futuro ci consegna?
Non voglio aderire alla convinzione involuzionista che il dopo sia sempre peggio del prima anche se purtroppo ci sarebbero molti argomenti e molti esempi per sostenerlo. Diciamo che in ogni epoca, in ogni ciclo storico, ci sono fasi ascendenti e fasi discendenti e noi probabilmente ci troviamo a vivere ora nella seconda parte, anche perché sono spenti gli sguardi rispetto al futuro, non ci sono aspettative, non c’è voglia di avvenire.
10) Un pensiero alquanto populista direbbe che gli Italiani aspettano che ci sia il sole per fare la rivoluzione. Secondo lei si stancheranno i nostri compatrioti di guardare il bollettino meteo in attesa dell’anticiclone giusto per scendere in piazza o desisteranno del tutto dall’idea di ribellione (per alcuni necessaria), che oggi (forse tolta la sola classe dei tassisti) nessuno sembra (ancora) avere il coraggio di inscenare?
Le rivoluzioni di solito nascono da maggioranze che non hanno più nulla da perdere guidate da minoranze che hanno perduto qualcosa… Noi viviamo meno bene di qualche anno fa, ma non al punto disperato in cui sorgono le rivoluzioni. E poi riteniamo che la chiave dei nostri problemi non sia più storica, politica o di cambiamento del sistema, ma privata, individuale, a misura dei propri personali problemi.
11) Uno dei suoi passi più intensi recita:
“Per una famiglia fondata sull’abuso ce ne sono 100 fondate sull’amore”. Quanto cambia, secondo lei, tale affermazione e in che senso, alla luce delle nuove teorie gender e delle aperture verso “nuovi mondi” da parte d’istituzioni e, soprattutto, di una parte della Chiesa?
L’affermazione, grazie a Dio non cambia in presenza delle teorie gender, semmai si rafforza e si ripete: per ogni transgender ci sono cento persone legate alla loro identità originaria… Certo, c’è un clima ideologico, prima che culturale, che spinge non a tutelare i mutanti ma a valorizzarli, ed elevarli a modello di riferimento, quasi sperimentatori in avanscoperta del futuro dell’umanità, quando tutto, compreso i sessi e la natura, saranno variabili a disposizione della nostra volontà di autorealizzazione. E’ curioso pensare che si aborre la carota ogm mentre si guarda con favore all’umano ogm. Col beneplacito della chiesa bergogliana che vuole inseguire il proprio tempo e finirà investita sotto il tram (e il trans) dal suo tempo…
12) Come sarebbe stata la sua vita se non fosse stato ciò che oggi lei è e rappresenta per molti suoi lettori?
Scrissi una volta in un libro, la Sposa invisibile, che la vita è per me un pretesto narrativo per scrivere, può immaginare come reputo decisivo e non marginale il mio rapporto di mente, cuore e scrittura/lettura con i lettori.
di Enzo Di Stasio
info: marsilio
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