Scultore, poeta, scienziato e addirittura c’è chi lo definisce chirurgo sensuale: tanti gli epiteti affibbiati al giovane Dion Lee, con l’intento di rimarcare sulla taglienza di una tecnica ricca di fascino e sperimentazione.
Di origine australiana, il designer debutta con l’eponimo brand nel 2009, a soli 23 anni, durante l’Australian Fashion Week con una laurea conseguita presso il Sydney Institute of Technology. Da lì, assecondando quel desiderio di una visione più globale, alza lo sguardo su New York che, dopo alcune presentazioni dal calendario ufficiale di Londra, diventa la sua città d’adozione.
New York e l’evocativa percezione di Lee
Sedotto dai flussi d’aria e dal potere rifrangente della luce, il processo creativo di Dion Lee segue spesso modelli scultorei e ingegneristici senza perdere di vista la funzionalità, a sua volta foggiata da uno spiccato gusto intellettuale. A tutto ciò fa capo una profonda consapevolezza della sinuosità del corpo e del ritmo ciclico dettato dalle stagioni. Sensibilità meteoropatica, quest’ultima, che il designer si convince di affinare solo vivendo nella Grande Mela, dove rispetto al clima australiano, dopo un lungo e rigido inverno il sole può avere un’influenza maggiore sulle scelte e sull’umore delle persone. Questa la sua evocativa percezione. Ecco perché contrasti di materiali, con pesi e volumi diversi, sono spesso ostentati da Lee; basti pensare ai superbi capispalla in mohair verde smeraldo (Autunno 2015), abbinati a gonne con nastri di raso in tagli cut out. O ancora – qualche stagione più tardi -, all’equilibrio tra fluidità e volume (Pre-Fall 2016) grazie a una serie di capi in organza di lana, e cappotti in pelliccia Mongolia indossati con irriverenza, quasi per crogiolarsi al sole. E sullo sfondo? Un finto deserto arancio fuoco.
“Penso che il mio stile si sia evoluto molto, man mano che sono maturato” rivela nel 2018 a Vogue, a riprova di un’attenzione crescente per la vestibilità e la costruzione di pezzi che appaiono sempre più disinvolti e dinamici. Annoverando tra le sue prime clienti, Kim Kardashian, e poi Ariana Grande e Bella Hadid, a distanza di dodici anni, il brand è cresciuto moltissimo, diventando un ritratto di due città, Sydney e New York. Anche se, a corredo dell’imminente apertura a Manhattan – con uno spazio di quasi 400 metri quadrati -, di recente Lee ammette di sentirsi ancora troppo sconosciuto per il Continente Nuovo; malgrado la fervida produzione di abbigliamento e accessori uomo/donna e una serie di negozi già avviati nella nativa Australia.
Da New York: una visione accattivante della moda australiana
Tra mappature geotermiche, pronte a riflettere nuove trame dalle zone più o meno calde del corpo (Spring 2013) e cervellotici labirinti su tessuti testurizzati (Resort 2015) per richiamare un concetto di connettività umana, fin dagli esordi la visione del designer offre una prospettiva futuristica e accattivante del moda australiana.
Trascinando in passerella, una piacevole commistione di lavoro e vacanza, nella Primavera 2018, abbina un gilet destrutturato a un paio di ciclisti, mescolando la frenesia tipica newyorkese con i luoghi esotici e rilassati della sua Oz. Assottigliando ogni demarcazione di genere, sperimenta la nuova fibra realizzata partendo dalla carta. Completi vaporosi in pervinca simil spugna, si alternano così a pezzi più fascianti con plissettature stampate a contrasto sul tenebroso blue navy. La lingerie si fonde con l’universo militare e spesso conserva una sensualità ancestrale. I reggiseni scolpiscono il busto (Fall 2018) e restano in primo piano su blazer sartoriali e top incastrati con ciò che resta di un corpulento lupetto bianco latte. I ricordi, le onde, l’oceano, l’arte, sono plasmati e rieditati al ritmo di una disciplina quasi matematica, che collezione dopo collezione con l’impellenza dell’utilitywear sembra farsi più leggera, mentre l’estetica è graffiante tra bodycon dress, corsetti destrutturati e reticoli di filati riflettenti.
Horsepower: la linea Autunno/Inverno 21
A prescindere dal tema o dall’ispirazione, la visione di Lee è drammatica, e la struttura di ogni modello occupa il primo posto sulla sua scala di importanza. Come accade per Horsepower, la linea Autunno/Inverno 21che ha il virtuoso intento di esplorare il mondo equestre, insieme alla costruzione di possibili similitudini con l’umanità.
Saltano all’occhio, infatti, le calzature – frutto della collaborazione con l’azienda francese Both Footwear -, che riprendono le fattezze dello zoccolo equino e si inglobano nei look con un’impronta militare, e non a caso cavalleresca. Qui il vocabolario stilistico di Lee si arricchisce di dettagli che mantengono un’accezione energica, e con nonchalance sembrano sfiorare i confini di un immaginario goth bondage. Reti, cinghie, intagli a occhiello fissano abiti e pantaloni passando da maschile a femminile e viceversa, con un’alternanza quasi impercettibile. I body a costine di cachemire sono pensati senza distinzione di genere e la lingerie è esuberante diventando parte integrante di gonne a pantalone e comodi leggings in nylon e jersey. C’è qualcosa di imperioso, che domina la linea, frutto di un’aurea tribale che ha la capacità di smussare ogni sedizioso slancio di sensualità, anche se rivelato da tagli chirurgici o costrizioni esagerate. Ed è nella stabilità di equilibri che si ergono l’abilità artigianale e il gusto intellettuale del designer.
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