Il Capodanno moderno, fissato nel 1691 da Papa Innocenzo XII al 1° gennaio (e quindi allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre) è una pura convenzione del mondo occidentale, visto che nessun evento naturale si lega a questa data.
Eppure è ormai entrato a buon diritto tra le feste più celebrate in tutto il Mondo e finisce col coinvolgere anche coloro, dai cinesi ai mussulmani passando per ebrei, indù, tai e persiani, che celebrano in altre date il loro primo giorno dell’anno, mentre per la maggior parte dei giapponesi, che dal 1873 hanno adottato il calendario gregoriano, il 1° gennaio coincide con la festa di Shōgatsu, il loro Capodanno.
È di fatto l’unica festa laica non legata ad eventi storici o d’impronta nazionalista e quindi finisce col celebrare valori universali come la prosperità, la fortuna, la nuova vita che prende il posto della vecchia, il che la trasforma, inevitabilmente, nella trionfo della superstizione.
«Non è vero, ma ci credo» si narra abbia affermato Benedetto Croce parlando della superstizione coniando una frase che Peppino De Filippo trasformò nella trama prima di una commedia, poi di un film di successo .
E la superstizione è la protagonista assoluta del Cenone dell’ultimo dell’anno e del pranzo del primo giorno del nuovo anno visto che quasi ogni pietanza ha un suo significato simbolico.
Le lenticchie ed il cotechino
La simbolologia benaugurante delle lenticchie risale all’Antica Roma in cui erano apprezzate sia per le loro virtù salutari, sia perché, simili alle monete, richiamavano la fortuna e si narra che Caligola stesso abbia richiesto che il trasporto dell’obelisco vaticano, che sotto Papa Sisto V fu innalzato al centro di Piazza San Pietro, avvvenisse su di un letto di lenticchie sia per la loro capacità di assorbire gli urti, sia per proteggerlo con la loro aura di prosperità.
Oggi le consumiamo prevalentemente accompagnate dalla carne di maiale, ed in particolare con un insaccato (cotechino, zampone o salsiccia) unendo ai poteri delle lenticchie la simbologia di abbondanza contadina propria del grasso di maiale.
Il caviale e le altre uova di pesce
Il caviale, ed in generale le uova di pesce, sono da sempre cibi di lusso il cui aspetto richiama, al pari delle lenticchie, le monete. A differenza delle lenticchie hanno anche un ruolo afrodisiaco non del tutto infondato visti i nutrienti che le compongono.
Il salmone, i crostacei e i molluschi bivalvi
Che sia affumicato o fresco il salmone, che è giunto sulle tavole mediterranee per l’influenza della cucina nordica, è un altro dei protagonisti gastronomici del Capodanno soprattutto perché nei popoli de Nord Europa è simbolo di fertilità, tenacia, capacità di divinazione del futuro.
Afrodisiaci per eccellenza i crostacei ed i molluschi bivalvi (come le ostriche e le vongole) a Capodanno simboleggiano invece la potenza sessuale.
L’aringa
Ultima arrivata nella cucina mediterranea in cui si consuma quasi esclusivamente affumicata l’aringa è considerata dai popoli nordici, ed in particolare dagli Olandesi, l’argento del mare, tante sono le sue virtù alimentari. È anche un potente simbolo di connessione col mare ed il suo consumo a Capodanno è, nelle regioni costiere, auspicio di pesca abbondante.
Verdure a foglia verde e frutta secca
Verde è il colore della speranza, mentre la frutta secca è un antico portafortuna. Tradizioni che arrivano dall’Antica Roma e che alcuni popoli, come i Francesi, che alla mezzanotte consumano almeno sette tipi diversi di frutta secca, ripetono ancora oggi assieme a Inglesi e Tedeschi.
Peperoncino e melograno
Accomunati dal colore rosso, simbolo di passione, peperoncino e melograno, con il primo ormai entrato nella cucina mediterranea nonostante le sue origini americane, simboleggiano le virtù femminili. Nella cultura Maya con il peperoncino si celebrava la forza segreta delle donne, mentre il melograno era sacro a Giunone e a Venere, le due divinità femminili tra le più potenti dell’antichità.
Le bollicine e i chicchi d’uva
Immancabili allo scoccare della mezzanotte le bollicine, siano esse uno Champagne, un Franciacorta, un Prosecco o un qualsiasi altro vino spumante, sono l’elemento iconico del Capodanno.
Innumerevoli i loro significati simbolici che nel corso degli anni si sono aggiunti nella cultura gastronomica occidentale.
Dal perlage che richiama lo scorrere del tempo al colore dorato, dal rumore del tappo che salta dalla bottiglia all’ebbrezza provocata dal modesto grado alcolico, che spinge a consumarle senza troppi pensieri, e dalla bassa temperatura di servizio.
Per gli astemi e coloro che vogliono mettersi responsabilmente alla guida ci sono invece i chicchi d’uva, dodici per la precisione, da ingurgitare rapidamente, uno dopo l’altro senza interruzioni, alla fine del conto alla rovescia.
L’alba dopo la notte di Capodanno secondo Aldo Fabrizi
Come concludere la notte di Capodanno? Aldo Fabrizi non aveva dubbi: con un piatto di spaghetti «ar primo sole».
«Doppo ‘na festa caciarona e sciarba,
Fatta de zompi, battimani e fischi,
Sostanno a le fontane e a l’obbelischi,
Un po’ allegrotti ricasamo all’arba.
Dico: “Però ‘sti cotijò che barba…
Quant’era mejo qui cor magnadischi..
A proposito… Forse… È stato er vischi…
Volemo fa ‘na cosa che ci aggarba?”
“Sarebbe?” “Du’ avvorgibbili… A la lesta!”
“La pasta a ‘st’ora? Pe’ l’amore de Dio!
L’ho sempre detto che sei scemo in testa!”
“Vabbè sò scemo… E tu… Si quanno è fatta…
Nun la gradisci…”; “Eh, no tesoro mio;
Si tu sei scemo io mica sò matta!”»
Foto di Myriams-Fotos da Pixabay
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