Nuova scoperta nel campo della ricerca medica: trovata l’origine del morbo di Alzheimer è nell’area che regola l’umore.
Nel 2015, secondo il “World Alzheimer Report” del 2016, risultano 46,8 milioni le persone affette da una forma di demenza, cifra che sembra destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni, fino a raggiungere 74,7 milioni di persone nel 2030 e 131,5 milioni nel 2050.
La scoperta, pubblicata di recente su “Nature Communication”, è stata effettuata in coordinazione tra L’Università Campus Bio Medico di Roma, l’IRCCS Fondazione “Santa Lucia” e in CNR di Roma. Il Professor Marcello D’Amelio, coordinatore della ricerca, professore di Fisiologia umana e Neurofisiologia al campus Bio-Medico di Roma e direttore del dipartimento di neuroscienze molecolari presso l’IRCCS “Santa Lucia” ha spiegato che lo studio è iniziato circa quattro anni fa, grazie ai finanziamenti del Ministero della Salute e dell’Alzheimer Association.
Gli studi condotti negli ultimi dieci anni terminavano sempre con un interrogativo: perché l’area della memoria, l’ippocampo, perde la propria funzione in assenza di una chiara perdita di neuroni? Un po’ come se “una Ferrari iniziasse a perdere colpi senza problemi al motore -spiega D’Amelio- cosa è venuto a mancare?”. La risposta è il carburante, che in questo caso corrisponde alla dopamina, un neurotrasmettitore prodotto dal cervello. “La dopamina -continua il professore- viene data da un’area profonda dal cervello, l’area tegmentale ventrale, che finora non è stata considerata da un punto di vista diagnostico, in quanto è difficilmente accessibile dal punto di vista neuro-radiologico, una prima ricaduta dello studio è sollecitare la neuroradiologica clinica a investigare in quest’area che non rilascia questo carburante, dopamina, solo nell’ippocampo ma anche in altre aree del cervello che regolano la funziona umorale quindi -prosegue- una perdita precoce di questi neuroni nelle fasi iniziali della malattia compromette il rilascio di dopamina sia nell’area ippocampale sia nelle aree del cervello che regolano l’umore, caratterizzando il tipico disturbo amnesico che il paziente presenta ma anche un disturbo del tono dell’umore, un’apatia”. È stato quindi definito da un punto di vista anatomo-struttura qual è l’area del cervello che regola queste funzioni, dal punto di vista diagnostico questo è importante.
Da un punto di vista terapeutico “oggi abbiamo un bersaglio chiaro, il prossimo impegno sarà trovare le modalità farmacologiche che consentano di proteggere questi neuroni, se questi neuroni nello sviluppo della malattia vanno incontro a morte, e lo fanno precocemente rispetto agli altri, ciò significa che ci sono degli elementi di suscettibilità, quali sono gli elementi che possono portare a questa suscettibilità? Questa è la domanda per il futuro, verranno chiamati ‘fattori di rischio’, oggi sentiamo da echi di stampa che l’alimentazione ha effetto sull’Alzheimer, così come il fumo e l’assunzione di droghe che potrebbero essere veri ma non sappiamo, ad oggi, come agiscano, ciò che mi auguro è che si arrivi, in maniera scientificamente provata a determinare che diversi elementi o stili di vita sbagliata possano predisporre alla malattia o accelerarne il decorso”.
Parlando di dopamina è inevitabile non pensare a un’altra malattia che affligge la popolazione mondiale, ossia il morbo di Parkinson, infatti questo neurotrasmettitore “viene prodotto in tutto il cervello è il carburante utilizzato da tutto il cervello, la porzione di cui abbiamo parlato fin adesso è l’area tegmentale ventrale – spiega D’Amelio – e rilascia la dopamina nell’ippocampo e nel circuito che regola l’umore . Non distante c’è un altro gruppo di neuroni sempre a livello profondo del cervello, mesoencefalico, che costituiscono la sostanza nera pars compacta, questi neuroni rilasciano dopamina in una struttura che si chiama corpo striato e ciò è importante nella regolazione del movimento. Questi neuroni dopaminergici vanno incontro a morte e questo determina lo sviluppo delle alterazioni motorie presentate dal paziente affetto dal morbo di Parkinson.” Esiste quindi un elemento comune tra studiosi, questi studi possono dunque “convergere in un unico studio, unendo le proprie competenze”.
Il professor D’Amelio, vista anche la sua giovane età, è da stimolo a tutti quei giovani che vogliano investire tempo ed energie nella ricerca medica in italia. “È necessario- afferma- che i buoni cervelli rimangano in Italia e che le istituzioni quali il Ministero della Salute e della Ricerca finanzino questi studi, necessari per capire una malattia che non ha alcun farmaco”. Continua affermando che “se oggi non abbiamo farmaci è perché non conosciamo la malattia. Abbiamo speso finanze pubbliche e private nella messa a punto dei farmaci che curano i sintomi della malattia ma non hanno consentito di individuare la causa e le aree del cervello che vengono compromesse”.
Chiedersi se siamo verso la cura sorge spontaneo, il professore si augura di si e si auspica che la sua ricerca “venga confermata da altri gruppi in Italia, ma anche all’estero e che in maniera globale si lavori in modo coordinato per abbattere la malattia. Un singolo laboratorio, una singola persona non riesce a fare nulla, serve una collaborazione. Il lavoro è pubblicato su una rivista che ha visibilità internazionale quindi ci auguriamo che i nostri dati vengano considerati positivamente e vengano confermati e espansi notevolmente, in modo tale che i risultati possano essere di aiuto per la conquista di altri risultati anche da parte di alti gruppi. L’egoismo nella ricerca non porta a nulla.”
di Valeria Risi
Fonte foto: quotidiano.net
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