“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”. Giovanni Falcone
“La rivoluzione si fa nelle piazze con il popolo, ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, è più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello”. Paolo Borsellino
Domenica 25 p.v. ci saranno le elezioni e il clima che si respira non è dei migliori, l’affermazione più ricorrente che capita di sentire è: “sono sfiduciato e sdegnato, non andrò a votare”.
Non andare a votare è una scelta discutibile, ma anche una decisione legittima. Scegliere il silenzio è una forma di protesta, la sua forma più popolare è il sit-in in cui si dimostra il proprio dissenso verso qualcosa restando immobili in un determinato luogo in cui è il linguaggio del corpo a parlare per noi.
Il restare fermi a casa o decidere di andare a fare la scampagnata domenicale non è una forma di protesta. In questa circostanza il corpo non comunica nulla, nessuno interpreterà l’essere lontani dalla cabina elettorale come un segno di malessere ma, piuttosto, come un segnale che non si sente l’esigenza di cambiare le cose. La differenza sostanziale tra il silenzio del sit-in ed il silenzio del non-voto sta nella scelta di non esercitare un proprio diritto.
I diritti, citando Habermas, non sono delle barriere disposte a difesa dell’io contro la società, lo Stato e le Istituzioni ma il presupposto per poter esprimere ed affermare la nostra concezione di vita buona. Soltanto esercitando i nostri diritti possiamo dar vita a quella forma di consenso che può nascere all’interno di un dialogo o di un confronto di idee e proposte tra membri della società.
La matita in cabina elettorale come espressione della propria preferenza, insieme alla volontà di comunicare la propria voce, costituiscono una delle parti più importanti di quel dialogo con lo Stato e le Istituzioni verso cui, ultimamente, c’è sempre più diffidenza.
La sfiducia verso la nostra Costituzione e la disaffezione ad essa, la perdita di senso civico e l’egoismo sono tra i mali più grandi del nostro tempo in quanto non ci si riconosce più come appartenenti ad una comunità. Scegliere di non votare, di non essere parte attiva ad un cambiamento o a mantenere una stabilità significa essere un non-cittadino, non volersi armare per combattere contro quel che non si approva e non amarsi.
Non esercitare il proprio essere libero in uno Stato libero significa, ancora, accettare passivamente le scelte altrui e soprattutto, non poter esprimere il proprio dissenso se l’esito delle elezioni non sarà quello che si spera. Probabilmente non si affermerà quella concezione di vita buona che si auspicava ma si sarà data voce al sentirsi parte di un tutto.
di Deborah Capasso de Angelis
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