Autostima e pensiero positivo sono spesso dei veleni, degli oppiacei che ci appagano solo superficialmente
Autostima: quando direzioniamo male la stima
Autostima. Nel mondo del coaching, tante persone pensano che fare video a tema su YouTube porti alla notorietà, al successo, all’abbondanza.
Magari arrivano pure dei clienti e il gioco è fatto. Almeno apparentemente.
Questi fattori dovrebbero aumentare la loro autostima, cioè la “stima di sé”.
Spesso tuttavia le loro aspettative vengono disattese e rimane solo una grande delusione che fa crollare il castello delle presunte certezze dell’Io.
Questo accade quando di base manca una certa coerenza fra ciò che si desidera con l’anima e ciò che corrisponde invece a un desiderio nato per compiacere il “sociale” o magari solo per “cavalcare l’onda”.
Cosa vuol dire autostima?
L’autostima è proprio questo: è una stima di sé fondata sulla nostra immagine sociale. E’ una stima che cerca l’approvazione degli altri, che ci fa sentire accettati.
L’autostima ti dice “ehi, vai benissimo così, sei perfetto. Agli altri piaci. Ti vogliono così. Sei esattamente come loro”.
Se sei “normale”, se sei come gli altri, sei accettato e la tua autostima va alle stelle. Viceversa potresti sentirti un disadattato, un diverso e crollare nel baratro dell’insicurezza.
Siamo sicuri che questo genere di stima sia necessaria al nostro benessere o alla nostra crescita personale?
I quattro pilastri dell’autostima
Coerenza, perseveranza, disciplina e costanza sono i quattro pilastri su cui poggiano l’autostima e la motivazione.
- Coerenza: è la prima “vocina interiore” che ci sussurra alle orecchie “ti stai prendendo in giro”, quando percepisce che non stiamo andando in direzione della nostra piena felicità (felicità che coincide con la nostra realizzazione). Basti pensare che la parola “successo” vuol dire “ciò che è successo, che si è realizzato”. Possiamo ingannare gli altri, ma non possiamo ingannare la nostra coscienza. Eppure oggi c’è poca coerenza. Lavoriamo inizialmente sul “non essere una non-entità”. Iniziamo cioè a destrutturare l’Io per poi ricomporlo coerentemente con i principi della nostra anima;
- Perseveranza: da sola, la coerenza non basta. C’è bisogno di azione. L’azione deve essere continua. “Una rondine non fa primavera” affermava Aristotele, nall’Etica Nicomachea. “Come una rondine non fa primavera, né la fa un solo giorno di sole, così un solo giorno o un breve spazio di tempo non fanno felice nessuno”. Occorre dunque una certa perseveranza se vogliamo far accadere quei desideri “coerenti” con la nostra anima;
- Disciplina: senza disciplina non siamo in grado di agire con perseveranza. La disciplina ci insegna un metodo, ci insegna a pianificare ogni mossa che dovrebbe condurci alla nostra piena realizzazione, evitandoci di disperdere energie.
- Costanza: altro pilastro è la costanza. Questo punto si può mantenere quando effettivamente abbiamo piena consapevolezza dei nostri obiettivi. Lavoriamo allora per riuscire a cambiare quel niente in qualche cosa di definito, che porti davvero alla nostra felicità. Solo quando saremo allineati al nostro “centro di gravità” potremo stimare noi stessi.
Limiti del pensiero positivo
Altri limiti vengono dal cosiddetto “pensiero positivo”.
Si tratta di una forma-pensiero fortemente sponsorizzata da una certa scuola di coaching o di mindfulness.
Il “cuore” di questa teoria si può riassumere con il proverbio “chi lascia la vecchia via per la nuova, sa cosa lascia, non sa cosa trova”.
Il pensiero positivo ci dice “va tutto bene, te la puoi cavare” anche quando il mondo sta crollando.
Concettualmente, l’errore di fondo del pensiero positivo sta nel fatto che non ci spinge a cambiare narrazione o prospettiva, ma ad accettare tutto, anche le cose che in realtà non ci piacciono.
Questo approccio mentale ci preclude delle strade, delle possibilità. L’accontentarsi può limitare infatti la nostra vita, ci imprigiona in carcere, dietro a delle belle sbarre. Vogliamo passare la vita a lucidarle o vogliamo uscirne fuori?
Esempio (un pò forte a dire il vero) di pensiero positivo ? La frase presente su molti campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale “Arbeit macht frei” “Il lavoro rende libero”.
Se vogliamo davvero essere “positivi”, occorre piuttosto includere le cose che non ci piacciono, senza giudicarle e poi evolvere per cambiare il corso della nostra vita. Poco importa se nel corso del cammino incontreremo resistenze o cose non proprio positive.
Se capiamo il trucco ci salviamo, altrimenti finiremo per essere sempre e solo vittime di una falsa autostima e di un falso pensiero positivo.
Foto di Luisella Planeta Leoni LOVE PEACE 💛💙 da Pixabay
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