Roma- Cosa si cela dietro il titanico appalto del Colosseo e quali logiche speculative regolano l’andamento dei lavori?
Forse non tutti sanno che l’impresa vincitrice del bando è fallita e che i lavori sono stati consegnati ad un’altra impresa che ad oggi non si è mai occupata del restauro.
Ricostruiamo i fatti.
Nel maggio 2010 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Comune di Roma avevano condiviso la scelta di ricorrere alla sponsorizzazione per portare a compimento i lavori di ristrutturazione. Il 4 agosto era pertanto stato pubblicato un bando in cui si indicava come data di termine per la presentazione delle proposte, il 30 ottobre 2010.
Poiché la procedura di gara si era conclusa con proposte “non appropriate”, era stata avviata una fase di trattativa, che aveva consentito di stipulare il contratto per il finanziamento dei lavori con la Tod’s SpA in data 21 gennaio 2011.
Nel giugno del 2011 il Commissario straordinario per la tutela dell’aerea archeologica di Roma e Ostia Antica, d’intesa con la Soprintendenza speciale per i beni archeologici (finanziato appunto dal Gruppo Tod’s Spa per la bellezza di 25 milioni di euro.) indissero dunque il bando di pre-qualifica per il restauro del Colosseo.
Vennero selezionati i raggruppamenti di imprese e progettisti ritenuti idonei, i quali furono invitati alla procedura ristretta finalizzata all’avvio dei lavori.
Per oltre un anno l’Amministrazione fu dunque impegnata a valutare le 20 offerte pervenute e il 27 luglio 2012, appena dopo la decadenza del Commissariamento, la gara fu finalmente aggiudicata.
Dopo aver esaminato tutte le proposte, la Soprintendenza Archeologica di Roma assegnò i lavori mediante il “sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa” all’ATI Gherardi-RECO-B5srl.
Ecco i parametri valutati: offerta del costo, tempi di realizzazione, valore tecnico ed estetico delle proposte migliorative e delle integrazioni tecniche e qualità della progettazione esecutiva per la realizzazione dei lavori.
Ati fu l’unico ad ottenere il massimo del punteggio – 30 su 30 e ottenne altresì un buon punteggio per la riduzione dei tempi di esecuzione dei lavori, che nel bando erano considerati pari a 1155 compresi quelli per la progettazione.
Il “Piano degli interventi”, concordato con gli uffici del Ministero e di Roma Capitale, prevedeva di aumentare la superficie visitabile del 25%
A seguire, la declinazione completa del Piano degli interventi.
1. sostituzione dell’attuale sistema di chiusura delle arcate perimetrali (fornici) con cancellate
2. restauro dei prospetti settentrionale e meridionale
3. restauro degli ambulacri
4. restauro dei sotterranei (ipogei)
5. messa a norma e l’implementazione degli impianti.
6. realizzazione di un centro servizi che consenta di portare in esterno le attività di supporto alla visita.
Ma torniamo al progetto.
Da subito saltò all’occhio l’evidente distorsione legislativa del nuovo regolamento per i lavori pubblici a partire da fine luglio 2011. Il bando infatti escludeva dalla cura delle superficie lapidee le imprese di restauro specialistico.
Le innumerevoli proteste di chi denunciò l’estromissione delle imprese di restauro ad altissimo profilo di qualificazione e professionalità, da un tipo d’intervento nel quale non solo la pratica ma la conoscenza stessa del restauro, teorica, tecnica e scientifica sono imprescindibili, non hanno mai trovato risposte sensate.
Anzi, l’unica risposta, poco credibile a dire il vero, arrivò dall’ Amministrazione, che cercò di giustificare la logica dell’appalto, reputando maggiormente affidabile la “grande” imprenditoria edile rispetto a quella “piccola” ma qualificatissima del restauro altamente specializzato. Insomma il Colosseo è stato paragonato ad un qualsiasi edificio su cui operare grossolanamente, come se i millenari travertini, in quanto privi di “decorazione” plastica non meritassero il rispetto e la considerazione dovuta.
In ogni caso i lavori si fermarono a causa di due ricorsi presentati, il primo dal Codacons che tentò l’impugnazione dell’affidamento al gruppo Tod’s in quanto espletato senza bando di gara con un supposto illegittimo sconfinamento dei poteri esercitati dal Commissario Delegato ( nel febbraio 2013 sarà emanato il Decreto Ministeriale “norme tecniche e linee guida applicative delle disposizioni in materia di sponsorizzazione di beni culturali”), il secondo, dal Concorrente secondo classificato che contestava la valutazione stessa dei requisiti dell’aggiudicataria, in guisa dell’elevata discrezionalità che l’offerta economicamente più vantaggiosa comporta.
Entrambe i ricorsi tardarono l’avvio del cantiere e i primi ponteggi furono allestiti solo nel settembre 2013, consentendo l’avvio del restauro dei primi 5 degli 80 fornici (arcate a volta) che scandiscono il prospetto del Colosseo.
Tutto sembrava andare per il verso giusto fino a luglio , quando è giunta la funesta notizia che l’impresa Gherardi Srl, (che ha la titolarità dell’ATI), dovrà “affittare un ramo d’azienda” a causa delle gravi difficoltà economiche nelle quali versa. Peccato che abbia dovuto cedere proprio il ramo d’azienda che si sarebbe dovuto occupare dei lavori di restauro del Colosseo.
L’impresa Gherardi ha lasciato il restauro del Colosseo alla società Aspera.
L’Amministratore unico della Aspera, Alex Amirfeiz, ha spiegato che la sua ditta “ha preso in affitto un ramo di azienda dell’impresa Gherardi specializzata nel restauro conservativo. Quindi c’è continuità. Il passaggio è avvenuto il 4 luglio”.
Ed è proprio qui che arrivano le dolenti note: come mai Aspera, la quale non possiede neanche la qualifica prevista dal bando di gara per eseguire i lavori di edilizia monumentale, ha ottenuto la concessione sui lavori?
La sua prima certificazione SOA, infatti, risale al 2011 ed è stata rilasciata dalla AxSoa, Organismo di Attestazione indagato per un presunto giro di false attestazioni e tutt’oggi l’impresa Aspera risulta attestata con la CQOP, Organismo ugualmente finito sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti.
Anche in questo caso, c’è qualcosa di anomalo, ricordiamo infatti che la procedura di gara il sistema di pre-qualifica italiano prevede che gli operatori economici che vogliano partecipare agli appalti pubblici devono essere provvisti di un idoneo Certificato, rilasciato da Organismi di Attestazione privati, ma classificati dal legislatore per obblighi e responsabilità, in quanto esercenti pubblico esercizio. Il rilascio dell’attestazione avviene esclusivamente sulla base di requisiti di ordine generale e di ordine speciale e, tra questi ultimi, oltre alla capacità economica finanziaria è valutata la capacità tecnico organizzativa (lavori svolti e idonea direzione tecnica), la dotazione di attrezzature tecniche e l’organico medi annuo.
Oltre il danno ci sarà anche la beffa: al termine dei lavori l’impresa Aspera infatti potrà ottenere un Certificato di esecuzione lavori con il quale si qualificherà anche nel restauro monumentale (mai eseguito prima) per una categoria di importo eccellenza, al pari insomma delle imprese che hanno per anni investito sul personale, attrezzature, qualità della loro impresa, per concorrere secondo le regole stabilite.
Altro punto di domanda: è davvero possibile che l’Amministrazione non abbia avuto il minimo sentore della crisi di Gherardi Srl e l’abbia addirittura valutata come la più affidabile fra i partecipanti mediante il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa?
E’ poi plausibile che i lavori proseguano con un semplice passaggio di mano ad un’altra impresa, l’Aspera srl, che non si è mai occupata di restauro?
Se già queste circostanze lasciano basiti, l’analisi delle cifre fa semplicemente rabbrividire.
Sull’ammontare complessivo dell’appalto di ben € 8.722.366.97, la fetta maggiore di € 7.613.750,71 è assegnata alla categoria dell’edilizia monumentale, mentre il bando di gara destina solo la restante parte di € 1.108.616,26 al restauro specialistico, attribuendo quest’ultima cifra prevalentemente ad interventi conoscitivi, documentazioni e indagini. (fonte: A.R.I.)
di Simona Mazza
foto: cinquequotidiano.it
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