Lorenzo de’ Medici meritò l’appellativo di Magnifico per la sua grande attività di mecenate e per il suo significativo contributo nel campo della cultura italiana. Siamo nel Quattrocento, secolo caratterizzato da quel dinamico movimento filosofico, artistico e culturale che ha rilanciato l’immagine dell’uomo come centro dell’universo, e che è passato alla storia come Umanesimo. In questo periodo (e già dai tempi di Cosimo il Vecchio) grandi artisti e intellettuali gravitano intorno alla corte medicea e la onorano con opere che oggi vengono riconosciute come patrimonio dell’umanità.
Si pensi a Sandro Botticelli, il pittore di La nascita di Venere e La Primavera, oggi conservate alla Galleria degli Uffizi. O anche al giovane Michelangelo, che oltre a essere l’artista che ha scolpito il David è stato anche un poeta. Oppure si pensi a grandi letterati dell’Umanesimo come il dissacrante Luigi Pulci, il neoplatonico Marsilio Ficino e il sapiente Poliziano, che ha onorato lo sfortunato fratello di Lorenzo con il poema Stanze per la giostra di Giuliano de’Medici.
La fortuna della poesia in volgare presso la corte medicea
In un momento di grande rilancio del latino come lingua dell’alta cultura, presso la corte medicea la lirica in volgare trova un luogo d’eccezione in cui prosperare. Lorenzo stesso si lascia ispirare dalle Muse, cimentandosi in prima persona nell’arte poetica. Suoi sono infatti i famosissimi versi «Quant’è bella giovinezza/che si fugge tuttavia:/chi vuol esser lieto, sia,/di doman non c’è certezza».
Queste parole sono rimaste impresse nella mentalità popolare alla stregua di un proverbio. Inoltre, hanno il pregio di riassumere in poche righe i temi fondamentali della lirica in volgare del Quattrocento: la bellezza della gioventù, l’importanza di godere dei piaceri transitori della vita, il tempo che scorre inesorabilmente, l’incertezza del domani.
La Canzona di Bacco: un inno al carpe diem
Questi versi fanno parte della Canzona di Bacco, la più nota tra le Canzone carnascialesche di Lorenzo de’ Medici. Composta in occasione del Carnevale del 1490, si configura come un vero e proprio inno al carpe diem a fronte di un futuro incerto. Questo invito rivolto a «chi vuol esser lieto, sia» ricorre identico alla fine di ogni strofa, come un vero e proprio ritornello. Esso dimostra quanto la sensibilità dell’uomo dell’Umanesimo sia distante da quella dell’uomo del Medioevo, che vedeva nei piaceri terreni non una strada di realizzazione ma una tentazione che negava la prospettiva di un’elevazione morale.
Nella Canzona di Bacco il primo personaggio che compare è, appunto, Bacco. Non a caso la tradizione classica lo identificava come il dio del vino e dell’ebbrezza. Chi meglio di lui, dunque, potrebbe incarnare l’allegria e il godimento dei piaceri terreni? L’occasione in cui è ambientata la ballata è il corteo in onore del matrimonio del dio con la bella Arianna, famosa figlia di Minosse che secondo il mito era stata rapita e poi abbandonata da Teseo. A questo corteo prendono parte vari personaggi mitologici legati a Bacco, segni di quel recupero della tradizione classica che tanto caratterizza la letteratura dell’Umanesimo.
La vecchiaia, la morte, la rinascita
Ci sono i satiri, le ninfe e re Mida. Ma soprattutto c’è Sileno, precettore di Bacco, che viene invitato al godimento nonostante non possa più contare sulla giovinezza («Questa soma, che vien drieto/sopra l’asino è Sileno:/così vecchio è ebbro e lieto,/già di carne e d’anni pieno). Sileno è l’unico personaggio del componimento che rappresenta il contraltare della gioventù: la vecchiaia, con la caducità che essa comporta.
Una vecchiaia che Lorenzo il Magnifico tuttavia non conoscerà mai, dato che morirà nel 1492 a soli quarantatré anni. Ed è proprio la sua scomparsa, avvenuta in un anno ricco di eventi di capitale importanza storica, che molti critici collocano l’inizio di un’epoca nuova. Un’epoca che più che il superamento, rappresenta il compimento di quella umanistica: il Rinascimento.
Foto di Luis Steven da Pixabay
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