“Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”

Se è vero che “l’amore vuole amore”, un padre che ama un figlio attende che questi lo ami allo stesso modo, con tutto se stesso. Forti di questa massima è chiaro che il riferimento a “quel padre” indica Dio e noi siamo i suoi figli, chiamati, in virtù del nostro Battesimo, ad amarlo con tutto noi stessi. Amare, lo sappiamo, è condividere, donare, dialogare; purtroppo, soprattutto oggi, instaurare un dialogo vero, autentico con Dio non è molto semplice perché tanti considerano questo rapporto una perdita di tempo. Coloro che amano veramente non possono esimersi dal dialogare perché la vera comunicazione, che di per sé è già amore, permette di conoscersi fino in fondo; infatti, è proprio grazie al dialogo che si possono esternare i propri stati d’animo, ciò che realmente si pensa, il proprio modo di essere, di fare, ecc. Purtroppo, quando in una coppia regna il silenzio si sperimenta il momento difficile dell’amore. Ecco la crisi. La liturgia di questa domenica ci propone una riflessione tutta in verticale, sul dialogo “Dio-uomo” e questa comunicazione, che è scambio di amore, avviene tramite la preghiera. La prima lettura, tratta dal Libro della Genesi, illustra la vicenda di Abramo che, a tutti i costi, vuole risparmiare la città di Gomorra dall’ira furente e distruttiva di Dio. E come fa? L’abbiamo ascoltato: instaura con Dio un profondo dialogo, intesse con Lui una relazione “padre-figlio”, profonda, e i termini utilizzati ci indicano proprio una “relazione amorosa”. E infatti, conoscendo la vicenda di Abramo, non c’è da meravigliarsi! Egli ci insegna che la preghiera, quella innalzata a Dio continuamente ed insistentemente, viene esaudita. E qui, credo sia opportuno che ciascuno di noi si chieda “cosa significhi pregare”, “cos’è la preghiera”, perché, penso, non sempre sappiamo pregare e tanto meno fare nostra la domanda degli Apostoli: “Signore, insegnaci a pregare”. Ma noi, nonostante le nostre fragilità, glieLo chiediamo lo stesso: “Signore insegnaci a pregare!” e il Maestro ci risponde allo stesso modo: “Quando pregate dite così: Padre nostro…” Chi di noi non conosce la preghiera del Padre nostro? Sicuramente insieme all’Ave Maria è la preghiera più recitata e conosciuta. Vogliamo insieme analizzarla, frase per frase per scoprire la bellezza e la profondità di questa preghiera insegnataci dallo stesso Gesù. Padre sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno. Dio è Padre, la preghiera è rivolta al “Padre per eccellenza”. E cosa devono chiedere i figli al Padre? semplice: che lo riconoscano e lo amino sempre come loro padre. Solo così il resto della preghiera acquista un senso; infatti “sia santificato il tuo nome e venga il tuo regno” significa “fa’ che siamo sempre tuoi figli e che nel mondo intero tutti diventino tuoi figli”. Ovviamente si diventa “figli” con il Battesimo, ma si diventa figli anche quando si compie la sua volontà, quando lo si ascolta, quando si compie il suo volere, infine quando si vive in perfetta obbedienza. Il Padre regna e il Padre è santificato nel suo nome quando da noi, suoi figli, è riconosciuto il solo Signore della nostra vita. “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”. Sappiamo bene che l’uomo possiede una dimensione spirituale, ma egli è anche corpo da nutrire, vestire, curare, coprire, custodire. A Dio dunque, che è datore di ogni bene e Divina Provvidenza, si chiede anche quanto è necessario per il sostentamento quotidiano; dobbiamo essere sempre grati a Dio perché ciò che serve per il corpo, in ultima analisi, è sempre dono del suo amore, della sua dedizione per noi. Sicuramente noi penseremo che il pane quotidiano sia il frutto esclusivo del nostro lavoro; sì, è vero, ma è da considerare anche che il lavoro, come la salute fisica e spirituale, è un sacrosanto dono di Dio. Sarebbe quindi, doveroso e giusto da parte nostra pregare Dio perché venga custodito il proprio posto di lavoro, perché ci infonda la forza necessaria per poter lavorare, perché sul posto di lavoro possa procedere tutto bene. Infine, “e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo ad ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”. L’uomo, lo sappiamo, è peccatore e sempre incline a peccare a causa della naturale fragilità seguita alla colpa originale dei nostri progenitori. Con quest’ultima invocazione dunque, si chiede a Dio il perdono dei nostri peccati. E lo possiamo fare se noi ci presentiamo a Lui con il perdono già concesso a chi ci ha offeso o a chi, in un modo o nell’altro, ci ha colpito. Prima dell’esame di coscienza sarebbe bene fare questa preghiera: “Signore noi abbiamo già perdonato chi ci ha offeso, tu ora puoi perdonarci, perché nel perdono e nella misericordia noi non siamo più grandi te”; se noi perdoniamo, Dio si arrende e perdona anche i nostri peccati. Bei discorsi, belle parole… ma la fragilità ci investe. Come vincere la nostra umana fragilità? Come non cadere nella tentazione? Anche questa grazia si chiede al Signore, al Padre. A Lui si chiede di non abbandonarci alla tentazione, di non lasciarci soli nell’ora e nel momento della tentazione. Senza la sua grazia cadiamo e senza il suo aiuto pecchiamo di certo. Concludo: cosa è allora la preghiera del Padre nostro? È una richiesta di grazia perché possiamo vivere sempre da veri figli di Dio, da veri fratelli gli uni gli altri, da figli senza affanni e che mai tradiscono il Padre con il peccato. Possa il Signore concederci sempre questa particolare grazia. Amen.

Fra Frisina

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