Credulità popolare, un peccato veniale?

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Siamo perseguitati da un profluvio di offerte commerciali volte a confortare le attese ingannevoli della gente comune, i lati deboli di chi vuol porre rimedio ai difetti fisici, realizzare progetti assurdi e sogni vacui.

È il mercato furbastro che sfrutta quella che, dal codice Zanardelli a quello Rocco fino alle ultime modifiche normative, è stata sempre chiamata credulità popolare.

C’è una sorta di cultura del disprezzo dell’incultura dove l’aggettivo popolare suona come una emarginazione degli strati inferiori della popolazione, una sorta di razzismo sociale. Non meraviglia che il termine fosse usato nel codice Zanardelli in una società fortemente classista e in quello del 1930 ispirato al falso socialismo mussoliniano.

Insomma la legislazione vigente non si occupa gran che di questo cinico profittare delle umane debolezze che non sono una peculiarità dei gonzi ma sono comuni a ricchi e poveri, a colti e ad ignoranti, perché il male di vivere contagia un po’ tutti.

Come vanno le cose

Ma veniamo agli aspetti particolari del fenomeno.

L’ignota congrega degli impostori ti lancia un invito:

Vuoi perdere 10 chili in un mese senza diete e rinunzie?

Vuoi una folta ricrescita di capelli sul cranio ormai calvo?

Vuoi riacquistare agilità e flessibilità nonostante le cartilagini usurate?

Vuoi far milioni con il bitcoin?

Vuoi diventare un mito del sesso e allungare il pene?

Tutto si può ottenere.

E’ sufficiente:

dare ascolto a voci nuove e disinteressate;

affidarsi ad una pubblicità inconsueta ma coraggiosa ed acquistare i prodotti che vengono offerti e descritti con verosimiglianza scientifica;

acquistare il prodotto miracoloso, pagare una modesta cifra e seguire le istruzioni.

Ma è una cosa seria

Sembra un fenomeno marginale nel quale la tecnologia del web ha sostituito l’antica verbosità del bancarellaro, una cosa di cui si può sorridere senza allarmi.

Ma non è così.

L’insistenza martellante, la diffusione capillare, la ricorrenza d’un sistema di persuasione uniforme, d’una metodologia comune, rivelano due aspetti sconcertanti: l’enorme giro d’affari e il particolare canale di pagamento che favoriscono l’evasione fiscale da un lato, e dall’altro le analogie nei metodi di persuasione, che sembrano sottostare ad una regia centralizzata.

Il tutto fa sospettare l’esistenza d’una sorta di consorteria paramafiosa che non può essere presa alla leggera.

Un breve elenco

A-il prodotto è naturale e quindi privo di effetti collaterali pericolosi;

B-lo si può acquistare solo sul canale on line per consentire ai produttori di praticare un prezzo accessibile senza il gravame degli intermediari;

C-se si tratta d’un integratore è necessario sottarlo all’ingordigia delle case farmaceutiche e alla complicità delle farmacie; 

D-lo scopritore o l’inventore è uno scienziato o un istituto di alto profilo del quale si forniscono dati incontrollabili:

E-una sequela di utenti soddisfatti presta il suo nome (mai il cognome) e la sua immagine (mai l’indirizzo):

G- il prezzo è quasi sempre di 49.90 euro sia che si tratti d’una pomata contro il sudore che di una   sostanza preventiva dell’infarto.

Cosa fare?

Il fruitore del prodotto quando si avvede della turlupinatura non reagisce.

Non si vuole esporre al ridicolo.

Non ha ricevuto un serio danno economico.

Ignora se sia incorso in malesseri che non sa a chi e a cosa attribuire.

Soprattutto non sa a chi rivolgersi.

In verità esistono Enti in qualche modo vicini al fenomeno ma interessati o interessabili ad esso.

L’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (I.A.P.) che dovrebbe scoraggiare la pubblicità ingannevole ed ha mezzi e deterrenti per farlo è un’associazione volontaria che prevede un codice di autodisciplina.

Ma come si può pensare che il produttore dell’elisir che trasforma il rag. Rossi in un irresistibile Casanova si iscriva all’I.A.P.!

L’ Antitrust, il garante della concorrenza si occupa della concentrazione industriale, delle intese oligopolistiche, e della violazione del codice di consumo.

Si occupa quindi del rapporto fra produttori, non di quello fra fornitori e clienti.

Resta la normativa statale e l’art 661 del C.P. che ha trasformato il reato in mero illecito amministrativo e che pur parlando di “impostura” la punisce  (blandamente) solo se provoca “turbativa dell’ordine pubblico”.
Una condizione di punibilità che nei casi esaminati non può mai ricorrere.

Del resto il termine “impostura” è stato ripreso nella nuova formulazione dell’illecito proprio per distinguerlo dai termini “frode” “artifizi e raggiri” che configurano altri e più gravi reati.

Resta dunque solo un augurio: che della cosa si occupi la Polizia Tributaria per i riflessi fiscali

che ne derivano.

Oppure che il legislatore ripristini la valenza penalistica dei comportamenti ingannevoli sostituendo alla “turbativa dell’ordine pubblico” “la turbativa della serietà del commercio”.

Altri menti non resta che sui social si mettano in guardia gli illusi: che si tengano la loro calvizie e la normale proporzione del pene…

Foto di 3D Animation Production Company da Pixabay

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