Nel 1945 avvenne un incontro molto particolare fra due personalità eccentriche e differenti fra di loro, che si sarebbe dovuto concludere con un progetto cinematografico, naufragato prima di approdare. Parliamo di Walt Disney e Salvador Dalì.
Due vere icone del secolo scorso. Se Disney era legato al mondo dell’infanzia e alla potente industria cinematografica “macinasoldi”, il “surrealista” Dalì era un artista che si rivolgeva ad un pubblico appartenente alla cosiddetta “cultura alta” e le sue opere rappresentavano una chiara protesta, se non una provocazione, contro il sistema tanto caro all’americano. Eppure fra i due era scattata l’idea di collaborare per realizzare un cortometraggio.
A svelarlo è stato Roy Edward Disney, nipote di Walt, il quale nel 1999 mentre stava lavorando per la realizzazione di Fantasia 2000, si imbattè nell’embrione del progetto del cortometraggio “Destino” e decise di ripristinarlo. Roy incaricò gli studios Disney di Parigi per la realizzazione del filmato, che fu prodotto da Baker Bloodworth e diretto dall’animatore francese Dominique Monfrey, per la prima volta nel ruolo di regista.
Innumerevoli i materiali riportatori alla luce, tra cui testimonianze scritte del lavoro, interviste e i “Diari di Gala”, ma poiché non tutto il materiale era in casa Disney furono riscontrate parecchie difficoltà nell’elaborarlo. Soprattutto a creare i problemi furono gli storyboards. Essi non erano numerati e presentavano immagini apparentemente slegate tra di loro, tanto che fu necessario il supporto tecnico di 25 animatori per decifrarli.
Capire quale doveva essere la sequenza corretta delle varie scene nell’idea originale degli autori si rivelò piuttosto difficile, ma alla fine l’arcano venne risolto grazie all’aiuto di John Hench, il braccio destro di Dalì nel 1946, e ai sopracitati diari di Gala, in cui erano annotati scrupolosamente i giorni di lavoro. Alla fine, il risultato fu un cortometraggio in cui sono mescolati elementi di animazione classica a ritocchi apportati con la grafica computerizzata.
DESTINO
Tutto ebbe inizio nel 1945 quando Dalì, trasferito da qualche anno negli Stati Uniti, aveva iniziato a collaborare con Hitchcock per allestire la scenografia del film “Io ti Salverò”. Dalì aveva disegnato due enormi occhi, assai inquietanti, sui tendaggi e fu proprio tale disegno a spingere Disney verso lo spagnolo. Era l’epoca del fortunatissimo package-film “Fantasia”, nel quale una serie di immagini, slegate fra di loro, dunque abbastanza surrealiste, si susseguivano accompagnate da un florilegio di brani di musica classica.
Il successo fu tale, che Disney credette opportuno rivolgersi al mago del surrealismo in persona. La sua scelta fu motivata, oltre che dall’ammirazione verso la pittura di Dalì, anche da un mero interesse economico. Erano infatti gli anni della Guerra mondiale e la crisi aveva attanagliato anche il colosso americano.
Quale migliore opportunità per rilanciare la casa cinematografica, se non riproporre l’esperimento di Fantasia, avvalendosi della collaborazione di uno dei nomi più in voga del momento? Ben presto i due passarono dal dire al fare e fu scelta inizialmente come colonna sonora una ballata d’amore del messicano Armando Dominguez intitolata Destino, da cui il nome del cortometraggio.
Sulla scelta musicale, a dettare legge fu Disney, il quale fece successivamente adattare il tema in inglese da Ray Gilbert col titolo My Destiny in Love. Dalì non era molto d’accoro e come ammise in un’intervista, avrebbe preferito come sottofondo la musica di Stravinsky. Il contratto fra i due venne stipulato il 14 gennaio 1964 ma dopo solo 8 mesi di collaborazione, finì in una bolla di sapone a causa delle opinioni divergenti dei due egocentrici personaggi, mossi da interessi e ambizioni diametralmente opposte.
TRAMA
Anche la trama fu decretata senza troppi ragionamenti e condizionamenti da Disney. Per lui doveva essere semplicemente una storia d’amore tra una ballerina e un giocatore di baseball. Dalì avrebbe invece voluto estendere il tema amoroso in puro stile surrealista, inteso come “la ricerca del vero amore, per trovare il proprio destino”. Dal suo canto, il cortometraggio doveva avere un carattere didattico ed avere come obiettivo quello di diffondere il surrealismo al grande pubblico. Aveva inoltre intuito le potenzialità dell’animazione, che poteva realmente dare vita ai suoi dipinti, nello sviluppo del metodo delle immagini multiple e delle metamorfosi che erano state protagoniste della sua attività pittorica degli anni Trenta.
I LAVORI
Quando iniziarono i lavori, Dalì cominciò a recarsi tutti i giorni presso gli studi di Burbank, in California, in orari da ufficio e come accennato, venne affiancato da un esperto collaboratore, tale John Hench, con il quale realizzò anche degli storyboards. In tutto Dalì produsse 22 dipinti e 135 tra schizzi e bozzetti. Non venne mai stesa una vera e propria sceneggiatura, ma il progetto rimase allo stato di idee vaganti. Secondo il progetto, Dalì avrebbe dovuto recitare il prologo, in stile Hitchcock , per spiegare al pubblico i principali simboli surrealisti del film e fornirgli la chiave di lettura corretta per interpretarli.
COSA RESTA
Quasi nessuna idea progettata è stata portata a termine, a parte un piccolo test di animazione che dura 15 secondi, in cui Dalì e Disney sono sorretti da due tartarughe che si avvicinano fino a far combaciare le teste e generano la ballerina protagonista, recante in mano una palla da baseball. Dei dipinti è rimasto il fondale, che raffigura una specie di anfiteatro in rovina con varie nicchie che, avrebbero dovuto ospitare delle statue surrealiste, spiegate una per una dal loro autore a costituire un’introduzione alla vicenda.
di Simona Mazza
foto: studenti.it; dvcmom.com
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