Cibo e clima

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La stragrande maggioranza della popolazione occidentale è insensibile ai cambiamenti climatici. I fenomeni estremi come quelli che si sono registrati nell’estate che si va concludendo, con temperature elevate anche nelle ore notturne, scarsità di piogge alternata a precipitazioni temporalesche talvolta molto violente (i c.d. downburst) sono infatti percepiti dai più solo come un fastidio cui ovviare, per le alte temperature, con l’aria condizionata, sempre più diffusa anche nelle abitazioni.

Dal punto di vista alimentare, al fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori (agricoltori, allevatori e, in misura minore, commercianti e addetti alla ristorazione sensibili alla stagionalità e alle modalità di produzione dei prodotti agroalimentari) le conseguenze sono davvero minime, se non insignificanti su larga scala.

La grande distribuzione, infatti, grazie alle massicce acquisizioni da quelle che sono diventate vere e proprie aree di produzione industriale del cibo, assicura costantemente prodotti freschi a prezzi relativamente abbordabili.

Eppure basta coltivare un piccolo orto casalingo (quelli didattici, con le scuole chiuse, sono in totale abbandono) per rendersi conto che il cambiamento climatico è una realtà e non solo un tema di scontro politico ed il terreno su cui si stanno misurando le multinazionali con palesi operazioni di greenwashing (o ambientalismo di facciata) volte più ad orientare i consumi che ad intervenire seriamente sui cambiamenti climatici.

La carestie climatiche italiane

L’ultima grande carestia climatica registrata nella penisola italiana (escludendo quindi quelle dovute alle due guerre mondiali ed alla pandemia di spagnola) è avvenuta a cavallo tra il 1763 ed il 1764 ed ha interessato tutta l’Italia centro-meridionale con picchi significativi nella Capitanata e nel Cilento.

Anche allora, come oggi, si alternarono periodi di siccità a fenomeni metereologici violenti che ridussero drasticamente i raccolti di cereali e foraggio devastando la piccola orticoltura.

Un fenomeno che ebbe un certo impatto anche nella cultura culinaria.

Nel 1767, infatti, il naturalista fiorentino Giovanni Targioni-Tozzetti diede alle stampe «Alimurgia o sia modo di render meno gravi le carestie proposto per sollievo de’ poveri»: un trattato di botanica nel quale, riprendendo alcune tradizioni popolari, ridava dignità alle erbe spontanee commestibili affermandone l’utilità per supplire alle periodiche carestie.

Al testo di Targioni-Tozzetti fece seguito, nel 1781, «Del cibo pitagorico ovvero erbaceo» di Vincenzo Corrado, celebrato cuoco della ricca Napoli de ‘700.

Con le cognizioni scientifiche dell’epoca (Gregor Mendel, il padre della genetica moderna, avrebbe pubblicato le sue ricerche quasi un secolo dopo) si riteneva, infatti, che le erbe spontanee avessero una maggiore capacità di adattamento, e quindi di sopravvivenza, rispetto ai fenomeni metereologici più estremi.

La ricerca scientifica in agricoltura

La prima risposta alle necessità alimentari anche al cospetto di condizioni stagionali sfavorevoli fu data dalla scienza agraria, che si era strutturata dopo le ricerche di Mendel, ed in Italia, in particolare, dalle sperimentazioni di Nazareno Strampelli, conosciuto dai più per la varietà di grano duro Senatore Cappelli ritenuta «antica», ma che in realtà data 1915, e che deve il suo nome al Senatore Raffaele Cappelli che mise a disposizione di Strampelli i suoi terreni foggiani per selezionare, da varietà di grano duro tunisino, una nuova varietà più produttiva e resistente.

L’opera di Nazareno Strampelli, che arrivò ad ottenere oltre ottocento incroci, dei quali una sessantina di valore commerciale, si inseriva, peraltro, con un rigoroso approccio scientifico, nella tradizione millenaria della selezione e dell’incrocio delle diverse varietà vegetali per aumentarne la resa, la resistenza alle malattie e ai parassiti, la sopravvivenza in condizioni climatiche avverse.

La rivoluzione verde e le serre di Almeria

Se gli eventi metereologici avversi del 2023-2024 non hanno determinato una vera e propria carestia, ma solo contraccolpi sul piano commerciale, lo si deve soprattutto all’uso estensivo delle serre ed a quella «rivoluzione verde» che le multinazionali statunitensi avviarono alla fine degli anni ’40 in Centro-America, e che si sostanziò in un massiccio utilizzo di fertilizzanti e diserbanti e nell’irrigazione artificiale su vasta scala.

In Europa la tecnica delle serre si è sviluppata in modo abnorme in Spagna, ad Almeria dove in circa 26.000 ettari (260 km2) di serre su terreni sabbiosi si coltiva buona parte degli ortaggi che arrivano sulle nostre tavole, anche come coltivazioni biologiche, attraverso la grande distribuzione.

Il rovescio ambientale della medaglia, tacendo dello sfruttamento dei lavoratori, è rappresentato da tonnellate di microplastiche rilasciate nell’ambiente.

Ambientalisti sì, ma senza cambiare abitudini

Il fenomeno delle serre di Almeria, malgrado gli sforzi anche di divulgatori scientifici popolari come «Geopop», non suscita realmente allarme sociale, come del resto non lo suscita il surriscaldamento globale ritenuto un fenomeno ingigantito dai media e comunque lontano nel tempo.

La percezione comune, infatti, è che sia solo uno strumento propagandistico per spaventare la massa mentre le élite, che a parole si spendono sui temi ambientali, non sono disposte a rinunciare a nulla: dai viaggi aerei (anche privati) ai superyacht, dal cibo più ricercato ai gadget tecnologici. Il gossip è pieno di ricchi spreconi (da Kim Kardashian, volata da Los Angeles a Parigi in jet privato per una cheesecake, a Tom Cruise che col suo aereo personale ha consegnato 300 torte natalizie allo staff di Mission Impossible 8) mentre alla massa si chiede di rinunciare alla propria utilitaria con motore termico e di andare a lavorare in bicicletta.

Il cibo prodotto industrialmente ha un’importanza politica irrinunciabile e, nei momenti di crisi come quello attuale, funziona come vero e proprio ammortizzatore sociale.

Bisognerebbe affrontare la congiuntura climatica con convinzione ed equità, ma obiettivamente, con la crisi internazionale in atto, non si vede come.

Foto di Andreas da Pixabay

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