Carmen Di Marzo tra teatro e cinema

Metro Ottaviano. È lì che abbiamo appuntamento, io e Carmen. Cerchiamo un luogo dove sederci con calma davanti a un buon caffè per parlare di spettacolo, della luminosa carriera di questa giovane, brava  attrice.

Baci e abbracci. Ci salutiamo come vecchie amiche anche se ci conosciamo appena. Adoro l’affabilità ed il trasporto che sempre dimostrano coloro che calcano le scene.

È splendida: lunghi e ricci capelli rossi, occhi castani e profondi, sorriso luminoso. Una giovane donna entusiasta della vita, così mi appare. È giovane solo di età, però, poiché la sua esperienza lavorativa è davvero notevole. Artista eclettica, muove i primi passi nel mondo dello spettacolo come danzatrice classica e moderna, poi arriva la prosa e si trasferisce a Roma, dove frequenta l’Accademia d’Arte Drammatica Menandro. Da allora ha fatto molto teatro; si è divisa tra prosa, danza e canto, padroneggiando anche la difficile arte del monologo con Rosy D’Altavilla. L’amore oltre il tempo per la regia di Paolo Vanacore, andato in scena dal 2016 al 2018 in una lunga tournée italiana che proseguirà ancora nei prossimi mesi.

Il primo maggio scorso è uscita la sua ultima fatica cinematografica, Arrivano i Prof, di Ivan Silvestrini; pellicola in cui Carmen recita accanto a Claudio Bisio, Maurizio Nichetti e tanti altri simpaticissimi attori. Della sua interpretazione parlerà lei stessa.

È attualmente impegnata nelle repliche romane de Il Berretto a Sonagli, in scena al teatro Ghione per la regia di Francesco Bellomo. Affianca attori strepitosi: Gianfranco Jannuzzo, Emanuela Muni, Anna Malvica, Caterina Milicchio, Alessandra Ferrara, Franco Mirabella e Gaetano Aronica. Un cast di pregio per un’opera davvero ben realizzata, di cui ho avuto recentemente modo di scrivere. Carmen interpreta la parte della Saracena, la cartomante che, con la sua divinazione, dà il via al dramma di gelosia: “Le carte non mentono. Gli uomini sì. Specialmente i mariti!”

Il suo ruolo teatrale pirandelliano mi ha dato l’idea per quest’intervista. Saranno le lame dei tarocchi a scandire la nostra chiacchierata. Del resto … le carte non mentono mai!

Cominciamo con il diciassettesimo arcano maggiore, le Stelle, che simboleggia il cielo dell’anima, l’illuminazione interiore e, dunque, anche la chiaroveggenza. Ne Il Berretto a Sonagli, che hai interpretato sia con Caruso, sia con Jannuzzo, tu sei la Saracena, la maga, la cartomante. Parlami di questo tuo ruolo.

La Saracena è un personaggio molto particolare. In questa edizione del Berretto parlo napoletano; andava sottolineata, anche attraverso una differenza dialettale, la contrapposizione di ceto e di contesto culturale con gli altri personaggi. Mi sono ispirata a Raffaele Viviani, nell’interpretarla, poiché nelle sue opere egli ha sempre tratteggiato personaggi del popolo e lei una popolana, una pettegola, una donna sottilmente perfida, che si diverte ad istigare rabbia, a fomentare rancori; è una donna che macchia con i sospetti il buon nome della famiglia di Beatrice, persona forte e fragile al contempo, che, in qualche modo, da vittima diventa involontariamente connivente con la Saracena, a causa della sua anticonvenzionalità e della sua capacità di ribellione che la portano sulla via dello scandalo. La Saracena è quasi divertita dal dolore che porta nella vita altrui; pensiamo alla sua risata chiassosa, al suo modo subdolo di insinuare tarli, come quando parla della collana a pendagli. È ambigua. A volte la immagino come un serpente.

Erpetologia teatrale: bella immagine! Veniamo ad altro. Dispongo sul nostro inesistente tavolino divinatorio il Bagatto, il Mago, che si destreggia in giochi di prestigio e, in alcune raffigurazioni, tiene in piedi un tavolino a tre zampe. Mi fa pensare alla tua versatilità artistica: ballo, canto, recitazione; teatro, televisione e cinema. Avremo modo di parlare del tuo recente successo cinematografico. Al momento vorrei che mi riassumessi il tuo rapporto con il cinema in genere.

Il cinema è l’altro mio grande amore, oltre al teatro. Credo che siano due facce della stessa medaglia: non ci sono attori di teatro e attori di cinema, ci sono solo bravi attori tout court, in grado di recitare in ogni situazione. Fare cinema, per me, è stata l’occasione per approfondire il linguaggio recitativo: stare sul set non è la stessa cosa che stare sul palcoscenico. Sono due esperienze e due modalità espressive diverse e complementari, perché hanno in comune la ricerca della verità soggettiva, dell’onestà intellettuale. Il lavoro dell’attore si muove sempre su realtà intime e delicate, ma nel cinema si recita in sottrazione, mentre sul palcoscenico in amplificazione. Sono entrambe delle grandi scuole. Ho avuto la fortuna di fare provini con persone che hanno creduto in me. Ho iniziato con i cortometraggi e poi sono passata ai film.

Ecco, i cortometraggi. Ne sono affascinata. È una forma d’arte che, nell’universo narrativo,  paragono al racconto: contengono l’essenziale, rappresentano l’estrema sintesi. Quando sono ben realizzati compongono una storia con poche pennellate.

Uno dei corti a cui sono più legata è Uno studente di nome Alessandro, che, nel 2012, ha vinto il Nastro d’Argento. È una storia molto toccante, magistralmente diretta da Enzo De Camillis. Alessandro Caravillani è l’ultima vittima di Francesca Mambro. La storia, dunque, ondeggia tra il macrocosmo della violenza degli anni di piombo ed il microcosmo della vita di questo ragazzo che, andando a scuola, si ritrova nel bel mezzo di una sparatoria, rimanendo ucciso. Io interpreto il ruolo della sua fidanzata. Ero molto giovane. Devo dire che ho introiettato il personaggio fino a farmi toccare l’anima: questa ragazza saluta il fidanzato pensando di rivederlo nel pomeriggio e si ritrova a fronteggiare il più crudele e definitivo degli addii, la morte. Oggi ad Alessandro è intestato un liceo. È consolatorio pensare che tanti studenti, che avranno il radioso futuro a lui negato da un proiettile, studino in un luogo che porta il suo nome. Un altro cortometraggio che amo molto è Confinati a Ponza, del 2016, diretto da Francesco Maria Cordella ed interpretato da grandi attori come Peppino Mazzotta, Bruno Torrisi, lo stesso Cordella, Debora Caprioglio, Antonella Piccolo e Francesco Dainotti.

Stiamo parlando dell’estate del 1943, quando, caduto il fascismo, Mussolini viene confinato a Ponza, luogo in cui egli stesso aveva mandato molti esponenti dell’antifascismo, giusto? Lui e Pietro Nenni si ritrovano sulla stessa isola: il primo per volere del re, il secondo per volere di Mussolini, come ebbe a scrivere lo stesso Nenni …

È esattamente questo il contesto storico. Io interpreto la cuoca dei confinati, Luisa De Luca Spignesi, una donna ponzese umile e, proprio per questo, dotata anche di grande buonsenso, di una dirittura morale quasi sconcertante. È un personaggio realmente esistito. È morta nel 2012 a 104 anni. La pièce è inevitabilmente un po’ romanzata, ma si basa comunque sui fatti storici. Questa donna ascoltava le confidenze di tutti …

… spesso si rendeva tramite di comunicazioni segrete, persino amorose, come quelle tra Pertini e Giuseppina Mazzella …

Esatto. Proprio per questo abbiamo immaginato che potesse aver tentato di fare da mediatore di pace tra Nenni e Mussolini. Nenni, però, aveva perduto la figlia ad Auschwitz, non aveva chiesto aiuto a Mussolini e la frattura tra i due era ormai insanabile. Luisa entra nel complesso rapporto tra i due con i suoi consigli semplici e tanto saggi da mettere in crisi entrambi. È stato un ruolo molto impegnativo e di grande soddisfazione.

Veniamo ai lungometraggi

Ho fatto molti film. Voglio ricordare, tra i tanti, Viva l’Italia e Confusi e felici, entrambi diretti da Massimiliano Bruno, Gomorroide, una divertente parodia di Gomorra, ed Il flauto magico di piazza Vittorio, un musical metropolitano e visionario che rivisita in chiave moderna l’opera di Mozart. Faccio una piccola parte, in questo film, la mamma di un bambino, ma è stata una produzione importante, con la regia di Mario Tronco e Gianfranco Cabiddu e con la partecipazione di grandi artisti. Sono molto onorata di aver fatto parte del cast. Poi, ovviamente, c’è Arrivano i Prof, uscito a maggio di quest’anno …

… e ne parleremo a breve. Ora, voglio scegliere un’altra lama dall’invisibile mazzo di tarocchi che abbiamo sul tavolo: il Sole, per parlare di te. Sei diplomata in lingue; ho visto un tuo video in inglese in cui ti misuri con una parte molto difficile tratta dal film The Silence of Lambs. Sei, come è giusto che sia oggi, una donna internazionale …

Grazie per aver parlato di quella mia prova attoriale in inglese. Nasce come un provino linguistico. Un famoso regista internazionale, prima che io facessi il provino per una parte in un suo film, mi chiese un video con un saggio recitativo in lingua, al fine di valutare il mio livello d’inglese. Devo dire che fu entusiasta della mia prova, tanto che mi scelse. Peccato che, poi, il film non venne realizzato per problemi di produzione. In ogni caso, lui stesso mi disse di diffondere on line il video perché la mia interpretazione era così intensa da meritare visibilità.

Tuttavia, non è all’inglese e alla tua internazionalità che ricollego il sole dell’arcano “scelto” per la domanda, quando a Napoli, una città che amo molto. Tu hai portato in scena anche un testo di Raffaele Viviani, Festa di Piedigrotta. Dialetto impegnativo, il suo, assonanze antiche … Ricordo una magnifica serata che passai, anni fa, a casa dell’amico giornalista Mimmo Liguoro. Qualcuno lesse con grande pathos una poesia di Viviani, Mast’Errico, e mi spiegò la difficoltà di quella lettura, degli arcaismi di quel dialetto. Anche ne Il Berretto a Sonagli interpreti la parte di Saracena e reciti in napoletano, come, del resto, hai fatto in molte altre occasioni. Qual è il tuo rapporto con la napoletanità?

È sicuramente un rapporto viscerale, sebbene non privo di conflitti, come tutti i grandi amori. Napoli è una città cui devo moltissimo, come moltissimo devo a Roma; rappresenta l’origine, la radice più profonda. La Festa di Piedigrotta di Raffaele Viviani è stato un lavoro che mi ha profondamente toccata. In parte ha rappresentato un mio ritorno a Napoli, abbandonata per Roma ai tempi dell’Accademia, una mia riconciliazione con la città natia; in parte è stato un punto di partenza per la costruzione di molti altri miei personaggi partenopei, compresa la Saracena, come ti dicevo.

Ed è una costruzione fatta ad arte, lasciatelo dire. Peschiamo, ora, la lama della Giustizia. Anche nel mondo dello spettacolo, al pari di ogni altro, esiste la mortificazione della meritocrazia? Hai mai visto avanzare raccomandati privi di talento e che reazione hai avuto?

Qualunque sia il lavoro che si svolge nella vita, credo che sia capitato a tutti, almeno una volta, di vedersi passare davanti il raccomandato privo di talento. Il mondo dello spettacolo non differisce da qualunque altro lavoro, in questo. Quando ero più giovane vivevo molto male il nepotismo. Forse, da ragazzi, si è più idealisti. Oggi vedo e passo oltre. Non mi lascio scalfire dalle bassezze altrui. Credo fermamente che studio e lavoro, serietà e dedizione paghino sempre. È una cosa che insegno anche ai ragazzi delle scuole di recitazione dove sono docente. Ciononostante i favoritismi esistono, non si può negarlo.

È la volta del nono arcano, l’Eremita. Molti gli aspetti positivi di questa carta: la concentrazione, l’approfondimento, la sobrietà. Ma è la solitudine ciò che mi interessa, in questo caso. Nel dorato mondo dello spettacolo, che il pubblico percepisce come pieno di vitalità, di riflettori, di eleganza, di sorrisi, ci si sente anche molto soli. La solitudine è insita nel concetto di maschera, pensiamo a Pierrot. Tu sei una giovane donna partenopea, hai il sole dentro. La mia domanda, però, vuole scoprire una parte della tua intimità: ti senti mai sola? Il tuo lavoro ti porta spesso a viaggiare, ad allentare le radici, a lasciarti dietro molti affetti …

Come no! La solitudine è una costante della mia vita. Un po’ perché, come hai detto tu, noi attori viaggiamo spesso, ci muoviamo e, dunque, non riusciamo a relazionarci con gli altri attraverso le medesime modalità di chi è stanziale; un po’ perché la solitudine è, per me, un percorso di conoscenza di me stessa, di ritrovata intimità, di riflessione. Ne ho bisogno. Ho tanti amici, una vita sociale ricca, ho vissuto amori meravigliosi, ma sono irrinunciabili i momenti che passo con me stessa. Forse, ad influenzarmi c’è anche la consapevolezza di quanto sia difficile poter essere capita da chi non fa il mio stesso lavoro, ocomunque un lavoro artistico. L’arte richiede abnegazione, presenza, concentrazione, sacrificio. Convivo con la mia solitudine, dunque, ma lo faccio con grande serenità.

Il progresso, l’avanzata costante e migliorativa verso il futuro, simboleggiata dalla settima lama, il Carro, muta prospettiva, in questa mia domanda, perché voglio sapere se, dal carro della tua poliedrica attività artistica, che marcia speditamente verso nuovi successi, ti guardi mai indietro. Hai rimpianti, rimorsi professionali?

Sicuramente guardo dietro le mie spalle per essere certa che l’esperienza fatta fino ad oggi mi segua e costituisca l’arricchimento utile ad andare avanti; ma rimorsi e rimpianti, no, non ne ho. Con grande onestà, posso dire che non mi pento di nulla.

Estraggo dal mazzo fittizio dei miei tarocchi la carta della Forza per indagarne l’aspetto meno evidente: nulla a che fare con la temerarietà e la potenza fisica di chi apre la bocca di un leone a mani nude. No. Voglio parlare della calma morale, dell’intelligenza che domina l’istinto. Shakespeare diceva che la calma è la virtù dei forti. Ti è mai capitato, durante uno spettacolo, di dover fare appello a tutta te stessa per non perdere la calma con un collega, pur sapendo che avresti avuto ragione a perderla?

Sicuramente. Ogni giorno. Io sono una donna molto passionale e devo dire che, da giovane, prevaleva l’istinto, un istinto spesso in grado di smascherare certi pensieri. Negli anni, invece, sono diventata più riflessiva. Mi dedico a contare fino a dieci, come si suol dire, e consento all’eccesso di passione di sedarsi nella riflessività. Ho lavorato molto su me stessa e ne ho trovato giovamento.

A volte si deve contare fino a venti …

… anche fino a cento. L’importante è farlo.

E veniamo alla passione, a quella fuori controllo, a quella irrinunciabile. I tarocchi la racchiudono nell’immagine del Diavolo. Recitare, cantare, ballare sono le passioni della tua vita. A quale altra passione vorresti legarti? Di fronte alla classica bacchetta magica in grado di esaudire un desidero, cosa chiederesti per accendere la tua vita con una nuova passione?

Sono una grande estimatrice dell’arte pittorica. Visito spesso musei e mostre. Sono assolutamente negata, nella pittura, ma ho l’occhio per apprezzarla. Dunque, al Genio della lampada chiederei senza dubbio una mano da pennello.

Nello studio dell’iconografia antica, una lama che mi ha sempre affascinato è quella della Luna. Sembra un’immagine notturna serena, ma c’è un’insidia che si affaccia. Le cose nascoste del mondo, a volte, fanno paura. C’è qualche paura legata alla tua vita artistica?

Paure legate a mie interpretazioni, a miei progetti direi di no, perché io sono una che osa, che si lancia con fiducia e tanto studio. Forse la paura che ho è legata alla salute: vorrei che mi assistesse per consentirmi di realizzare tutto ciò che ho in mente di fare. Ma credo che sia una paura di molti, a prescindere dal lavoro che fanno.

Veniamo al tuo più recente progetto cinematografico. Nel film Arrivano i Prof interpreti la parte di una professoressa, la signora Carli, che si ritrova circondata da colleghi un po’ sui generis, chiamati ad insegnare in una scuola dal bassissimo rendimento, nella speranza che le loro stranezze, sommate a quelle degli studenti, producano bravura. La storia ha origini francesi: un libro trasformato in film, Les Prof, del 2013. Come insegnante in questa folle scuola, ti senti più vicina al secondo arcano, la Papessa, introspettiva e silenziosa, oppure al terzo, l’Imperatrice, brillante ed assertiva?

Direi che il mio ruolo è in bilico tra i due caratteri. La professoressa Carli è una donna molto conservatrice, tradizionalista; guarda con sospetto a questo gruppo di professori naif, sebbene, alla fine, si scioglierà anche lei, cadrà il suo guscio di durezza ed uscirà fuori la sua femminilità.

Ancora un arcano, il Mondo, la carta del successo, della completezza, della perfezione; una carta che ho scelto per simboleggiare una domanda sul tuo futuro. Innanzi tutto, so che a breve ti verrà assegnato un prestigioso premio …

Sì, parteciperò al Festival del Cinema di Salerno dove riceverò un premio molto importante. Per darne notizia, però, vorrei attendere ancora un poco, ma posso dire sin d’ora che mi emoziona molto.

Altri progetti, desideri? Cosa bolle in pentola?

Dopo Il Berretto a Sonagli riprenderò il mio monologo, Rosy D’Altavilla. L’amore oltre il tempo. È un progetto cui sono molto affezionata. Attraverso parole e musica porto lo spettatore in una Napoli allietata dalle più famose canzoni dialettali dei primi del Novecento. Devo dire che sta avendo molto successo da più di due anni, in tutta Italia. Sto lavorando, inoltre, ad un secondo monologo che si intitolerà 14, un lavoro davvero particolare, la cui trama verrà rivelata a tempo debito. Nella pentola del mio immediato futuro, inoltre, bollono anche alcuni progetti cinematografici.

Tanti piani per il futuro, dunque; tutti interessanti e preannunciati con grande entusiasmo e vitalità. Non si può che attenderli con altrettanto entusiasmo.

L’intervista, purtroppo, finisce qui. Spazio crudele. Riservo a me stessa la carta del Matto, puntando più sull’esaltazione dell’istinto che sulle caratteristiche negative di questo arcano. Solitamente mi identifico con questa figura a causa della somiglianza caratteriale con il Matto del Re Lear: come lui dico sempre ciò che penso e non temo neppure i re, se devo dire la mia verità. Harold Bloom, in una sua bella lettura critica del testo shakespeariano, adombra un’identificazione del Matto con Merlino. Sarebbe anche un mago in grado di ingannare il Tempo, dunque. Mi piace. In questo caso, però, continuando a pescare nell’invisibile mazzo di tarocchi che mi ha accompagnata nel corso dell’intervista, il Matto con cui mi voglio identificare è quello raffigurato sulla lama numero zero: un viandante che attraversa il mondo con il poco che ha da offrire, ma con il cuore aperto a tutto ciò che vede. Alcune volte viene rappresentato mentre cammina sul ciglio di un burrone senza cadere. Nelle mie interviste, nei miei articoli, nelle mie recensioni mi capita spesso di temere di non essere all’altezza, di sentirmi sul ciglio di un burrone, fa parte della mia insicurezza e della mia odiosa meticolosità che vuole perfettibile qualunque mia performance. Se non cado, però, è grazie alla bellezza del teatro, del cinema, della letteratura, dell’arte, perché la bellezza non porta mai rovina; e lo devo alla bravura, all’umanità, all’intelligenza dei personaggi che ho avuto la fortuna di incontrare ed intervistare, con i quali sono entrata subito in sintonia e che mi hanno fatto sentire a casa, perché il vero talento è sempre accogliente.

Grazie, Carmen, per questa magnifica chiacchierata. Ad maiora.

[Le foto della signora Di Marzo sono di Giacomo Spaconi]

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