Nella prima lettura di questa Domenica, festa della SS.ma Trinità, abbiamo ascoltato un testo biblico (Es34, 4-9) che ci rivela il nome di Dio. È Dio stesso che lo proclama sul monte Sinai, rivelandosi a Mosè nella nube luminosa. E questo nome è “Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà”. L’evangelista Giovanni nel Nuovo Testamento sintetizzerà quest’espressione e scriverà che Dio è “Amore” (1Gv 4,8.16). Ma lo attesta anche il Vangelo di oggi: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16).
Il nome del nostro Dio, dunque, non esprime una realtà fine a se stessa o che si chiude in se stessa; l’appellativo di Dio è vita che vuole donarsi liberamente, è apertura, è relazione. Termini come “misericordioso”, “pietoso”, “ricco di grazia” ci parlano, infatti, di un Essere vitale che si dona, che vuole riempire ogni nostra lacuna, che vuole perdonare e che con noi vuole stabilire una relazione solida e duratura.
Le pagine della Sacra Scrittura ci parlano di un Dio che ha creato il mondo per effondere il suo amore su tutte le creature, di un Dio che ha amato un popolo per stipulare con i suoi membri un’unione sponsale, farli diventare una benedizione per tutte le nazioni e formare così una sola grande famiglia.
Questa rivelazione di Dio si è compiuta pienamente nelle pagine del Nuovo Testamento, attraverso Gesù Cristo, “il Verbo che si è fatto carne”. Ed è stato proprio Gesù Cristo che ci ha rivelato il volto misericordioso di Dio, “Uno” nell’essenza (l’Amore) e “Trino” nelle persone (Padre-Figlio-Spirito Santo). Ce lo ricorda pure Paolo che saluta la comunità di Corinto nel nome di questo Dio: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Cor 13,13).
Il contenuto di queste Letture, carissimi, riguarda direttamente Dio e la solennità di questa Domenica invita anche noi a salire sul Monte con Mosè per contemplare la sua gloria. Stando a contatto con Dio, infatti, non fuggiremo dal mondo e dai suoi problemi ma riceveremo le indicazioni fondamentali per condurre al meglio questa nostra vita. Così come è accaduto per Mosè che sul Sinai ricevette da Dio la legge della vita, i precetti santi di Israele.
Dal nome di Dio dipendono anche la nostra storia e il nostro cammino. Dalla realtà di Dio che finora è stata esposta deriva anche il concetto di persona. Se Dio è un essere in relazione, l’uomo creato a sua immagine e somiglianza riflette pure le stesse caratteristiche: egli, infatti, è chiamato a realizzarsi nelle relazioni, intessute di dialogo, colloquio e costituite dall’incontro con gli altri. Così l’uomo non si realizza da solo, credendo di essere Dio, ma, al contrario, riconoscendosi una creatura aperta, tesa sempre verso Dio e verso i fratelli, nei cui volti riscopre l’immagine del Creatore.
È una verità questa, che si inserisce pienamente in un progetto più grande a cui tendere sempre per favorire la costruzione sana della società. Perché tutto ciò si realizzi dobbiamo considerare due priorità: anzitutto, il “primato di Dio” nella nostra vita e quindi, “la centralità dell’uomo e della sua esistenza”, nelle diverse realtà in cui essa si dispiega e cioè negli affetti, il lavoro, il riposo, la festa, la tradizione, la cittadinanza. In questi termini, Dio e l’uomo si mettono in stretta correlazione e si propongono come tali ad ogni generazione umana.
A questo punto, al primato di Dio e alla centralità della persona dobbiamo unire necessariamente la dimensione della testimonianza cristiana che si esprime nella qualità di una vita spirituale assidua, nel vasto campo della missione e della cultura. Perciò, in una società fortemente relativista, globalizzata e individualista, la Chiesa è chiamata ad offrire l’alta testimonianza della comunione. Essa ci parla della comunione Trinitaria: il Padre genera il Figlio e lo ama di un amore Eterno. Dall’amore del Padre e del Figlio procede lo Spirito Santo, dal quale la Chiesa è sorretta, sostenuta e animata.
Anche nelle nostre città, afflitte ahimè! da gravi problemi umani e sociali, la Chiesa, oggi come ieri, è prima di tutto “segno povero ma vero” dell’Amore di Dio, il cui nome è custodito nell’essere profondo e nella costituzione ontologica di ogni creatura. Riscopriamo allora l’urgente bisogno di curare la nostra formazione spirituale, oggi più che mai necessaria per vivere bene la nostra vocazione battesimale. Dobbiamo imparare a coltivare la nostra fede e a pensarla bene, perché senza alcun pregiudizio possa dialogare con tutti: con i non cattolici, con i non cristiani e oggi purtroppo anche con i tantissimi non credenti.
Assieme al Papa che ci è tanto caro, non stanchiamoci di portate avanti la triste ma importante causa dei poveri e dei deboli, secondo l’antica prassi della Chiesa, attingendo sempre la forza e il coraggio dall’Eucaristia, la sorgente perenne dell’amore. Ed infine, non tralasciamo mai la crescita della dimensione missionaria. La Trinità – e ritorniamo alla festa di oggi – è Unità e al tempo stesso Missione: quanto più intenso è l’amore tra di noi, tanto più forte sarà la spinta ad effondere questo amore, a dilatarlo, a comunicarlo. Allora anche noi, siamo sempre uniti e missionari, per annunciare a tutti la gioia della fede e la bellezza di essere parte viva della grande Famiglia di Dio che ha nella Trinità la sua prima origine.
Con le parole di Mosè, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura, anche noi preghiamo il Signore perché “cammini sempre in mezzo a noi e faccia di noi la sua eredità” (cfr Es 34,9). Ce lo ottenga Maria Santissima, che ci piace invocare come Aiuto dei Cristiani. Con il suo aiuto mettiamoci in ascolto di Dio e a servizio degli uomini! Amen.
di Fra’ Frisina
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