Carlo D’Amicis (Taranto, 1964) vive a Roma. È autore dei programmi “Fahrenheit” (Radio 3 Rai) e “Quante Storie” (Rai 3). Ha pubblicato diversi romanzi, quattro dei quali con Minimum Fax. È stato candidato al David di Donatello per la miglior sceneggiatura non originale con “La guerra dei cafoni”, tratto dal suo romanzo omonimo. L’ultimo suo libro, “Il gioco“, è candidato al Premio Strega.
Il gioco è un libro dal contenuto audace: la storia di un gioco erotico morboso narrato con notevole maestria letteraria.
Carlo, scrittori si nasce o si diventa?
Si diventa, tutt’ora io scrivo per diventarlo. La scrittura non è mai una condizione acquisita, ti rimette continuamente in discussione. Personalmente, se accetto la definizione di scrittore, è solo per una convenzione con il mondo esterno. Penso sempre: diventerò un vero scrittore solo se riuscirò a scrivere il prossimo libro…
Su e con quali letture sei cresciuto?
Come lettore, devo moltissimo ai miei fratelli (sono l’ultimo di cinque figli). Più che il piacere per le letture tipiche della mia età, ricordo la curiosità per le loro. Molto piccolo, ho consumato una versione illustrata dell’Eneide alla quale probabilmente devo la mia passione per l’epica (anche moderna).
Il tuo ultimo romanzo Il gioco è candidato al premio Strega. I tre protagonisti si godono un intrigante è scandaloso triangolo erotico che si snoda secondo la ritualità di un gioco. Come è nata l’idea di creare una storia con questo tema?
Il libro nasce da una riflessione intorno al desiderio. Siamo portati a pensare ad esso come a una legge alla quale dobbiamo sottostare. A ogni nostro desiderio, invece (nella sfera erotica, ma non solo) corrispondono lunghe e complesse trattative con noi stessi e con gli altri: un esercizio di mascheramenti e svelamenti che alla fine si configura, appunto, come un gioco, con tanto di ruoli, strategie, obiettivi. Mi è sembrato un territorio interessante nel quale entrare, anche per restituire all’erotismo una complessità e una gamma di registri – dal comico al poetico all’avventuroso, e perché no?, al politico – che secondo me ne fanno parte integrante.
Scrivere di eros non è semplice. Lo affermava anche Alberto Moravia, maestro in tal senso. È davvero complicato raccontare il sesso?
Più che difficile, il racconto del sesso è codificato fino alla stereotipo: nei romanzi o nei film fanno sesso solo le persone che si amano (e allora si utilizza la discrezione, la dissolvenza) o quelle che cedono alla cosiddetta passione, agli impulsi carnali. In realtà fare sesso è solo la punta di un iceberg molto più grande, che affonda nella nostra psiche e che spesso non vedrà mai la luce. I personaggi di questo romanzo hanno il coraggio di immergersi in questo abisso (in parte, perché nemmeno nell’individuo più disinibito esiste un eros senza inibizioni) e di renderlo parte integrante della propria esistenza. Il mio interesse, quindi, è tutto concentrato sulla dimensione interiore dell’eros, sul suo legame con il nostro modo di essere, di fare, di pensare. Molte persone questo legame lo rifiutano, tendono a pensare che loro sono una cosa e la loro sessualità un’altra (al punto da nasconderla anche ai propri occhi): far accettare che si può fare letteratura, indagare la nostra umanità, attraverso il l’eros: questo sì che non è semplice!
Sei redattore di Fahrenheit, la bella trasmissione radiofonica di Rai 3 dedicata ai libri.Quale pensi che sia il ruolo della letteratura nella società del virtuale e della tecnologia multimediale?
Penso che il ruolo della letteratura sia sempre lo stesso in ogni epoca: cercare quanto di più profondo e universale c’è nella nostra umanità, e rappresentarlo. La rappresentazione, la cosiddetta messa in scena, è tanto più necessaria quanto più questo nocciolo umano si sottrae (proprio perché profondo e universale) a una definizione, a una sintesi, a una immediata traduzione. Si potrebbe anche dire, paradossalmente, che la letteratura interviene laddove le cose non possono avere una lingua, inventandone un’altra tutta sua. Per questo, pur lavorando a programmi radio e televisivi che in parte contribuiscono a questo processo, soffro tutti i tentativi (questi sì, figli della nostra epoca) di richiudere il senso di un’opera in una formuletta veloce che ci dà l’impressione di sapere.
Che rapporto hai con i social networks?
Cauto. Per i social network vale il vecchio e sano principio: le cose devono essere al servizio delle persone e non viceversa. Quindi cerco di usarli per quello che mi servono (ci trovo spesso informazioni utili) e/o che mi divertono (non moltissimo, sinceramente: in linea di massimo preferisco il dialogo uno a uno). Più in generale m’infastidisce l’idea di non poter non stare su Facebook, così come in passato, ancora più massicciamente, non si è potuto non avere un cellulare o una mail. In definitiva, sono favorevole all’innovazione tecnologica, ma contrario all’obbligatorietà di parteciparvi. Come dice un personaggio del mio libro: Io amo solo le rivoluzioni alle quali si è liberi di non aderire.
Giochi a calcio nella nazionale scrittori. Sei anche tifoso?
Nella nazionale scrittori ho giocato per quindici anni, ma adesso il calcio si sta vendicando di tutto quello che gli ho fatto rendendo inutilizzabili le mie articolazioni. In realtà il mio è un ritiro indocile, la notte sogno di tornare sul campo con delle ginocchia nuove, d’oro e d’argento, e non è detto che, prima o poi, nonostante tutto, non ci riesca. Per quanto riguarda la squadra del cuore, sono della Lazio, nato al tifo con Re Cecconi, Chinaglia, Maestrelli: la squadra più letteraria nella storia del calcio.
Nella nostra liquida società quali sono i tuoi punti fermi?
I punti fermi sono sempre e comunque gli affetti, le persone a cui voglio bene. D’altra parte non mi piace considerare ferme le loro presenze nella mia vita, perché l’affettività dovrebbe essere sempre in movimento, contemplare in sé un progetto. Ovviamente, siccome l’amore e l’amicizia sono comunque sentimenti etici, si potrebbe anche dire che i punti fermi, nel pubblico e nel privato, restano i valori morali, come il rispetto, la generosità, il coraggio. Ma dovremmo sempre ricordarci che le virtù vanno applicate alle persone, e che l’individuo resta il centro di tutto.
Che cosa porteresti con te su un eremo?
Porterei le persone che amo. Ma temo che in questo caso non sarebbe più un eremo!
Che cosa vuoi fare da grande?
Non lo so, ma so che vorrei farlo al meglio.
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