Malgrado la stagione ancora calda iniziano a fare capolino nei mercati e nella grande distribuzione i carciofi, ortaggi dalle mille virtù celebrate in un fortunato Carosello degli anni ’60 con un imperturbabile Ernesto Calindri che sorseggiava un amaro al carciofo seduto ad un tavolino circondato di automobili, e dai molteplici impieghi in cucina.
Preoccupati della disponibilità, e del prezzo, del cibo raramente c’interroghiamo delle sue origini o della sua effettiva stagionalità ed il carciofo è forse l’emblema di un’agricoltura piegata alle esigenze del consumo.
Un po’ di Storia
Il carciofo giunge in Europa, ed in particolare in Grecia, dalla lontana India passando per l’Egitto.
Nelle grotte di Ajanta, nello Stato del Maharashtra, si trova infatti un dipinto che li raffigura.
La mediazione greca del carciofo conosciuto dai Romani, visto che ne trattano sia Columella nel suo «De re rustica», sia Plinio il Vecchio nella «Naturalis Historia» è, come spesso accade, attestata dal Mito.
Si narra che Zeus, invaghitosi della bellissima Ninfa Cynara, dai capelli color cenere e dagli occhi verdi dai riflessi violetti, ne fu respinto e per vendetta la trasformò in un ortaggio spinoso a marcare il suo rifiuto.
Da quello della Ninfa deriva il nome «Cynara» delle varietà di carciofo conosciute da Greci e Romani.
Si trattava, peraltro, di varietà semiselvatiche, di cui non è chiara la natura autoctona, non completamente assimilabili a quelle che consumiamo oggi e più vicine al cardo con il quale sono strettamente imparentate dal punto di vista botanico.
Cardi e carciofi, peraltro, si svilupperanno autonomamente sia dal punto di vista botanico, sia sotto il profilo agrario.
Dal fiore del carciofo si ricava sin dall’antichità un caglio vegetale per la produzione di uno dei formaggi più antichi: il Caciofiore nella duplice versione aquilana e romana.
Furono comunque gli Arabi, non sappiamo se per selezione delle varietà già presenti in Europa o importandone altre già domesticate, a diffondere il carciofo che consumiamo oggi e che prende il suo nome da quello arabo di ḵuršūf.
Così nella sua nuova veste il carciofo ha iniziato ad entrare nella cultura culinaria dell’Italia, che ne è oggi il principale produttore mondiale, ad iniziare dalle regioni del nostro Sud.
Ricette con i carciofi, non solo fritti come vuole la tradizione, si trovano infatti sia in Antonio Latini, «Lo scalco alla moderna», Napoli, 1694 sia in Vincenzo Corrado, «Del cibo pitagorico ovvero erbaceo», Napoli, 1781.
Il carciofo «alla giudia», uno spettacolo per la vista ed il gusto, è il vanto della cucina ebraico-romanesca, meta di veri e propri pellegrinaggi di romani e turisti nelle trattorie del cosiddetto Ghetto che lo preparano a regola d’arte.
Lentamente la diffusione del carciofo si è estesa dall’Italia a tutti i Paesi i cui climi ne consentono la coltivazione.
Mentre però in Italia è un alimento popolare alla portata di tutti in molti Paesi, specie del Centro e del Nord Europa, è stato a lungo considerato bene di lusso e come tale lo qualificava Karl Marx, nel suo «The poverty of philosophy» (Miseria della filosofia) in polemica con il filosofo francese Pierre-Joseph Proudhon.
Dall’Europa, grazie soprattutto ai nostri migranti, si è diffuso in tutto il continente americano: Pablo Neruda vi ha dedicato addirittura un’ode, «Oda a la alcachofa», mentre negli Stati Uniti si tiene ogni anno in California l’elezione di «Miss Artichoke» che nella sua prima edizione alla fine degli anni ’40 vide trionfare una giovanissima Marilyn Monroe.
Un ortaggio destinato a non avere confini: nel film «Cresceranno i carciofi a Mimongo», che nel 1997 valse al suo regista e sceneggiatore Fulvio Ottaviano il David di Donatello come «Miglior regista esordiente», Sergio, il protagonista, è un neo laureato in agraria con una tesi sulla crescita dei carciofi sui terreni aridi e nel film coronerà il suo sogno andando a piantare i carciofi a Mimongo, in Gabon.
La stagionalità del carciofo
Il carciofo è un ortaggio essenzialmente primaverile.
Nella seconda edizione del suo «Apicio Moderno», che vide le stampe a Roma nel 1807, Francesco Leonardi, Chef che con il metro di oggi definiremmo «stellato» vista l’enorme esperienza ed il prestigio meritato nelle Corti di tutta Europa, non ha esitazione, lui che si rivela un precursore del rispetto della stagionalità, ad inserire il carciofo tra gli ortaggi primaverili, ponendo invece il cardo (detto volgarmente gobbo) tra quelli invernali.
Anche a voler ignorare le varie sagre del carciofo che si svolgono in Primavera, tra cui quella, popolarissima, del carciofo romanesco celebrato a Ladispoli, vi è un piatto della tradizione contadina velletrana, i Carciofi alla matticella, che consente di collocare certamente il carciofo nella stagione primaverile.
Le matticelle, infatti, sono i residui della potatura delle viti che venivano trasformati in brace per utilizzare la cenere come naturale ammendante delle stesse viti.
Ne beneficiavano i lavoratori della potatura che su questa braci, non particolarmente calde, potevano preparare il loro pasto.
Nei Carciofi alla matticella sulle braci di matticelle vengono adagiati i carciofi, opportunamente conditi con olio extravergine d’oliva, aglio e mentuccia fresca trasformando un rito faticoso in occasione di festa, ovviamente innaffiata dal buon vino di Velletri.
La leggenda narra che Assuntina, la bella figlia di un fattore velletrano, fu incaricata di preparare i carciofi per il pranzo dei potatori, ma che, presa dai giochi amorosi con l’amato Gliopordo, lasciò cadere il canestro con i carciofi che andarono a lambire una catasta di fascine di matticelle già incendiata.
Per rimediare a quel pasticcio Assuntina non si perse d’animo e, tolti lestamente dalle braci i carciofi che iniziavano a bruciacchiarsi, prese un po’ di aglio fresco, piantato in testa ai filari, si procurò nel campo un ciuffo di mentuccia, che cresceva spontaneamente nel terrapieno, e condì il tutto con un filo di olio extravergine d’oliva nuovo che in queste occasioni non mancava mai.
Ciò fatto, risistemò alla meglio i carciofi nella brace e ne terminò la cottura.
Al ritorno del padre la giovane si vantò di aver unito con un atto d’amore i carciofi e la vite ed il padre, che in realtà aveva capito tutto, ma l’amava profondamente, invece di biasimarla la lodò per la squisitezza del piatto andando in fretta in cantina a spillare il suo vino migliore, ad onta della credenza secondo la quale vino e carciofi non si possono abbinare.
Come mai un ortaggio primaverile si è trasformato in autunnale ed invernale pur continuando a dare il meglio di sé in Primavera?
La risposta, per una volta, dovrebbero darla le cuoche ed i cuochi.
Nella tradizione culinaria romanesca, nella quale, osservava Ada Boni, si fa largo uso dei fritti, si distingueva una volta il fritto comune, composto, quanto alle verdure (rigorosamente pastellate) di cavolfiori, fiori di zucca (se di stagione) e cardi, ed il più raffinato fritto alla romana (dorato, in cui le verdure sono passate nella farina e nelle uova) nel quale i gobbi sono sostituiti dai più delicati carciofi.
Una cucina dichiaratamente popolare come quella romanesca seguiva, più per necessità che per convinzione, le stagioni e così nell’immancabile fritto della Vigilia di Natale i gobbi, preparati da mani esperte per eliminarne i filamenti ed il loro naturale gusto amarognolo, si prendevano il loro giusto riconoscimento.
Qualcuno, tuttavia, si dev’essere chiesto se non fosse possibile invece chiedere agli agricoltori di anticipare di qualche mese la raccolta dei carciofi in modo da coniugare la sontuosità del fritto della Vigilia con la raffinatezza del fritto alla romana, risparmiando oltretutto un bel po’ di lavoro alle cucine.
Il risultato è stata l’anticipazione dei carciofi al periodo invernale, addirittura autunnale e la conseguente scomparsa dei gobbi (i cardi) dalla tavola dei romani.
La minore laboriosità ed abilità richiesta dai carciofi rispetto ai cardi, visto che una volta mondati (spesso direttamente dal venditore) con un coltellino affilato ed immersi in acqua acidulata sono pronti per la cottura, unita ad una maggiore delicatezza del carciofo rispetto al gusto simile, ma più deciso, dei cardi ha fatto rapidamente diffondere questa pratica nell’intera Penisola.
Un effetto, si potrebbe dire inevitabile, del benessere raggiunto ed infatti questa anticipazione della raccolta, alla quale per necessità gli agricoltori si sono piegati data la richiesta crescente di carciofi invernali o addirittura autunnali, non casualmente inizia dagli anni del boom economico in cui le tavole degli italiani si sono riempite di ogni specie di cibi, spesso indipendentemente dalla stagionalità.
Quali conseguenze ha la «destagionalizzazione» dei carciofi?
A questa domanda ha risposto Giorgio Pace, anima e corpo di «Piccola bottega merenda» di Roma che fa della ricerca dei prodotti stagionali ed in generale del cibo sostenibile la sua cifra identitaria.
Ha scritto recentemente Pace, infatti, che il carciofo invernale, o addirittura autunnale, è, a suo parere, molto probabilmente, ed indipendentemente dalle varietà, un carciofo «forzato», frutto di «massicce irrigazioni estive e fertirrigazioni successive per far sì che il prodotto arrivi sul mercato già da fine ottobre». Una forzatura, indotta dalla domanda del mercato, che, sempre secondo Pace, si traduce in «pratiche insostenibili che a lungo andare pregiudicano l’impianto, il suolo e l’ecosistema».
L’opinione di Giorgio Pace non è isolata visto che in termini di varietà autunnali frutto di forzatura si esprime anche l’azienda biologica siciliana «I frutti del sole».
Il tema merita certamente un approfondimento, investendo tutta la filiera agroalimentare: dal punto di vista strettamente culinario può notarsi comunque che l’anticipazione del consumo del carciofo ha di fatto segnato la scomparsa dalle tavole, per una sorta di pigrizia, del cardo ormai appannaggio di una minoranza di buongustai che non si spaventano dal maggior lavoro necessario per prepararli al meglio.
Senza un’apparente ragione, allora, si è fatta una vittima innocente, il cardo appunto, privando i consumatori di una prelibatezza conosciuta sin dall’epoca romana e che, di questo passo, sarà condannata all’estinzione o a diventare appannaggio di una sorta di élite culinaria del tutto in contraddizione con il carattere intimamente popolare di questo ortaggio che con il carciofo condivide le medesime virtù.
Cardi, carciofi, portulaca ed il cibo del futuro
In questo tempo così complicato anche dal punto di vista alimentare non sfugge un’intima contraddizione del sistema alimentare nel suo complesso.
Da una parte, malgrado l’avversione degli agricoltori (valga per tutti la posizione recentemente assunta da Coldiretti) s’inizia a parlare di cibo sintetico, di cibo creato in laboratorio e di nuovi alimenti, come gl’insetti, estranei alle nostre tradizioni.
Dall’altra ci priviamo, per mancanza di conoscenza soprattutto, di un’enorme varietà di specie vegetali spontanee che smettiamo di raccogliere semplicemente perché ne ignoriamo l’esistenza o la loro commestibilità, come la portulaca che periodicamente fa capolino, portata dal vento, anche nei nostri vasi floreali.
Eleonora Matarrese, probabilmente la più famosa etnobotanica italiana e che si definisce «Cuoca selvatica», conduce, assieme a moltissimi altri, una battaglia per il recupero di decine di specie commestibili, note ai nostri progenitori e che ora la maggior parte di noi non saprebbe riconoscere e spesso si limita a calpestare passeggiando nei prati o nei campi.
Abbiamo iniziato a chiamare «infestanti», e quindi nemiche per definizione dell’agricoltura, un numero impressionante di specie vegetali anche se moltissime di esse potrebbero dare un tocco di vivacità ai nostri piatti quotidiani, come il Tarassaco, il Lampascione, il Cardo mariano ed i più famosi Papavero ed Ortica.
Preferiamo i carciofi, costringendo gli agricoltori ad anticiparne la stagione, privandoci dei cardi, tipicamente stagionali e invece di due specie vegetali beneficiamo di una sola.
Cresceranno i carciofi a novembre?
Senza dubbio, visto che il mercato lo richiede, ma è proprio necessario farli crescere o possiamo acquistare i cardi prima che escano dalle nostre disponibilità di consumatori?
Foto di Susanne Jutzeler Schweiz da Pixabay
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