Atlantide, il mondo perduto

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Una terra fiorente, abitata da uomini di grande intelligenza, travolta dal mare e per sempre perduta. Il mito di Atlantide esiste da secoli, e da secoli continua ad emanare un incredibile fascino. Ma da dove ha origine questa leggenda, è davvero esistita Atlantide? E se sì, dove sarebbe adesso?

Il mito

Il primo a parlare di Atlantide è Platone, nel Timeo e nel Crizia. Platone descrive un continente grande più della Libia, collocato oltre le colonne d’Ercole, abitato dalla stirpe di Poseidone. Atlantide era un regno giusto, ricco, incredibilmente avanzato dal punto di vista tecnologico. Quando la sua gente però, a causa dei rapporti con gli uomini stranieri, cominciò a corrompersi, gli dei decisero di distruggerlo: inviarono un cataclisma terribile sul continente di Atlantide, che sprofondò così nell’acqua, travolto dall’oceano.

Nell’antichità, altri autori citano la leggenda di Atlantide, rifacendosi al mito platonico. Fra questi, Plinio il Vecchio e Diodoro Siculo. E se nel medioevo il mito non ebbe molto seguito, nel Rinascimento l’idea di una civiltà scomparsa sotto l’oceano cominciò ad attirare nuovamente la curiosità di letterari e studiosi. Fra questi Francis Bacon, autore di New Atlantis, il quale ipotizza che Atlantide fosse l’America.

La ricerca di Atlantide

Atlantide per molti non era una semplice leggenda. In un mondo in cui si è avuta testimonianza di miriadi di cataclismi, sembrava del tutto verosimile che una fiorente civiltà fosse scomparsa in seguito a un diluvio, a un maremoto o a un’eruzione. Fu così che iniziarono le ricerche della localizzazione dell’isola perduta. Se, come abbiamo detto, per Bacon Atlantide corrispondeva all’America – e faceva l’esempio di gloriosi regni, come quelli del Perù e del Messico – altri, come Montaigne, irridevano la sua teoria, asserendo che l’America fosse in posizione troppo lontana da quella descritta dal mito.

Le teorie però sono innumerevoli. Bartolomé de Las Casas riteneva che Atlantide fosse la Palestina, e che la sua distruzione corrispondesse a quella di Sodoma e Gomorra. Un altro filone di studiosi collocava invece l’isola atlantidea nelle regioni nordiche, come la Svezia (per Olaus Rudbeck) o la Groenlandia (per Jean-Silvain Bailly), intrecciando il mito di Platone con un’altra leggenda, quella delle popolazioni iperboree. Dopotutto, erano molte le somiglianze fra i due miti: secondo scrittori antichi come Ecateo di Mileto, Esiodo ed Erodoto, infatti, gli iperborei costituivano una civiltà superiore, che viveva in un paese perfetto, dove il sole splendeva per sei mesi l’anno.

Si è pensato che Atlantide fosse localizzata nel Sahara, sepolta adesso sotto la sabbia. Che fosse l’isola di Thera, sprofondata in mare nel XV secolo a.C., in seguito all’eruzione vulcanica di Santorini. Che fosse sommersa al di sotto del Triangolo delle Bermude, colpevole essa stessa delle perturbazioni elettromagnetiche che hanno causato tante sparizioni aeree. Secondo alcuni era l’Egitto. Secondo una recente teoria di Sergio Frau, Atlantide non era altro che la Sardegna.

Geologi, occultisti e letterati

Nella disputa su Atlantide ebbero voce in capitolo anche eminenti scienziati, come Buffon, Cuvier e Darwin. Secondo questi ultimi, infatti, il mito poteva essere una testimonianza dei movimenti geologici che avevano cambiato il volto della terra nel corso dei secoli. Fra di essi si aprì una contesa che vedeva schierati nettunisti contro plutonisti, ossia coloro che credevano che Atlantide fosse stata distrutta dalle acque, e coloro che riconoscevano la causa della distruzione nelle eruzioni vulcaniche.

Anche altri tipi di studiosi si interessarono al continente perduto. Fra questi, occultisti e spiritisti. La teosofa Madame Blavatsky vide negli Atlantidi una delle razze primordiali, mentre il sensitivo Edgar Cayce credeva che la loro civiltà fosse mossa dall’energia di un misterioso cristallo. Di razze parlò anche Alfred Rosenberg, uno dei massimi teorici del razzismo nazista, che espose la teoria di una razza dominante nordico-atlantiana, o ariano-nordica, vedendo nel mondo sommerso la patria d’origine dei presunti ariani.

Ma c’è chi ha sfruttato il mito atlantideo solo per motivi letterari, come Jules Verne. Nel suo romanzo 20.000 leghe sotto i mari, l’autore descrive la scoperta, da parte del capitano Nemo, di una città sprofondata nell’oceano Atlantico, di cui si riescono ancora a distinguere templi e case distrutte, gli ultimi resti di Atlantide. Un altro letterato, Ignatius Donnelly, nel suo libro Atlantis, prende invece molto seriamente il mito platonico. Chiarisce come la storia sia vera, e specifica come Atlantide fosse la regione in cui per la prima volta l’uomo si era risollevato dalla barbarie. Da quel mondo antidiluviano, si era sparsa per il mondo una popolazione fiorente e superiore, che aveva poi colonizzato tutte le nazioni civilizzate.

Atlantide, il mondo perduto

Ignatius Donnelly collega il mito atlantideo ad altri luoghi perduti: il giardino dell’Eden, i Campi Elisi, il palazzo di Alcinoo, l’Olimpo, Asgard. Tutti luoghi mitologici in cui l’uomo visse in armonia e pace. Secondo l’autore c’era della verità in quel mito, ma forse quello che importa non è il realismo della leggenda, ma la necessità di crearla. Dopo Atlantide, venne ipotizzata l’esistenza anche di altre isole scomparse, come Lemuria, terra sommersa collocata fra l’Australia e la Nuova Guinea. O come Mu, nata dalla traduzione di un codice Maya da parte dell’abate Charles Etienne Brasseur. O ancora, come la città di Ys, di cui parlano molte leggende bretoni.

Sembra che l’uomo abbia bisogno di credere in un mondo scomparso. Un mondo in cui magari vivesse una gente civile, capace di istituire un governo pacifico e avanzato, verso la quale provare nostalgia. Forse perché, come dice L. Sprague de Camp, la ricerca di Atlantide risveglia una speranza che tutti portiamo dentro, «la speranza tante volte accarezzata e tante volte delusa che certamente chissà dove, chissà quando, possa esistere una terra di pace e di abbondanza, di bellezza e di giustizia, dove noi, da quelle povere creature che siamo, potremmo essere felici».

Image by Sabrina Belle from Pixabay

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