Pau brasil e popoli nativi furono ciò che i colonizzatori portoghesi trovarono quando sbarcarono per la prima volta lungo le coste brasiliane, allora sconosciute al Vecchio Continente. Si sostiene che il termine ‘Brasile’ derivi proprio da questa pianta, pau brasil(corrispondente al nostro italiano “pianta brasile”, meglio conosciuta come pernambuco), in ragione del suo colore rosso brace (brasain portoghese), somigliante a ceppi ardenti di carbone. Il Brasile è il nome che la geografia utilizza per indicare questo territorio immenso a partire dal 1500: prima di tale periodo infatti la terra apparteneva agli Indios.
I conquistadores portoghesi
La lotta per l’accesso alla terra è peculiare della storia del Brasile. Le tappe iniziali di questo fenomeno risalgono ai primordi della colonizzazione portoghese, quando i colonizzatori, prendendo possesso delle aree latinoamericane, introdussero un sistema di sfruttamento delle colonie prevalentemente basato sull’agricoltura di piantagione: enormi estensioni di terra destinate alla produzione di alimenti tropicali per il mercato estero. I colonizzatori arrivarono con l’obiettivo principale di negoziare i propri prodotti e sfruttare la materia prima brasiliana, nell’intento di ampliare il proprio commercio con i paesi europei. Prima di avviare questo processo, tuttavia, passarono circa trenta anni durante i quali il Brasile non fu propriamente colonizzato: la potenza non si preoccupò di occupare le terre, si limitò bensì a sfruttare il lavoro dei popoli indigeni per estrarre pau brasil, offrendo in cambio strumenti e attrezzatura di vario genere. Quando gli Indios rifiutarono la forma di baratto che gli era stata offerta, i portoghesi tentarono allora di schiavizzarli: le tribù si ribellarono e a partire dal 1825 i colonizzatori trovarono più conveniente ricorrere alla già collaudata tratta degli schiavi africani. Di lì a poco, la necessità di proteggere le terre minacciate dalle altre potenze europee spinse i portoghesi ad occupare l’enorme colonia brasiliana e a dividerla in 15 grandi lotti chiamati “capitanie” (capitanerie ereditarie), che vennero affidate a 12 donatari. A partire da questa data è possibile dichiarare l’inizio della vera e propria colonizzazione del Brasile.
Diritti violati, oggi
L’ attacco che si sta consumando oggi in Brasile contro i primi popoli del paese, nonché i migliori conservatori e custodi del mondo naturale, come testimoniato anche dall’organizzazione per i diritti umani Survival International, è di riflesso un attacco al cuore e all’anima stessa della nazione. Il furto dei territori indigeni getta infatti le basi per una catastrofe ambientale.
Quilombolas, faxinalenses, comunidades de fundo e fecho de pasto, ribeirinhos,quebradeiras de cocosono alcune tra le molteplici comunità tradizionali del Brasile. Queste comunità reclamano il proprio diritto alla terra sulla base di un uso immemorabile del suolo, di un sentimento di appartenenza, di un substrato pregno di valori culturali e di tradizioni radicate nel terreno, che tuttavia vive oggi una costante minaccia. Più che di una lotta per l’accesso alla terra, si tratta di una disputa per la legittimità di diritto a un territorio.
Culla di ancestrali tradizioni
I Quilombolas, discendenti degli schiavi africani (afro-brasiliani) che riuscirono a fuggire dalle piantagioni brasiliane in cui erano costretti a lavorare come braccianti, reclamano le terre dove hanno vissuto e lavorato i loro antenati e in cui loro stessi hanno portato avanti un’economia basata sull’agro-ecologia e sull’ecoturismo; i Faxinalenses, abitanti di Faxinal, regione centro-meridionale dello Stato del Paranà, sono comunità esistenti da almeno 200 anni, il cui stile di vita è il frutto di un delicato equilibrio tra l’uso e la conservazione di ciò che la natura offre; le Comunidades de fundo e fecho de pasto sono comunità tradizionali di contadini che associano alle loro usanze secolari di produzione e di vita il consumo di terre collettive, chiamate “os fechos”(lett. “le chiusure”, indicanti campi recintati) o “os gerais” (“i generali”, inteso come uso comune del terreno), destinate all’allevamento del bestiame, alle attività medicinali e di raccolta; i Povos Ribeirinhos,popoli che vivono in prossimità dei corsi d’acqua, vivono prevalentemente di pesca artigianale, coltivazione e attività di silvicoltura sono limitate all’autoconsumo; Quebradeiras de coco, “raccoglitrici di cocco”, la raccolta delle noci di cocco è un’attività tradizionale prevalentemente praticata negli stati di Maranhão, Piauí, Tocantins e Pará, dove più di 300 mila donne vivono in funzione dell’estrazione di coco babaçu, una delle più importanti palme brasiliane.
Modelli di sostenibilità e giustizia
Spesso la parola tradizionale è associata alle pratiche passate. Ripercorrendo la storia di queste comunità è possibile cogliere l’unicità e la genuinità che contraddistinguono queste realtà, appartenenti ad una storia ancora in costruzione. Una storia che rischia tuttavia di testimoniare un’imperdonabile violazione dei diritti umani, nonché una potenziale estinzione di popoli.
<<Il Brasile è uno dei paesi con la maggior concentrazione di terra al mondo. Nel nostro territorio, ci sono i più grandi latifondi. Concentrazione e improduttività possiedono radici storiche, che risalgono agli inizi dell’occupazione portoghese avvenuta in questo territorio nel XVI secolo. Combinata con la monocultura per l’esportazione e la schiavitù, la modalità di occupazione delle nostre terre da parte dei portoghesi stabilì le radici della disuguaglianza sociale che colpisce il Brasile fino ai nostri giorni >> Fonte: Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra
[…] In molti casi, permettere alla natura di prendersi cura di sé stessa implica paradossalmente la costruzione di una governance delle attività umane che ha un impatto diretto sulle pratiche degli agricoltori (creazione ed estensione di aree protette, ad esempio). L’idea che una migliore protezione della natura selvaggia sia possibile esclusivamente lasciandola a sé stessa non è così portentosa come si potrebbe pensare. Ci sono luoghi che trarrebbero sicuramente vantaggio dalla totale esclusione degli esseri umani, ma in generale la conservazione della natura ha molto più successo quando è gestita dalla popolazione locale – si veda la realtà dei popoli indigeni dell’Amazzonia. […]