Con il 18% di emissioni di gas serra a livello globale, gli Stati Uniti d’America sono tra i paesi maggiormente responsabili del riscaldamento del pianeta. Solo la Cina fa peggio, con circa il 24%, ma il rapporto tra le rispettive popolazioni è di uno a quattro. Nel mese di dicembre 2015 a Parigi, nell’ambito dei lavori della conferenza ONU sul clima denominata COP21, i delegati di 196 nazioni, praticamente la totalità della popolazione mondiale, approvarono il testo di un accordo storico: mantenere l’incremento della temperatura media globale al di sotto di 2 gradi rispetto ai valori preindustriali.
COP21 si chiama così perché è stata la 21esima conferenza annuale delle parti, cioè delle nazioni partecipanti, ovvero le nazioni aderenti all’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’accordo prevede che le emissioni di gas serra diventino pari a zero durante la seconda metà del secolo in corso. Siccome un grado di aumento già ce lo siamo giocato, ci rimarrebbe un grado. Uno solo. Nella versione adottata dell’accordo di Parigi c’è una clausola importante. Le parti si sono impegnate anche a fare “possibilmente” di più: a perseguire l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi centigradi. Ciò richiederà che le “emissioni zero” dovranno cominciare nel periodo di tempo compreso tra il 2030 e il 2050. Non c’è molto tempo.
Da alcuni mesi il mondo è cambiato aldilà dell’Atlantico e le le notizie che lo dimostrano sono all’ordine del giorno. Anche l’ultima, assai temuta, è giunta puntuale. Ora Donald Trump ha formalmente dichiarato che gli Stati Uniti d’America non intendono rispettare l’accordo COP21. Nessuno ancora lo ha detto, ma la dichiarazione di Trump equivale a una sorta di dichiarazione di guerra al resto del mondo e al pianeta stesso. Quali conseguenze avranno le sue parole? Le vittime, come in ogni guerra e nella peggiore delle ipotesi, saranno innumerevoli, milioni e milioni, forse più di quelle di tutte le guerre mai guerreggiate. È fantapolitica? Forse, auspicabilmente. Sul piano meramente e semplicemente politico, la dichiarazione di Trump avrà l’effetto di isolarlo ulteriormente sul piano internazionale. Gli USA perderanno altri pezzi della leadership che hanno avuto in passato. Sappiamo già chi si avvantaggerà da questa perdita di leadership. Saranno certamente la Russia e la Cina, forse l’Europa. I vantaggi saranno politici, forse economici, ma sul piano della salute del pianeta non ci saranno vantaggi per nessuno. Ha fatto bene il Vaticano a dire che nessun paese al mondo può arrogarsi il diritto di determinare il destino del resto dell’umanità. L’uscita degli USA dell’accordo COP21 significa semplicemente una cosa: su scala globale le emissioni e il riscaldamento rallenteranno di meno, con la conseguenza che la Terra, già malata e febbricitante, si aggraverà ulteriormente.
Gli effetti del riscaldamento globale sono visibili, ormai da almeno un paio di decenni, in tutto il pianeta: desertificazione e forte riduzione delle aree coltivabili, acidificazione degli oceani con conseguenze su fauna e flora marine, scioglimento dei ghiacci ai poli e innalzamento del livello del mare. Le conseguenze umane e sociali già le vediamo ogni giorno, migrazioni, guerre, terrorismo. Senza un’azione coordinata per ridurre drasticamente le emissioni gas serra, le temperature medie continueranno ad aumentare fino ad arrivare ad essere, alla fine di questo secolo, di cinque gradi – ma c’è chi dice anche sei e perfino sette – superiori ai livelli preindustriali. La questione tempo è fondamentale per via dell’inerzia intrinseca nelle dimensioni del sistema pianeta e dell’atmosfera che lo avvolge. Se, per miracolo, già oggi le emissioni si azzerassero del tutto, ciò non eliminerebbe i miliardi di tonnellate di gas inquinanti presenti nell’atmosfera e l’effetto serra continuerebbe.
Il modello di sviluppo che l’umanità si è data ha assoggettato scienza e tecnologia al primato del profitto e del capitalismo. Al primato della politica. I segnali che il pianeta manifesta ci dicono che qualcosa è andato storto e che dovremmo correre ai ripari. Sono la scienza e la tecnologia in grado di mettere fine ai guasti da esse stesse creati? Ce lo auguriamo. Ma ciò non potrà accadere fin quando la politica continuerà ad avere buon gioco sulla scienza. Fin quando a politici irresponsabili sarà permesso di occupare posizioni di comando sulla scena mondiale.
di Pasquale Episcopo
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