Cara Silvia, ti stavamo proprio aspettando

La notizia che aspettavamo da 18 mesi: dopo una lunga prigionia, Silvia Romano è stata liberata e atterrerà oggi alle 14 all’aeroporto di Ciampino. La cooperante italiana era stata rapita in Kenya il 20 novembre 2018, è stata liberata ieri, 9 maggio 2020. “Silvia è libera! Ringrazio le donne e gli uomini dei servizi di intelligence esterna! Silvia, ti aspettiamo in Italia”, annuncia il premier Conte in un tweet.

Casoretto, quartiere di Milano dove vive la mamma di Silvia, è in festa. I passanti e i vicini dai balconi applaudono e cantano per celebrare il ritorno a casa della giovane milanese, sulle note di “Viva la libertà”, “Eccoti”, “Oh happy day”. Oggi è la festa delle mamme, probabilmente una festa senza precedenti per la mamma di Silvia, che può riabbracciare sua figlia dopo quasi un anno e mezzo di incubi e dolore. Oggi è la festa della mamma e una figlia torna a casa, dalla sua mamma. Oggi l’Italia festeggia un’altra liberazione.

Il sequestro

Laureata in mediazione linguistica ed istruttrice di ginnastica artistica, il suo sogno era lavorare per la promozione umana nei paesi più poveri. Subito dopo la laurea, Silvia era partita per il Kenya, come cooperante della Onlus marchigiana Africa Milele, e viveva in un villaggio a circa 80 km da Nairobi, a Chakama, dove stava seguendo un progetto di sostegno all’infanzia in un orfanotrofio. Il 20 novembre 2018 un gruppo di persone armate di kalashnikov era penetrato nel villaggio, sparando raffiche per intimidire i presenti e ferendo cinque persone, tra loro anche due bambini, portando via la giovane italiana, allora ventitreenne.

Al momento del sequestro, la polizia locale aveva ipotizzato una pista interna, indirizzando le indagini verso la criminalità comune per il sospetto di un rapimento a scopo estorsivo, con la possibilità che l’ostaggio venisse poi venduto oltre confine a bande più potenti, tra queste, gruppi di jihadisti Al-Shabaab della Somalia (estremisti islamici che operano prevalentemente nella fascia dell’Africa Orientale).

Un successo per l’Italia

“La nostra concittadina Silvia Romano è libera! In un momento così difficile questa notizia è ancor più straordinaria. Ho appena sentito i familiari e ho trasmesso loro l’affetto e la gioia dei milanesi. Grazie a chi ha lavorato silenziosamente per riportarla a casa”, scrive il sindaco di Milano, Beppe Sala. “Sono stata forte e ho resistito. Non vedo l’ora di tornare in Italia”, sembra siano queste le prime parole pronunciate da Silvia, una volta portata al sicuro, presso la foresteria dell’ambasciata italiana nella capitale somala.

Dietro l’apparente inazione e lontani dai riflettori, gli agenti dell’AISE hanno svolto un duro e incessante lavoro, ottenendo finalmente il rilascio della cooperante. L’operazione, diretta dal generale Luciano Carta, è stata condotta con la collaborazione dei servizi turchi e somali. La trattativa con i sequestratori si era sbloccata circa 20 giorni fa; la liberazione è avvenuta a 30 km da Mogadiscio, in una zona della Somalia che versa in condizioni estreme perché fortemente colpita dalle alluvioni degli ultimi giorni.

C’era un paese intero ad aspettare il ritorno di Silvia, un’Italia che forse aveva paura di continuare a crederci ma che non ha mai smesso di sperare che Silvia potesse ancora essere viva, chissà dove e chissà come. In molti hanno continuato a tenere accesa l’attenzione sull’inquietante vicenda: lettere aperte rivolte al nostro governo e al generale Carta, chiedendo di rafforzare ulteriormente l’impegno dell’agenzia e dell’unità di crisi della Farnesina; messaggi e post, pensieri virtuali. Un confuso ma costante girotondo, fatto di speranze e angosce, per dare a Silvia e alla sua famiglia un grande abbraccio, per sostenere e sollecitare l’impegno delle istituzioni a liberarla e riportarla a casa il prima possibile.

Sì, ma quanto ci sei costata?

Eppure, così come avvenne 18 mesi fa, anche oggi, in mezzo a quello che potrebbe essere un pianto di gioia nazionale e di ritorno alla vita per una giovane italiana e la sua famiglia, non mancano riprovevoli commenti d’odio e di violenza da parte di cinici connazionali. Non crediamo valga la pena ascoltarli, tantomeno dare loro adito, ma è giusto che anche la vergogna trovi il suo piccolo spazio, per poi rimanere in un angolo triste, freddo e remoto del web. “Avrebbe fatto meglio a rimanere a casa”, era uno dei commenti più in voga nei social, subito dopo il sequestro di Silvia. Perché di fronte a queste “sfortunate realtà”, non va più bene neanche “aiutarli a casa loro”. Spesso coloro che denigrano chi sceglie di andare ad aiutare laddove c’è più bisogno sono gli stessi che chiedono “aiutiamoli a casa loro, piuttosto che farci invadere”; sono gli stessi che oggi chiedono il conto allo stato italiano per la liberazione di Silvia Romano: “ma quanto ci costi? E adesso stattene a casa”, “ma vaff … va”, “la cosa mi lascia indifferente, ci sono fatti molto più importanti ai quali pensare”, “e perché chi ha chiuso l’attività per due mesi, ancora non ha visto il becco di un quattrino?”, sono solo alcune delle critiche che hanno invaso i vari canali.

Come se la liberazione di Silvia fosse in qualche modo causa del baratro economico che ci troviamo ad affrontare oggi o in grado di compromettere i sacrifici ai quali l’emergenza sanitaria nazionale e globale ci ha costretti.

Bentornata a casa, Silvia!

Fortunatamente sono tanti i giovani non indifferenti al mondo e alle ingiustizie, che hanno deciso di non voltarsi dall’altra parte. Tra questi vi è Silvia, con l’unica differenza di essere stata più sfortunata rispetto ad altri, probabilmente anche meno tutelata. Silvia ha inseguito un sogno: contribuire a costruire angoli di mondo migliori di quello che stiamo vivendo. E se chi sfreccia sulle due ruote è da molti considerato un eroe poiché in grado di regalare coraggiosamente emozioni, non dovrebbe essere da meno chi silenziosamente opera in villaggi sperduti dell’Africa, regalando emozioni e piccoli cambiamenti, tuttavia meno visibili.

“Amo piangere commuovendomi per emozioni forti, sia belle sia brutte, ma soprattutto amo reagire alle avversità. Amo stringere i denti ed essere una testa più dura della durezza della vita. Amo con profonda gratitudine l’aver avuto l’opportunità di vivere”, sono le parole di Silvia, riportate dal papà Enzo, che scriveva il 13 settembre in occasione di quello che era il secondo compleanno vissuto da Silvia, laggiù in Africa.

Silvia è stata forte, sì, ma continuerà ad aver bisogno della sua forza, così come di serenità. Molto probabilmente ciò di cui al momento non abbisogna è la pressione psicologia che inevitabilmente deriverebbe da un’ incontrollata sete mediatica. Diamole tutto il tempo per gioire, piangere, rifugiarsi e forse tornare a condividere gioie e dolori, di nuovo.

Ce l’hai fatta, Silvia, sei stata più dura della durezza. Ora goditi la tua libertà.

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