“Codice rosso”: si sperava di non averne bisogno

Certamente l’impegno della notissima presentatrice svizzera ormai italianissima Michelle Hunziker ha fatto la sua parte.

Nell’intervista rilasciata a Vanity Fair, la storica testimonial di noti marchi di intimo femminile, parte dal presupposto secondo cui “un bel decolletè non è reato” e dice la sua sull’uguaglianza e la parità dei sessi: “Dobbiamo essere fiere della nostra femminilità, non trasformiamoci in “ometti” arrabbiati”.

Magari si trattasse soltanto di questo cara signora; un po’ di gelosia elettrizza piacevolmente il rapporto di coppia, anche perché a molti uomini piace il fatto che la propria partner femminile vestita in modo sexy venga apprezzata dagli altri con gli occhi ma, troppo spesso, se questa “sua lei” si “permette” di dirgli che non lo ama più e che addirittura lo vuole lasciare, allora sì che si scatena l’inferno.

Qui non si tratta di difendere la femminilità ma si tratta di salvare la pelle.

Fermo restando, quindi, che sui luoghi di lavoro che non siano dello spettacolo come quello a cui appartiene la nostra simpatica e sorridente soubrette, il bel decolletè certamente non è reato, però distrae uomini e donne, generando deconcentrazione su compiti e mansioni; dunque, non è affermazione talebana quella di consigliare alle gentildonne di recarsi sui luoghi di lavoro vestite con un bel composto talilleur

Questo difficile e contestato passaggio viene spiegato molto bene da Dacia Maraini nel suo libro Un clandestino a bordo, ove distingue magistralmente il linguaggio del corpo delle donne in relazione al loro impegno intellettuale, che diventa pressoché nullo per effetto di eccesso provocatorio nell’outfit (oggi si chiama così).

Comunque, la bionda paladina della parità dei sessi,  insieme a Giulia Bongiorno, avvocata ministra per la Pubblica Amministrazione di questo Governo con la quale svolge vita associativa ad hoc da diversi anni, gioisce per  l’approvazione della legge denominata “Codice Rosso”, impostata per combattere la violenza sulle donne, ma soprattutto per favorire l’auspicabile celerizzazione dei processi che hanno ad oggetto vittime femminili.

 Però noi non riusciamo a gioire neanche un po’.

Sentiamo il sapore amaro  della sconfitta, perché in Paese evoluto non si dovrebbe aver bisogno di questo tipo di norme che confermano l’arretratezza culturale del maschio medio che ancora mal tollera la crescita dell’indipendenza femminile al punto di regredire rispetto agli ultimi tre decenni.

Con 197 sì,  47 astenuti e nessun voto contrario, nella giornata di ieri il Senato ha approvato il DDL n. 1200/2019; con queste nuove disposizioni, si modificano il codice penale e altre disposizioni di legge già esistenti in materia di violenza sulle donne, istituendo nuove misure volte a interagire soprattutto sul “fattore tempo”: chissà se stavolta le istituzioni manterranno fede al progetto di velocizzare indagini e procedimenti penali applicando pene più aspre, come voluto da questo decreto destinato a combattere il dilagare dei maltrattamenti e delle uccisioni di donne (il termine “femminicidio” ci dà un fastidio terribile). 

 Nel testo di legge, composto di 21 articoli, sono stati ri-catalogati noti reati tra cui quello di violenza domestica, a cui si aggiungono nuove specificazioni sul “genere”, transitando dallo stalking allo stupro, dai matrimoni forzati al (finalmente!) revenge porn.

Su questo ultimo aspetto, particolarmente importante perché volto a salvaguardare la dignità di tutti in ambito web perché vale anche per donne contro ex fidanzati o mariti, intravediamo una forte componente pedagogica sull’uso della rete in generale nelle relazioni sentimentali che certamente necessitava di un “calmiere”.

Insomma, questo strumento pensato e fortemente voluto dal Governo per sostenere donne quotidianamente minacciate, perseguitate, violentate e stalkerizzate da ex compagni, mariti e conoscenti rifiutati, dovrebbe favorire la rieducazione maschile di tanti uomini che vivono sul territorio italiano e sul quale si conta una vittima femminile ogni 72 ore.

 E così il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, avrebbe commentato “ora lo Stato dice ad alta voce che le donne in Italia non si toccano”; però, caro ministro, servono più giudici, più cancellieri e molti più validi elementi per le Forze dell’Ordine.

Chissà se stavolta ce la faremo per davvero.”

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