È il più piccolo tra i parchi nazionali, ma ha creato un’economia che fa da traino all’intera provincia di La Spezia. La prima a lasciarti a bocca aperta appena arrivi è la piccola stazione. Due binari incastrati tra le montagne e letteralmente a strapiombo sul mare. Non te l’aspetti di vedere una cosa simile mentre viaggi un po’ distrattamente sul trenino locale partito una manciata di minuti prima da La Spezia e, se lo vedi per la prima volta, lo scenario è di quelli che ti tolgono il fiato. E questo è solo il biglietto da visita. Benvenuti a Riomaggiore, con Monterosso e Vernazza uno dei tre comuni che danno vita al parco nazionale delle Cinque Terre, in Liguria. Se non ci siete mai venuti sbrigatevi a farlo perché questo pezzo di natura protetta che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità anche per i suoi 7.000 chilometri di muretti a secco, che in passato ha sedotto Eugenio Montale e che è capace di produrre lo Sciacchetrà, uno squisito bianco passito tra i vini più antichi della regione, domani potrebbe non esserci più. Come tutti gli altri parchi nazionali, infatti, anche quello delle Cinque Terre rischia di essere strangolato dai tagli ai finanziamenti imposti dalla manovra di Tremonti. In cifre significa passare dagli attuali due milioni di euro l’anno a uno. In pratica vuol dire non solo mettere a rischio la sopravvivenza del falco pellegrino che qui fa il suo nido, o rendere più difficile la produzione dello Scacchetrà, ma mandare in frantumi un’economia che oggi intorno a Parco e grazie ad esso è invece prospera. Un’economia «democratica», come la definisce Franco Bonanini – già sindaco di Riomaggiore e poi presidente dell’Ente che gestisce il Parco – che in undici anni ha ridato vita a un territorio in via d’abbandono, riportato i giovani nei paesi e che oggi può contare su cinque cooperative di servizi e 800 operatori turistici pronti a soddisfare le esigenze di 2,5 milioni di turisti l’anno, il 90% dei quali stranieri, che arrivano qui per trascorrere le vacanze, contribuendo così a un fatturato di oltre due milioni di euro, 200 mila dei quali finiscono nelle casse dell’erario. Una ricchezza oggi messa gravemente in pericolo proprio dal governo, a meno che in autunno non si troverà una soluzione capace di salvare, con quello delle Cinque Terre, tutti i parchi nazionali. In piazza del Vignaiolo, che insieme alla via dell’Amore è forse l’unico luogo piano di Riomaggiore, una decina di bambini giocano mentre intorno si montano i banchetti del mercatino con i prodotti biologici della zona. «Solo dieci anni fa questi bambini non ci sarebbero stati, perché la gente andava via, non ci pensava nemmeno di vivere qui» dice Simone Carrodano, il presidente della cooperativa via dell’Amore che da sola dà lavoro a 150 persone. «Oggi invece – prosegue Carrodano – all’asilo ci sono 36 bambini tra i 3 e i 6 anni che vengono accuditi e coccolati e rappresentano la prova più bella che Riomaggiore e gli altri paesi sono tornati a vivere». A pensarci adesso, con le strade piene di ragazzi stranieri in costume e ciabatte che la notte fanno tardi bevendo e ridendo nei locali si fa fatica a crederci, ma davvero fino a ieri la gente scappava dai paesi della zona non vedendo nessuna prospettiva davanti a sé. Dal 1951 al 1990 la popolazione delle Cinque Terre si è dimezzata, passando da 8.000 a 4.500 abitanti. Molti andavano a lavorare all’Arsenale di La Spezia, altri nelle fabbriche di Torino e Milano lasciandosi alle spalle le case vuote. Al punto che nel 1990 la situazione era già in uno stato di grave abbandono. Gli ettari di terra coltivati, che all’inizio del ‘900 erano 1.400 su un totale di 2.000, erano scesi ad appena 400. «Non si trattava solo di un problema economico ma anche di stabilità idrogeologica del territorio, perché senza nessuno che curava più i muretti a secco aumentava il rischio delle frane e di conseguenza il pericolo per i paesi» spiegano negli uffici del Parco, pieni anch’essi di giovani indaffarati. Per fortuna si è evitata la speculazione edilizia, nonostante la bellezza dei luoghi abbia fatto gola a più di uno. Quella che era una disgrazia, si è infatti trasformata in una fortuna. Le case lasciate vuote da chi era andato via erano talmente tante da rendere inutili altre costruzioni. E un’amministrazione locale forte, sindaco all’epoca era Bonanini, ha permesso di salvare il territorio non solo dall’abbandono e dalla speculazione, ma anche dalle infiltrazioni della criminalità organizzata presenti invece in altre zone della Liguria. Con la fine degli anni 90 e l’istituzione del parco nazionale delle Cinque Terre le cose cominciano lentamente a cambiare. Anche se non mancava mai qualche gruppo immobiliare che tentava di convincere gli abitanti a vendere le case. Che però, seppure tentati dai soldi, hanno resistito anche grazie all’opera di convincimento fatta da Bonanini, divenuto nel frattempo presidente del Parco. «Gli dicevo: guarda che se quello che abbiamo lo vogliono loro, allora ce la possiamo fare anche noi», racconta Bonanini. «Alla fine ha vinto l’attaccamento alla terra». La prima a nascere è una cooperativa sociale per la produzione del vino. L’idea forte è quella che chi viene nelle Cinque Terre non lo fa solo per la bellezza del mare e del territorio, ma anche per godere dei prodotti dell’agricoltura locale. «Se avessimo puntato solo sul mare avremmo avuto due, tre mesi di turismo l’anno – prosegue Bonanini – Così invece riusciamo a garantire agli 800 operatori turistici tra affittacamere, ristoranti e bar, almeno nove mesi l’anno di lavoro». A ruota nascono le cinque cooperative di servizi che oggi gestiscono la vita all’interno del parco, occupandosi dalla pulizia delle strade agli uffici informazioni turistiche, dalla gestione dell’asilo nido all’assistenza per gli anziani dei paesi, al trasporto sostenibile (all’interno del parco è assolutamente vietato girare in macchina, gli spostamenti sono garantiti da pulmini a metano ed elettrici), alla manutenzione dei sentieri e all’ufficio stampa del parco. Ma anche delle produzione biologiche e dei ristoranti (l’Ente parco ne ha quattro, di ottima qualità, grazie ai quali riesce anche ad attuare una politica di contenimento dei prezzi). Una cooperativa composta da sole donne, la Cooperativa ragazze del parco, si occupa invece della produzione delle acciughe salate di Monterosso. In tutto le cinque cooperative danno lavoro a più di 270 famiglie. «Qui da noi non esiste lavoro nero», prosegue Carrodano. «Se qualche cooperativa non ce la fa, interviene il parco con un contributo». E, soprattutto, in tutta l’area del parco non esistono disoccupati. Per rafforzare questa economia, l’Ente ha creato la Cinque Terre card, una carta di servizi a pagamento (5 euro per un giorno, ma il prezzo diminuisce a seconda della durata del soggiorno), che garantisce l’accesso ai sentieri, la possibilità di usufruire gratis dei trasporti e dei musei e di sconti per l’acquisto di prodotti della zona. Da sola, la card garantisce un introito di altri due milioni l’anno, che vanno a sommarsi ai due milioni del finanziamento statale. Soldi indispensabili, visto che all’Ente parco spetta anche il compito di coprire le spese relative al servizio antincendio, agli straordinari dei 15 agenti della forestale in servizio e alle spese dei mezzi a loro disposizione, benzina compresa. E grazie ai quali riesce a garantire anche l’esistenza di un asilo nido a un prezzo accessibile (150 euro al mese mensa compresa) e l’assistenza a domicilio per gli anziani dei paesi. «Garantiamo un lavoro sociale che lo Stato non fa» spiega ancora Bonanini. «E’ un’economia democratica, che oggi fa da traino a tutta la provincia di La Spezia. Ma è chiaro che il taglio del finanziamento indebolirà tutto questo fino a metterlo in crisi». E le conseguenze, in termini di occupazione, saranno disastrose per tutti.
Carlo Lania
Fonte: www.ilmanifesto.it
Scrivi