“Un uomo che perde una battaglia contro il suo re può essere perdonato; ma un uomo che la vince è spacciato“.
E’ una fredda sera a pochi giorni da Natale, nel 1170, quando quattro cavalieri della corte inglese irrompono nella Cattedrale di Canterbury, ne varcano la soglia santa con le spade sguainate, accerchiano l’arcivescovo Thomas Becket e lo assassinano con feroce crudeltà.
L’episodio suscita tanto scalpore e sdegno da valicare, in men che non si dica, i confini inglesi.
Fedeli giungono da tutta Europa per prestare atto di devozione alla tomba di Becket in un crescendo tale che, solo due anni dopo, papa Alessandro III decide di proclamarlo solennemente martire della Chiesa consacrandolo nel firmamento dei Santi.
Eppure l’Arcivescovo non fu sempre l’uomo pio che la memoria liturgica tramanda anzi si racconta che, prima della Sacra Ordinazione, fosse un habitué dei salotti, un amante degli sfarzi, un cultore dell’eleganza, quasi un damerino di corte.
E’ il 1118 l’anno in cui Thomas nasce da una florida famiglia di mercanti normanni; solo cinquantadue anni lo separano dalla Battaglia di Hastings che, nel 1066, aveva affidato il controllo dell’Inghilterra proprio al Duca di Normandia Guglielmo il Conquistatore.
Secondo le usanze dell’epoca, il giovane riceve una prima educazione dalla madre per poi essere inviato a completare gli studi a Londra e successivamente in Francia, polo culturale dell’epoca.
Tornato in patria appena ventenne, incomincia a frequentare la cerchia paterna distinguendosi presto per l’originale acume, la fenomenale memoria e la spigliatezza oratoria cosicché, in poco tempo, riesce ad ottenere un impiego presso un barone.
E’ un’occasione importante.
La famiglia Becket, sebbene ricca e stimata, non appartiene alla nobiltà; Thomas è pur sempre un commoner, un cittadino comune, che, grazie alle sue abilità, riesce addirittura, in pochi anni, a infiltrarsi nella corte reale.
Diviene prima contabile presso un magistrato della capitale e poi pupillo dell’arcivescovo Teobaldo di Canterbury, anch’egli normanno, che lo introduce allo studio del diritto civile e canonico ad Auxerre e Bologna per poi affidargli svariati incarichi a Roma.
Arrivato a trent’anni con il titolo di arcidiacono di Canterbury, Thomas ha fama di essere un uomo cortese, ingegnoso, esperto nelle pratiche commerciali, accorto nelle trattative politiche; le voci sulle sue vantaggiose competenze arrivano persino all’orecchio del nuovo re Enrico II che decide di nominarlo Cancelliere del Regno, conferendogli così la seconda carica più importante di Inghilterra.
Il fato sembra sorridere a Becket: dialoga con le maggiori corti europee, mantiene i rapporti con la curia papale, guida le ambascerie, coordina le strategie di guerra ma, soprattutto, è amico intimo del Sovrano che si avvale del talento e del sostegno di Thomas per la sua corsa alla centralizzazione del potere monarchico, anche a scapito della Chiesa.
Sono anni in cui il popolo getta aspre critiche sul secondo del Re accusandolo di trascurare i suoi doveri da Arcidiacono per crogiolarsi nel lusso dei piani alti.
Thomas sembra il ritratto del gentiluomo mondano più che del religioso devoto!
La svolta arriva alla morte del suo mecenate Teobaldo, nel 1161.
La Cattedrale di Canterbury, sede primaziale d’Inghilterra, ha bisogno di un successore; in molti si contendono l’illustre ufficio tuttavia Enrico II, che vede nella tempestiva dipartita del vecchio Arcivescovo un buon affare per intensificare la sua politica di controllo sulla Chiesa, suggerisce la candidatura del suo Cancelliere.
Inizialmente Thomas cerca di rifiutare, forse profetizzando ciò che sarebbe accaduto di lì a qualche anno, però l’occasione è troppo ghiotta per il Sovrano che non può lasciarsi sfuggire l’insediamento di un suo favorito nella più antica diocesi del regno.
Così, dopo poco tempo ma molte pressioni, Thomas Becket diventa il nuovo arcivescovo di Canterbury. E la sua vita cambia per sempre.
Già all’inizio del suo mandato, il Primate d’Inghilterra rivela una sorprendente trasformazione: si dimette dal ruolo di Cancelliere, si allontana dalla capitale, si trasferisce a Canterbury, abbandona le vesti sfarzose per indossare un semplice saio.
Per tornaconto o per pentimento, Thomas si stacca dal Re e dalla Corte trasformandosi in un asceta.
Decisioni che portano a delle pericolose conseguenze quando, appena un anno dopo, Enrico II chiede a gran voce la sottoscrizione delle Costituzioni di Clarendon ovvero sedici articoli volti a restringere le prerogative ecclesiastiche consegnando nelle mani del Re Plantageneto il diritto di incassare le entrate delle sedi vacanti, di plagiare le elezioni dei Vescovi, di proibire la scomunica dei funzionari del regno e, non ultimo, di riformare quel “beneficio del clero” che permetteva ai prelati di essere giudicati solo dai tribunali ecclesiastici, scampando alle rigide pene del potere secolare.
Ed ecco l’incredibile. Thomas, che aveva sempre appoggiato il governo accentratore del Re, rifiuta di approvare il documento.
“Nel nome di Dio onnipotente, non porrò il mio sigillo”.
I seguaci della Corona additano l’Arcivescovo come un traditore, l’ira del Monarca è evidente, la situazione a corte è così accesa che Thomas scappa sotto mentite spoglie, si rifugia in Francia e chiede l’appoggio del Papa.
Da braccio destro di Enrico, Becket si trasforma in una spina nel fianco!
Pur rimanendo formalmente neutrale, il Santo Padre offre ausilio al fuggitivo e tenta, a più riprese, di sanare la frattura.
Ogni mediazione sembra però vana: se in Francia Thomas continua a lanciare scomuniche ai suoi detrattori, in Inghilterra il Plantageneto risponde demandando all’Arcivescovo di York, rivale del suo vecchio amico, l’investitura a re del figlio, violando così il privilegio d’incoronazione di Canterbury.
Solo dopo sei anni di stancanti ambascerie, il clima pare distendersi e Thomas fa rientro in Inghilterra, fra gli elogi del popolo, riprendendo possesso della diocesi e del suo ufficio.
Malgrado ciò la disputa non si è ancora del tutto placata tant’è che, dopo non molto, una nuova miccia fa esplodere la situazione. Per l’ultima volta.
L’Arcivescovo pronuncia, durante la solenne Messa di Natale del 1170, un’aspra censura ai suoi calunniatori sconfessando tutti quei vescovi, vicini al Plantageneto, che avevano approvato le Costituzioni di Clarendon e si erano fatti la pancia grassa delle sue avversità.
Famosa è la frase probabilmente sibilata da Enrico appena venuto a conoscenza delle scomode dichiarazioni del Primate d’Inghilterra.
“Chi mi libererà da questi preti turbolenti?”.
Un ordine? Un invito? Un ingenuo sfogo? La risposta giace nelle nebbie della storia.
Fatto sta che quattro cavalieri, ritenendo le parole del Re un lasciapassare, imbracciano le armi e si precipitano nella Cattedrale di Canterbury dove trovano Thomas Becket assorto nei divini uffici.
Gli intimano di ritirare le scomuniche e di sottomettersi alla volontà del Re ma il prelato, che non è disposto a scendere a compromessi, risponde fiero: “Per il nome di Gesù e la protezione della Chiesa, sono pronto ad abbracciare la morte”.
I quattro giustizieri leggono, nella quieta rassegnazione di Thomas, un ulteriore affronto e lo trafiggono senza pietà con le spade, oltraggiando la casa di Dio con il sangue del Primate d’Inghilterra.
La notizia fa il giro del mondo. Enrico e i vescovi di Clarendon sono condannati dalle folle e dal Papa; il sepolcro del martire diventa meta prediletta di pellegrinaggio inspirando talora opere celebri come “I Racconti di Canterbury”di Chaucer e, nel 900, “Assassinio nella Cattedrale” di Eliot.
Per molti secoli il Primate è venerato e osannato in tutta l’Inghilterra fino al 1538 quando, in pieno anglicanesimo, un altro Enrico (VIII) ordinerà di distruggere le ossa del Santo cancellando ogni menzione del suo nome.
Da allora Thomas Becket assumerà per i protestanti le sembianze del traditore ma, oramai, l’immagine del suo sacrificio si era indelebilmente impressa nelle coscienze popolane.
Ancora oggi la memoria dell’Arcivescovo continua a vivere; in tempi più recenti Ken Follett ha dedicato la scena finale del bestseller “I Pilastri della Terra” al coraggio mostrato da Becket di fronte alle ingiustizie del potere politico.
“La morte di Thomas aveva rivelato che, in un conflitto tra la Chiesa e la Corona, il monarca poteva prevalere solo ricorrendo alla forza bruta. Ma il culto di San Thomas provava che sarebbe stata sempre una vittoria vana. Il potere di un re non era assoluto, dopotutto: poteva essere limitato dalla volontà del popolo“.
L’arcivescovo Thomas Becket fu fulgido esempio di come una vittoria durevole si possa ottenere anche da una fugace sconfitta.
di Arianna Di Pace
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