Crisi: in Portogallo c’è il “barato”, in Inghilterra ci si beve sopra

lisbona1Reduce da una settimana di ferie trascorsa tra Lisbona e Londra, atterro a Bergamo con due parole in mente: barato e birra. Questi sette giorni fuori dall’Italia sono stati piacevoli, da turista ho girato a Lisbona e vagato per Londra, tornando a casa con molti ricordi e alcune considerazioni.

La capitale portoghese è esattamente come me l’aveva descritta un collega “una città affascinante, che trasmette un dignitoso senso di sconfitta”. Come un valoroso combattente, Lisbona ha le sue cicatrici, affascinanti da un lato, impressionanti dall’altro. La ferita più profonda è stata inferta alla città da un violento terremoto che, nel 1775, distrusse circa l’85% degli edifici lasciandosi alle spalle circa 40.000 vittime. La seconda, meno violenta ma comunque grave ferita, è quella più recentemente inferta alla città ed al Paese dalla crisi economica. Ieri il rendimento sui titoli di stato portoghesi con scadenza quinquennale è balzato al 23%, i titoli con scadenza biennale hanno invece raggiunto un tasso di interesse superiore al 21%.

In sostanza, se oggi compro 100€ di titoli portoghesi lo stato tra due anni dovrà restituirmene 121€, ovvero i 100 che gli ho prestato più gli interessi. Non bisogna essere economisti per comprendere quanto sia grave la situazione, comunemente infatti i titoli di Stato sono le forme di investimento finanziario con il minor rendimento perché implicano pochi rischi: è infatti poco probabile che lo stato fallisca. La situazione attuale del Portogallo è però drammatica, le agenzie di rating hanno abbassato il giudizio sul debito lusitano sotto il livello “junk” (spazzatura) e le probabilità che lo stato fallisca entro i prossimi cinque anni sono stimate al 70%.

Non sapevo tutto questo quando sono atterrato a Lisbona, mi sono però subito reso conto che qualcosa non andava. Le auto sono vecchie, in pieno centro una casa su dieci è abbandonata e la parola “barato” è sulla bocca di tutti e su ogni cartellone pubblicitario. “Barato”, “Mais barato”, “Muito barato”… ma cosa vuol dire? Ho impiegato poco a comprendere che “barato” significa “economico”. Introversi e introspettivi, i portoghesi sono molto diversi dai loro cugini brasiliani. Sorridono meno e parlano poco, ma tra quelle poche parole c’è sempre “barato”, una ripetizione ossessiva che trasmette appieno il senso di quanto greve e grave sia la consapevolezza di essere con l’acqua alla gola.

Non a caso, mi hanno detto che molti portoghesi cercano fortuna in  Brasile e persino in Angola, ex colonie portoghesi. Il caso dell’Angola, in particolare, mi ha colpito moltissimo. È vero che Luanda, la capitale, è risultata nel 2010 la città più cara al mondo e che l’economia angolana negli ultimi anni ha registrato il più alto tasso di crescita fra i paesi africani, ma pensare che l’angola debba regolare i flussi di immigrazione dal Portogallo è tanto strano quanto triste.

Dopo quattro splendidi giorni trascorsi a Lisbona, con la mente piena di pensieri e domande sono atterrato a Heathrow, Londra. Erano dieci anni che non mettevo piede nella City, e la prima volta ero tanto giovane da ricordare poco o nulla di quell’esperienza. La Gran Bretagna è stata tra i Paesi fondatori dell’Unione Europea, ma non ha mai aderito alla moneta unica. Ha una differente unità di misura per liquidi e per le distanze lineari e un differente senso di marcia rispetto alla maggior parte del globo.

È un isola, insomma, e non mi riferisco tanto alla posizione geografica quanto alla sua unicità. Ma la crisi arriva anche sulle isole? Secondo le più recenti rilevazioni Eurostat, il tasso di disoccupazione in Inghilterra è all’8,4%, un dato grave e non molto migliore rispetto alla rilevazione italiana (8,9%), a quella Portoghese (9,9%) ed alla media europea (9,9%). Nel 2011 la Gran Bretagna ha registrato una crescita bassissima del PIL (+0,9%), è il paese più indebitato al mondo, testa a testa con il Giappone, ed ha un deficit pubblico del attorno al 10%, il che significa che lo stato spende più di quando incassa. Nonostante ciò, il Regno Unito è tra i pochi Paesi a godere della tripla A concessa da Standard & Poor’s.

Nonostante la situazione in Inghilterra non sia affatto rose e fiori, nei giorni trascorsi a Londra ho parlato con ragazzi piuttosto soddisfatti del loro impiego e convinti che, tuttora, le opportunità lavorative oltre la Manica siano superiori rispetto a quelle disponibili in altri Paesi. Gli italiani, in particolare, appaiono professionalmente appagati, anche se umanamente provati dai ritmi della City. La domanda è, perché? Perché se anche qui le cose vanno male, la gente appare ottimista e l’economia sembra funzionare? Forse in quei pochi giorni ho avuto un’impressione sbagliata, ed è solo apparenza.

Forse agli occhi di chi vive in un Paese la cui regina è sopravvissuta ad una guerra mondiale e regna da sessant’anni la crisi sembra poca cosa, semplicemente un ciclo. O forse nella City, cuore pulsante della finanza mondiale, sanno che l’economia è ormai un’instabile e danneggiata barchetta che ha la finanza al timone e l’ottimismo ai remi. Meglio non far percepire la gravità della situazione, quindi, meglio uscire dagli uffici e andare a farsi una, due, tre o più birre. Aiuta a distrarsi, aiuta a dimenticare. Meglio chiudere qui, sto iniziando a pensare allo stato di salute della nostra economia e, non so perché, ho improvvisamente voglia di una birra!

di Demos Nicola

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.