Il decreto attuativo contenuto nel Jobs Act potrebbe segnare definitivamente la legislazione che regola i diritti dei lavoratori. Il premier Matteo Renzi, secondo alcuni, “modesto” e gongolante ne enuncia i principi, parlando addirittura di “rivoluzione copernicana”.
Effettivamente, nessuno politico, sopratutto di sinistra, aveva pensato di inventare una legge che consente al datore di lavoro di licenziare un dipendente, basandosi su ragione economico produttiva , e soprattutto di agire indisturbato senza temere che una qualsivoglia infondatezza possa causare problemi davanti alla legge.
Basterà infatti pagare una multa (per ogni anno di servizio due mensilità con il massimo di 24) per evitare di riassumere il lavoratore indesiderato.
Nel caso di licenziamenti disciplinati illegittimi, la tutela resta. Ovviamente è improbabile immaginare che un datore di lavoro sia tanto ingenuo e sprovveduto da cadere nel tranello del licenziamento immotivato, viste le alternative legali e legittime a sua disposizione.
Lo scalpo dell’articolo 18 è stato dunque consegnato e ad offrirlo sono stati tecnici, politici (di destra e sinistra indistintamente) e finanche i sindacati, la cui indignazione postuma fa sorridere.
Ma ecco come si è arrivati a sgretolare l’articolo 18.
Come prima cosa, il presidente della Commissione lavoro della Camera ha offerto al Governo il cosiddetto ” salvagente”, ovvero la possibilità di apportare modifiche al progetto delega.
Cosa è successo da quel momento in poi?
Prima si è cercato di rendere il progetto delega compatibile con l’articolo 76 (L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti).
Poi a dicembre il testo del Jobs Act, opportunamente modificato, è passato prima dalla Camera e da qui, per essere salvato dall’incostituzionalità è tornato al Senato, dove il testo legislativo è stato misteriosamente approvato, con la classica scusa di evitare una crisi di governo.
Cosi, con 166 voti favorevoli, 112 contrati e un astenuto si è giunti alla modifica dell’articolo 18. A questo punto ricordiamo che i contratti di lavoro già in essere non saranno toccati e che ci vorrà tempo prima che i contratti “a tutele crescenti”, vengano applicati. L’unica arma a disposizione per evitare che il decreto attuativo prenda piede, sarà quella del referendum abrogativo.
di Simona Mazza
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