Tutto è immagine, impermanente, vacuità e la rabbia non è che una scintilla sacra, un fuoco, una forza primordiale, che può essere una grande risorsa se ci mettiamo al servizio di un obiettivo che ci fa trascendere, ma diventa devastante quando l’Ideale è dimenticato, rifiutato, represso o rimosso.
Di conseguenza, l’uomo dovrebbe imparare a conoscerla e gestirla.
Purtroppo, il più delle volte finisce per subirla, diventandone vittima. Ciò accade quando non riesce a riconoscerla quale forza cosmica naturale, espressione della “divinità”.
Genesi della rabbia
Per i primitivi, per gli animisti e per gli sciamani, le emozioni (inclusa la rabbia) sono avi, deità, numi, spiriti che ci visitano. Ci appaiono per essere riconosciuti e risolti, pacificati ed infine trasformati in pura energia.
Molte emozioni vengono vissute già in utero, portate in essere con la nascita e accentuate con l’andar del tempo.
Portatori sani e portatori malati
Atteso che ognuno di noi sperimenta la rabbia, possiamo distinguere gli individui in due “categorie”, basate sostanzialmente sull’approccio alla stessa: “portatori sani” e “portatori malati”.
I primi fanno di questa pura energia una fonte di forza, ispirazione e creatività, i secondi invece se ne fanno travolgere e la esprimono in modi devastanti per sé e per gli altri.
Il fine determina la differenza
La differenza di approccio e la relativa trasformazione della rabbia in pura energia, dipende dal fine e non dalla causa della stessa.
I cosiddetti “portatori sani”, solitamente tendono a compiere una missione dell’anima a beneficio di tutti gli esseri viventi, senzienti e non senzienti.
I “portatori malati” sono invece legati fortemente alle categorie mentali dell’Ego.
Trasformare la rabbia a nostro vantaggio
Appare evidente che bisogna imparare a trasformare la rabbia a nostro favore, perché altrimenti è un veleno che circola e rilascia tossine negative.
Per farlo dobbiamo utilizzare un pensiero “immaginale”, perché un pensiero iper razionale ci fa cadere nella trappola del codice narrativo, ossia del pensiero dominante creato dalla società.
Sicuramente l’impresa sembrerà ardua ma in fondo non è così difficile. Occorre solo avere a disposizione gli strumenti giusti e lasciarsi guidare dall’amore.
1) La consapevolezza. Il primo passo per la trasformazione che ci libera dalla rabbia, passa attraverso la consapevolezza.
Poiché tutte le emozioni hanno un’anima, per trasformare la rabbia in una forza costruttiva, dobbiamo innanzitutto riconoscerla e viverla consapevolmente, con attenzione cosciente, ma bisogna avere una visione ampia e trasversale, che ci consente di osservarla da una prospettiva diversa.
Potremmo iniziare ripetendo un mantra, che potrebbe essere “so che sto provando rabbia”, oppure potremmo chiederci “come posso trasformarla, qual è per me l’antitesi di questa emozione: la calma, la felicita, la gratitudine?”. E ancora “se questa situazione mi fa arrabbiare, come posso sfruttarla a mio favore?”.
Poi dovremmo recuperare un pensiero “mitico”, il pensiero dell’uomo “primitivo”, (non parliamo dell’uomo vicino allo stato animale, ma quello delle origini, dell’età dell’oro, di quella civiltà pacifica basata sulla qualità del tempo e sul valore delle relazioni);
2) Dioniso e le divinità del mito
Nel film “Sabato, Domenica e Lunedì“, diretto da Lina Wertmüller, tratto dall’omonima commedia di Eduardo De Filippo, Luigi Iannello (Luciano De Crescenzo), nel commentare la rabbia di Don Peppino Priore (Luca De Filippo), mosso dalla gelosia verso la moglie Rosa (Sofia Loren) afferma “Non è lui! E’ Dioniso”. In effetti gli antichi greci erano convinti che a fare arrabbiare gli uomini fossero le divinità con cui essi erano in relazione. Anche Omero nell’Iliade esordisce con “cantami, o diva, del Pelide Achille l’ira funesta”. Il suo poema non aveva come protagonisti dei comuni mortali, ma dei, dee, numi, spiriti, forze naturali: la vera protagonista non era Achille, ma la sua ira.
Ebbene, nelle divinità esiste la forma pacifica e la forma adirata.
Tocca a noi trasformare la parte adirata della divinità in pura forza.
Ecco perché, quando proviamo rabbia dovremmo cercare un’istante di lucidità, di consapevolezza e ripetere “sono in relazione con la forma adirata della mia anima. Sono in contatto con la forma adirata di un dio. Questa rabbia non è la mia, ma la rabbia del divino, dell’universo, della natura”.
Poi dovremmo lasciare fluire la rabbia, fare implodere il fuoco interiore dalla quale si è generata e benedirla. Questo cambia tutto, ci fa entrare in un pensiero che ci porta al di là dell’io, dell’individuo, per entrare in un pensiero mitico e universale.
Sopratutto ci libera dalla negatività generata dal pensiero dominante razionale.
Se la reprimiamo invece ci travolge;
3) Il giudizio. Non bisogna mai giudicare la rabbia attraverso i filtri ingannevoli della mente comune, ma sprigionarla costruttivamente e creativamente in tutta la sua potenza. Questa “pacificazione” è un processo essenziale;
4) Accoglienza serena. Un pensiero sereno ed una mente trasversale ci aiutano ad accogliere la rabbia senza averne paura. Questo atteggiamento ci evita di agire sotto la sua influenza;
5) La fede. Se abbiamo fede nelle sue potenzialità positive, anche se al momento ci sentiamo vulnerabili e deboli, la sua potenza non ci potrà scalfire;
6) Atto di resa. Anche in questo caso, compiere un impeccabile “surrender”, ovvero dire sì alla nostra debolezza, è un ottimo modo per arginare la parte distruttiva della rabbia ;
7) Tranquillizzare la mente. Di solito la mente vuole tenerci “al nostro posto”, perché mira al potere e al controllo. Questa condizione della mente ordinaria ci priva di ogni potere creativo e ci suggerisce che le emozioni sono conseguenze degli eventi, ma non è affatto così, semmai è proprio l’opposto;
8) Pacificare la rabbia. Quando riusciamo a pacificare la rabbia, essa non genererà più alcun senso di inadeguatezza, frustrazione, ma solo pura energia, elevata, libera, divina, puro calore, da cui si sviluppano forza e creatività;
9) Meditazione. Se non pratichiamo assiduamente la meditazione, dovremmo fermarci e chiederci “da uno a cento, qual è la mia energia fisica? Quanto è alta la mia emotività?” Se ci rendiamo conto che supera la soglia limite, è bene utilizzare il corpo (passeggiare, correre, anche urlare). Se ci troviamo invece in una fase tollerabile, possiamo meditare.
Chi invece pratica meditazione quotidianamente dovrà cercare di mantenere almeno per un secondo la lucidità necessaria: un istante in cui ci si trova nella immersione cosciente.
Un giusto allenamento, abbinato alla “respirazione del fuoco” (inspirare velocemente due volte con il naso ed espirare una volta con la bocca), consiste nell’evocare almeno una volta al giorno, anche solo per un minuto, un momento di rabbia. Con il tempo riusciremo a gestire anche la rabbia del momento e saremo capaci di ascoltarla senza essere spinti ad agire impulsivamente;
10) L’amore. Dedicare infine del tempo alla possibilità di amare, ci conduce nel santuario interiore della mente dove si trova la calma. Raggiungere questo stadio è la migliore condizione per trasformare la rabbia in qualcosa che ci fa evolvere.
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