Negli ultimi tempi, a causa del susseguirsi di atti terroristici da parte dell’Isis e il timore di esserne coinvolti in prima persona, appartenere alla fede cristiana sembra essere diventata una colpa. La paura di essere ammazzati soltanto perché appartenenti agli “infedeli” ci turba e ci sta condizionando la vita.
Ammettiamolo. Ogni volta che ci troviamo in un luogo pubblico, a guardare uno spettacolo piuttosto che sulla metropolitana, a fare spese in un centro commerciale o a mangiare in un ristorante, il pensiero funesto, seppur velato, ci attraversa labile la mente. Magari dura un secondo, però c’è. Inutile nasconderlo.
Rispetto al mio periodo di credente in età adolescenziale, oggi essere cristiani appare assai più pericoloso. A quel tempo gli unici atti terroristici, pur gravi, che si cominciavano a sentire, erano quelli delle brigate rosse. Non che i responsabili di tali azioni fossero meno vigliacchi e facessero meno danni dei terroristi odierni ma, a noi giovani studenti, sembravano lontani dal nostro piccolo mondo di umili cittadini. Ci sembravano azioni violente non temibili e non avevano nulla a che vedere con la religione. Non ci incutevano timore perché erano azioni rivolte soprattutto a personalità politiche. Non ti sentivi coinvolto personalmente e comunque era sconosciuta a noi l’idea di chiudersi in casa.
Oggi la situazione è diversa. Non ci si sente più sicuri da nessuna parte. Siamo consapevoli del fatto che, come da più voci blasonate ci viene suggerito, dovremmo continuare a fare le stesse cose, senza paura, come facevamo prima che si palesasse l’Isis; perché rinchiudendoci in casa ci assoggetteremmo al volere criminale di incuterci terrore e faremmo il loro gioco. Ma non è facile non pensarci, soprattutto per chi, per lavoro, in questo periodo giubilare, è costretto a confrontarsi quotidianamente con lo schieramento di forze dell’ordine che occupano le nostre città e i luoghi pubblici nazionali, cosiddetti sensibili.
Dove a volte più che in città si ha la sensazione di essere su un set di un film poliziesco.
Fortunatamente, però, noi italiani abbiano innata la cultura della socializzazione e della libertà d’espressione, in ogni sua forma e vivere la strada, con o senza minacce, non ci fa paura. Anzi, ci viene naturale.
Anche perché come fedeli cristiani non abbiamo una strategia di difesa, o ancor meno di contrattacco. Noi siamo cresciuti a pane ed accoglienza; le nostre porte erano, e sono ancora, aperte al vicino. E non guardiamo se questo è cristiano, musulmano, ebreo o indù. Neanche se è bianco, nero o di altro genere diverso dal nostro.
Noi siamo aperti al prossimo, perché ci fidiamo; perché l’ospitalità l’abbiamo come indole, non possiamo violentarci e chiuderci in noi stessi. Tantomeno dentro casa.
Se poi la domenica andiamo a messa e a fine anno festeggiamo il Natale di Gesù Cristo, che ce voi fa’… siamo cristiani.
di Enzo Di Stasio
Nella foto, Il Caffè della Pace a Roma: italianways.com
Scrivi