Il capomafia della cosca dell’Acquasanta, Vito Galatolo ha avvisato il pm Nino Di Matteo dell’esistenza di un progetto per ucciderlo.
Galatolo è il figlio dell’altrettanto noto “Enzo” condannato all’ergastolo per aver preso parte all’omicidio del generale dalla Chiesa, oltre che per il suo coinvolgimento nel fallito attentato all’Addaura contro Falcone.
Nel corso degli anni, il boss ha alternato momenti di libertà provvisoria a detenzione e durante alcune intercettazioni, effettuate dal nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza, si è avuta conferma della sua partecipazione a riunioni con il gotha della mafia palermitana, durante le quali si sarebbe appunto progettato l’attentato.
Galatolo è stato arrestato a giugno durante l’operazione “Apocalisse”, che ha decapitato il mandamento di San Lorenzo e Resuttana e da allora si trova in regime di 41 bis.
Quello del boss non è un atto di pentitismo: l’uomo ha dichiarato di volersi semplicemente sbarazzare di un peso che lo assillava negli ultimi mesi.
A elaborare il piano-stando alle dichiarazioni del mafioso- sono state le cosche palermitane con l’input di altre “Entità” e per tali motivi è stato recapitato nel capoluogo siculo un ingente quantitativo di tritolo.
Come ogni piano di stampo mafioso, è stata studiata anche l’eventuale alternativa, ovvero la possibilità di un agguato a Roma a mezzo bazooka e kalashnikov.
Peccato che Galatolo non abbia detto dove è stato stoccato il materiale esplosivo. L’unica cosa certa è che dal suo arresto il progetto è rimasto in sospeso, anche se non accantonato e che si attende il via libera.
Purtroppo la “fuga di notizie” sulla fonte (ritenuta attendibile dalla Dia) potrebbe avere ripercussioni serie per l’incolumità del magistrato e dei suoi uomini, visto che tra l’altro che al Pm non è stato assegnato il dispositivo bomb jammer per intercettare i segnali radio.
Lo scorso Aprile, dopo la mancata risposta all’interrogazione parlamentare dell’on. Luigi Di Maio del 14 ottobre 2013 (relativa alla effettiva disponibilità del “jammer” per Nino Di Matteo), una delegazione di associazioni antimafia si era recata in Viminale per avere delle risposte dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano, il quale aveva assicurato che il dispositivo “era stato reso disponibile”, ma ad oggi dello strumento non v’è traccia.
A rischio anche i familiari di Galatolo, la moglie e i tre figli.
Non è la prima volta che si parla di allarme bomba per Di Matteo.
Nel 2012 fu recapitato presso il domicilio di Di Matteo un plico: il cosiddetto “Protocollo farfalla” che metteva in guardia i magistrati avvertendoli di essere spiati da “uomini delle Istituzioni” che “canalizzano le informazioni che riescono ad avere”. Il 26 marzo un anonimo annunciò “Amici romani di Matteo (Messina Denaro) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità”.
Alla vigilia della prima udienza, il 27 maggio, il processo trattativa Stato-mafia si è aperto con l’arrivo dell’ennesima missiva al pm “Il nemico ti spia, come e quando vuole. Attenzione a quando parli, alle auto su cui viaggi, al telefono cellulare. E come se avessi vicino a te una microspia”.
Nel luglio 2013 un altro confidente ha parlato poi di “un regaluccio” per il nemico di Riina consistente in 15 chili di tritolo ma poi la situazione è rientrata.
Lo scorso settembre invece, ignoti si sono infiltrati nell’ufficio del Pg lasciando sulla scrivania una lettera anonima. “Possiamo raggiungerti ovunque”.
Venti giorni dopo, i soliti ignoti hanno scritto sulla porta di fronte l’anticamera della stanza del “Accura”, cioè “stai attento”.
Il 7 ottobre è stato trovato in un’aiuola, un proiettile da guerra di grosso calibro in dotazione alle forze armate israeliane, mentre il 21 ottobre, una telefonata anonima annuncia che una bomba sarebbe scoppiata alle 10.30.
Nella lista nera, oltre a Nino Di Matteo, sono stati elencati gli altri pm del pool trattativa: Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, oltre che gli uomini della scorta.
Il procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, si è detto preoccupato per la fuga di notizie “Se la fonte è riservata la riservatezza è strumentale anche alla sicurezza: più ne parliamo e più mettiamo a rischio la vita di Nino Di Matteo”.
Oltre a Galatolo anche il boss Antonino Zarcone, ex reggente del clan di Bagheria e oggi collaboratore di giustizia ha parlato del rischio attentato per Di Matteo (per il periodo 2006-2007).
L’ipotesi è stata confermata dal pentito Stefano Lo Verso nel 2011.
di Simona Mazza
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