Martin Luther King era un inguaribile romantico: “la mia libertà finisce dove comincia la vostra”, professava. Chiaro, non è sventolando un simile slogan, seppur pieno di sentimento e speranza, che gli fu riconosciuto il Nobel per la pace. Lui fece molto di più: disobbedì.
Chi stabilisce il confine della libertà?
Quando Rosa Parks si rifiutò di cedere il proprio posto ad un bianco salito dopo di lei su quell’autobus a Montgomery, venne arrestata per aver violato le leggi sulla segregazione razziale. Quel gesto non rimase vano, azionò piuttosto un sistematico boicottaggio dei mezzi di trasporto da parte della comunità nera che diede vita al Movimento per i Diritti Civili negli Stati Uniti d’America. Alla guida di questo cammino, un giovane ed appassionato, allora impopolare, Martin Luther King, che finì presto nel mirino, diventando bersaglio di arresti, vittima di minacce ed attentati. Prima del 1964, per legge, la libertà dell’uomo nero non aveva il “diritto di cominciare”, perché non gli era ancora riconosciuto il diritto di esistere, né di resistere.
Oggi, gli unici posti riservati – ufficialmente riconosciuti si intende – nei servizi pubblici, sono per disabili e donne in dolce attesa, motivi particolari che di certo non si ravvedono nel colore della pelle o nell’orientamento sessuale. Ma purtroppo e per fortuna, la linea di demarcazione non è sempre così netta e facilmente distinguibile. Chi stabilisce il punto in cui deve finire la mia libertà e può iniziare quella dell’altro? A discapito e a favore di chi viene tracciato un confine? Ma soprattutto, come fece Rosa Parks a prendersi una libertà che di fatto non aveva?
Il principio della disobbedienza civile
Rosa Parks non solo scelse di non rispettare la legge, lei la infranse per muoversi verso una legge che credeva più giusta, la infranse per far valere i propri diritti di cittadina americana. Rosa Parks non collaborò, disobbedì, consapevole dei rischi.
Il principio alla base della disobbedienza civile è l’esercizio responsabile di un’autonomia, di una cittadinanza attiva, fatta propria da un “sovrano” che sa: non c’è legge che tu non possa infrangere, ma se lo fai, accetti socraticamente la pena che ne consegue. Il principio della disobbedienza civile è una forma nonviolenta di lotta politica, un’astensione dalla collaborazione, una forma di boicottaggio, una possibilità di manifestazione, un esercizio di libertà come autonomia e “sovranità su sé stessi”.
La libertà non è un pregio
Se avesse optato per la fuga, Socrate non avrebbe onorato la sua parola, pertanto preferì morire per mano della “sorte”, piuttosto che rinunciare alle sue dissertazioni. Disobbedì civilmente, così come fece l’americano David Henry Thoreau nel 1846, quando rifiutò di pagare le tasse al governo federale per non contribuire a finanziare una guerra ingiustificata; il suo saggio, “Civil Disobedience”, è oggi considerato la bibbia dell’ideale della disobbedienza civile.
Thoreau non parlava da anarchico, ma da vero e proprio cittadino: « io non chiedo l’immediata abolizione del governo, bensì un governo migliore. Che ognuno faccia sapere quale tipo di governo ispirerebbe il suo rispetto e sarà il primo passo per ottenerlo. Non è da augurarsi che l’uomo coltivi il rispetto per le leggi ma piuttosto che rispetti ciò che è giusto »
Abbiate il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani
Siamo a Palermo, la professoressa Rosa Maria Dell’Aria viene sospesa “per non aver vigilato sui suoi studenti” dopo che gli stessi, in occasione della Giornata della Memoria, avevano presentato un progetto paragonando l’attuale “Decreto sicurezza” del Ministro Salvini alle leggi razziali fasciste del 1938. Al riguardo due sono i punti indiscussi: l’accostamento ravveduto dagli alunni è frutto di una lettura personale, come tale pertanto confutabile, e per questo andrebbe discussa, liberamente, perché libera è l’opinione. Per gli stessi motivi, è doveroso permettere che, anche tra i banchi di scuola, i giovani (gli stessi ai quai spesso si recrimina di essere socialmente pigri, dei vasi vuoti) abbiano la possibilità di esprimersi liberamente, senza censure.
La sospensione della professoressa per “non aver vigilato sul lavoro dei suoi alunni” rappresenta una doppia negazione della libertà: da un lato, impedisce agli insegnanti di svolgere il proprio mestiere, che non è quello di contribuire all’omologazione di cittadini passivi, bensì di stimolare una processo mentale, individuale e collettivo, e riconoscere ai propri studenti la capacità di potersi formare; dall’altro, censura una visione del mondo, il ragionamento, limitando pertanto la libertà di opinione.
Praticare la cittadinanza
Per scegliere veramente, è necessario saper discernere. I ragazzi non possono essere lasciati soli in questo processo di crescita, ma devono poter essere ascoltati, stimolati con cura, invitati a dire la propria. Un dibattito civico e ragionato è la forma di dialogo che si dovrebbe favorire tra tutti i banchi di scuola. In questo senso, il ritorno dell’educazione civica come materia obbligatoria rappresenta una preziosa occasione, poiché offre un’arena democratica e gratuita di dialettica e confronto, un percorso di valutazione ed autovalutazione per gli studenti, un’acquisizione del senso critico e di discernimento. Questo laboratorio di formazione ed educazione alla cittadinanza dovrebbe altresì essere costruita insieme agli alunni, primi destinatari e fautori di questo processo pro-attivo, dovrebbe essere utilizzata per parlare ai ragazzi come cittadini sovrani, non solo come popolo, ma anche e soprattutto come membri.
Articolo 21, diritto dal profilo attivo
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione (art. 21, Costituzione Italiana)
Rivolgersi ai ragazzi come ai «sovrani di domani» vuol dire porli davanti alla storia, davanti ad una Rosa Parks, ad un Mussolini, ad un Riina, ad un Mimmo Lucano, ad un Salvini. Perché è dal confronto e dalla contestualizzazione che si possono ricavare quegli strumenti utili alla personale creazione e ricerca di ideali e termini di paragone. Il cittadino sovrano può scegliere di disobbedire, a patto che socraticamente non pretenda di avere ragione. Non la rinuncia alle proprie ragioni, non il servilismo, non la libertà di opinione come un prestigio, non il rispetto come un pregio, bensì come dovere verso gli altri e verso sé stessi, quindi diritti.
Fonte foto: ANSA
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