Pubblicato negli Stati Uniti nel 1988 (in Italia due anni dopo), The Killing Joke sta giustamente nell’Olimpo dei grandi fumetti americani mainstream contemporanei, e non solo per l’importanza che ricopre nell’universo di Batman.
Scritto dal genio inglese Alan Moore (Watchmen, V for Vendetta, From Hell, La lega degli straordinari gentlemen, Swamp Thing…) e magistralmente disegnato dal connazionale Brian Bolland, è una storia di Batman incentrata principalmente sulla sua nemesi storica più iconica, il Joker, il villain più amato dai fan forse per quella follia così palese e disarmante.
The Killing Joke è uno dei rarissimi fumetti di Batman in cui viene narrata, attraverso brevi flashback, l’origine di Joker: un comico fallito senza nome, un doppio lutto ravvicinato – perdita della moglie incinta per un banale incidente domestico – l’occasione di racimolare facilmente del denaro con una rapina finita male, fino all’incidente in un impianto chimico per fuggire da Batman accorso per sventare la rapina, e alla conseguente caduta nelle acque di scarico tossiche inquinate dai rifiuti chimici, dalle quali riemerge con i tratti caratteristici del Joker: pelle bianca, capelli verdi e labbra rosse sfregiate in un perenne ghigno malefico.
Guardando l’immagine riflessa, psichicamente traumatizzato da tutto quello che precedentemente gli era capitato in vita, accetta con una sonora risata di essere il Joker, la Maschera dell’uomo che ride perché ha compreso quanto sia folle e insensata la vita, e, di conseguenza, non si pone più il problema di viverla secondo una morale. Il Joker è un folle – o per meglio dire uno schizofrenico -, una scheggia impazzita che agisce senza uno scopo, in modo anarcoide.
Nel fumetto rapisce il commissario Gordon e spara a bruciapelo a sua figlia Barbara soltanto per dimostrare una teoria: qualsiasi uomo, persino il mite e razionale commissario Gordon può diventare un folle se coinvolto “in una giornata storta” (cit.). Batman riuscirà a fermare il Joker, ma il prezzo da pagare sarà molto alto: Barbara Gordon (Batgirl) rimarrà per sempre paralizzata (e in seguito sarà conosciuta come Oracolo). Nel finale Joker rinfaccia a Batman di essere l’altra faccia della stessa medaglia: anche lui è un folle che si aggira di notte alla disperata ricerca di una giustizia che gli è stata negata da piccolo, anche lui con una maschera per nascondere (o enfatizzare) la vera natura da freak: sono entrambi malati di mente, reietti della società malata e violenta che li ha creati.
The Killing Joke è stato utilizzato da Tim Burton per definire le origini del Joker nel suo Batman del 1989 (la famosa scena dell’incidente all’impianto chimico con la caduta di Jack Napier/Jack Nicholson nelle acque tossiche).
In seguito ha ispirato Christopher Nolan in The dark knight soprattutto nel rapporto morboso di odio/dipendenza tra Batman e Joker, e lo stesso Heath Ledger ha dichiarato di essersi rifatto al modello del comic di Moore (insieme a Arkham Asylum: una folle dimora in un folle mondo di Grant Morrison) per l’interpretazione (da Oscar) della follia anarcoide del Joker.
Recentemente anche il regista Todd Phillips ha liberamente tratto il suo Joker da questo fumetto, riprendendo le disavventure sfortunate del passato di comico fallito e accentuando ancor di più i soprusi e i dolori subiti dal protagonista e le conseguenze devastanti sulla sua debole psiche già compromessa: Joaquin Phoenix è riuscito egregiamente ad aggiungere un nuovo tassello interpretativo alla rappresentazione di un grande Cattivo, uno dei più affascinanti antieroi della cultura pop contemporanea.
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