Barbie, nata dal genio di Ruth Handler, rivoluzionò completamente il mondo dei giocattoli diventando simbolo dell’empowerment femminile.
È stata vestita da oltre 70 stilisti, ha ricoperto 150 carriere, è stata protagonista di cartoni e fumetti, ha ispirato artisti del calibro di Andy Warhol. Lo scorso 20 luglio ha debuttato nel suo primo film live-action interpretato dagli attori Margot Robbie e Ryan Gosling.
Questo il curriculum di Barbie: non una semplice bambola ma un’icona apprezzata in tutto il mondo che, negli anni, ha influenzato generazioni di bambini e plasmato la cultura pop. Lanciata sul mercato nel 1959, nella sua prima versione appariva con labbra rosse, capelli raccolti in una coda di cavallo, tacchi alti e costume da bagno a righe bianche e nere.
Nonostante le controversie sulle sue misure corporee (36-18-38 se fosse una persona reale), ancora oggi risulta la bambola più venduta. Non solo ha segnato un punto di svolta nel mercato dei giocattoli e nel settore pubblicitario ma anche all’interno della società. La sua capacità di rappresentare una varietà di professioni e stili di vita, infatti, ha contribuito a rompere gli stereotipi di genere ispirando le ragazze a immaginare qualsiasi futuro volessero, oltre i tradizionali ruoli di moglie e madre.
“Imagination, life is your creation” cantavano gli ABBA. Una vera e propria rivoluzione targata Ruth Handler, al secolo Ruth Marianna Mosko.
Dall’infanzia a Denver al trasferimento in California
Ruth Marianna Mosko nacque, il 4 Novembre 1916, a Denver da una famiglia di immigrati ebrei. Il padre Jacob, nel 1907, aveva lasciato la Polonia per inseguire il sogno americano. Arrivato a Ellis Island, in quanto fabbro di professione, era stato inviato in Colorado per lavorare nell’industria ferroviaria. Qualche anno più tardi era stato raggiunto dal resto della famiglia.
Quando Ruth –ultima di dieci figli– aveva circa sei mesi, la madre si ammalò e, non potendosi occupare della piccola, decise di affidarla alla figlia maggiore Sarah. Quest’ultima possedeva con il marito una drogheria dove la bambina iniziò presto a lavorare mostrando grandi abilità di marketing e fiuto per gli affari. Tali doti l’avrebbero aiutata da adulta nella scalata verso il successo.
Una volta cresciuta, all’età di 22 anni, sposò Eliot Handler, un aspirante artista che aveva conosciuto due anni prima durante un ballo. Insieme, nel 1938, decisero di trasferirsi in California. Qui la ragazza trovò impiego come stenografa alla Paramount dove, in precedenza, aveva già completato uno stage. Lavorare a Hollywood, capitale dell’industria cinematografica, le permetteva di conoscere attori e registi ma, soprattutto, di immergersi in quel glamour che avrebbe ispirato la sua famosa Barbie.
I primi progetti imprenditoriali
Eliot, intanto, studiava all’Art Center College of Design di Pasadena e lavorava come designer di apparecchi di illuminazione. Nel tempo libero, costruiva mobili utilizzando i nuovi materiali coi marchi Lucite e Plexiglass. Quest’ultimi erano i nomi commerciali del polimetilmetacrilato (PMMA), una materia plastica e molto trasparente che all’epoca era impiegata nel settore della difesa.
Ruth, con il suo acume per gli affari, incoraggiò il marito a creare pezzi da vendere sul mercato. Aiutati da un terzo socio finanziatore, fondarono la Elzac come azienda specializzata nella produzione di fermalibri, candelabri e, più avanti, di bigiotteria e articoli da regalo. Gli Handler formavano una squadra vincente: lui aveva capacità tecniche e di progettazione mentre lei aveva intuito per il commercio.
La svolta avvenne quando Ruth, che si occupava del lato promozionale, riuscì a negoziare un accordo con la Douglas Aircraft Company per la produzione di modellini dell’aereo Douglas DC-3 da regalare ai viaggiatori in occasione del Natale. La commessa portò alla Elzac un guadagno da 2 milioni di dollari eppure la coppia, desiderosa di nuove opportunità imprenditoriali, decise di lasciare l’azienda al terzo socio. La creazione di Barbie era sempre più vicina.
La Mattel e la nuova idea di marketing
Abbandonato il business della plastica, Elliot Hadler fondò con il socio Harold Matson un’azienda destinata alla produzione di cornici per fotografie. Era il 1945 e l’azienda in questione era la Mattel Creations.
Come attività secondaria, Elliot iniziò a lavorare il legno avanzato con l’intenzione di creare mobili per le case delle bambole. Harold Matson, tuttavia, non condivideva la visione del socio e, convinto che la Mattel fosse destinata a fallire, decise di vendere la sua metà. In realtà, l’idea di Elliot si rivelò incredibilmente redditizia.
Fu in quel momento che Ruth si unì al marito come comproprietaria dell’azienda trasformandone completamente il destino. Non molto tempo dopo, infatti, la Mattel lasciò il settore delle cornici per avventurarsi in quello dei giocattoli. Tra i primi prodotti c’era un ukulele –‘Uke-a-doodle’– che divenne così popolare da portare al lancio di un’intera linea di giochi musicali.
A quel punto, Ruth ebbe l’intuizione di promuovere i prodotti direttamente tra gli utenti finali cioè i bambini. Fino ad allora, le aziende avevano commercializzato i giocattoli esclusivamente ai genitori che li sceglievano e acquistavano per i figli. Ruth, invece, riteneva fosse importante rivolgersi ai bambini così, nel 1955, decise di sponsorizzare il popolare show televisivo ‘Mickey Mouse Club’.
Si trattava di una mossa rischiosa in quanto sanciva una rottura nell’approccio marketing tradizionale. Ruth credeva così tanto in quel progetto che ci investì 500.000 $, in pratica l’intero valore finanziario della Mattel. Il futuro dell’azienda, di fatto, dipendeva dalla buona riuscita di una singola campagna pubblicitaria.
Fu un successo: migliaia di bambini, in tutti gli Stati Uniti, videro il programma e chiesero ai genitori di acquistare i giocattoli della Mattel. Le vendite decollarono permettendo all’azienda di affermarsi nel settore. Era solo un assaggio dell’audacia e dell’abilità visionaria di Ruth.
La nascita di Barbie fra scetticismo e disapprovazione
Nel 1956, durante un viaggio di famiglia in Svizzera, Ruth s’imbatté nella bambola tedesca Lilli. Quest’ultima, creata nel 1952, era basata su un personaggio dei fumetti del tabloid tedesco Bild. Aveva forme molto generose tant’è che spesso veniva acquistata come souvenir scherzoso per adulti. Ebbene, Ruth immaginò di creare una versione più adatta ai bambini che fosse in grado di rappresentare i loro sogni e le loro aspirazioni future. Più volte, infatti, aveva osservato la figlia preadolescente inventare storie da grandi mentre giocava con le bambole di carta.
Fu così che decise di produrre una bambola adulta, procace, con il seno e disegnata per stare sui tacchi: tutte caratteristiche impensabili per l’epoca! Il lancio ufficiale avvenne, il 9 marzo 1959, in occasione della New York International Toy Fair. L’accoglienza non fu positiva: i grandi acquirenti e i principali marchi di negozi americani rimasero interdetti dal nuovo prodotto della Mattel tanto che si rifiutarono di acquistarlo.
Ruth, caparbia come sempre, non si perse d’animo e decise di vendere la bambola direttamente ai consumatori sponsorizzandola attraverso la pubblicità televisiva. Già nel primo anno, l’azienda degli Hadler riuscì a vendere 350.000 pezzi. Anni dopo, ricordando quel momento, Ruth avrebbe dichiarato: “Uno dei miei punti di forza è che ho il coraggio delle mie convinzioni, il coraggio di prendere una posizione, difenderla, spingerla e farla accadere”. Era nato il fenomeno Barbie.
La battaglia contro il cancro e l’ultimo progetto ‘Nearly me’
Sulla scia del successo di Barbie, la Mattel iniziò a sviluppare una serie di prodotti correlati tra cui accessori, veicoli, case e altri personaggi. Nel 1961 nacque Ken, chiamato così in onore del figlio Kenneth. La stessa Barbie, d’altra parte, prendeva il nome dal diminutivo della figlia Barbara che ne aveva ispirato la realizzazione.
Intorno alla bambola si creò un intero universo: i prodotti aggiuntivi, infatti, permettevano ai bambini di personalizzare l’esperienza di gioco. Gli affari andarono a gonfie vele fino agli anni ’70 allorquando la Mattel fu coinvolta in una serie di scandali finanziari relativi a frodi contabili. Ruth ed Elliot, che si erano dichiarati innocenti, furono incriminati con l’accusa di frode e falsa segnalazione alla Securities and Exchange Commission (SEC) per aver cercato di influenzare i prezzi delle azioni.
Nel 1975, a causa di queste accuse, gli Hadler dovettero dimettersi dall’azienda che avevano co-fondato e gestito. Dopo trent’anni, era finita la loro avventura con la Mattel. Nel frattempo, a Ruth fu diagnosticato un cancro al seno che la costrinse a sottoporsi ad una operazione chirurgica di asportazione. Non soddisfatta delle protesi che le avevano impiantato, collaborò con l’artigiano Peyton Massey per l’ideazione e la realizzazione di una linea di seni artificiali: “Fino ad ora -avrebbe detto Ruth anni dopo- ogni seno (protesico) venduto è stato usato in modo intercambiabile per il lato destro e sinistro. Non c’è mai stato un calzolaio che ha fatto una scarpa e ti ha costretto a metterci sia il piede destro che quello sinistro”.
Nacque così ‘Nearly me’ (quasi me) ossia un seno artificiale in sapone e silicone. Per commercializzare il prodotto, Ruth creò la società ‘Ruthton’ con la quale sostenne la ricerca sul cancro al seno. Forte sostenitrice della diagnosi precoce, nel 1994 all’interno della sua autobiografia avrebbe dichiarato: “Non lo faccio per i soldi ma più per ricostruire una mia autostima e quella degli altri”. La sua iniziativa, infatti, aprì la strada alla realizzazione di soluzioni più confortevoli per le donne che avevano subito una mastectomia radicale. La protesi ‘Nearly me’ fu utilizzata anche dalla first lady Betty Ford.
Ruth Hadler morì cinque anni più tardi, all’età di 85 anni, in seguito ad alcune complicazioni dovute ad un intervento chirurgico per un cancro al colon. Il marito Elliot l’avrebbe raggiunta nel 2011 spegnendosi all’età di 95 anni. Vero modello di leadership femminile, nel 1997 Ruth fu inserita nella Junior Achievment US Business Hall of Fame: con la sua mente brillante e la sua tenacia aveva creato un mondo ricco di fantasia e possibilità. I sogni delle bambine, finalmente, non avevano limiti.
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