Dinanzi all’adultera Gesù tace, si china e prende un netto distacco dai presenti

adulteraOgni volta che si legge il Vangelo di questa quinta Domenica di Quaresima (Gv 8, 1-11) l’attenzione del lettore è solleticata dall’amore che Gesù usa verso la donna adultera; delicatezza e cura che ci presentano un Gesù-uomo, “simile a noi in tutto, fuorché nel peccato” (Eb 4, 15). L’evangelista Giovanni ci rivela il motivo per cui gli scribi e i farisei presentano a Gesù questa donna, colta, poco tempo prima, in flagrante adulterio. In realtà, è la loro curiosità che li spinge a verificare se il Maestro sia a favore o meno della legge mosaica che, in questo caso, avrebbe previsto la morte subitanea della donna, attraverso una lapidazione pubblica.

Al lettore di questo brano difficilmente sfuggono i movimenti della donna che, infatti, seguono una certa dinamica: inizialmente è una donna umiliata, perché scoperta sul fatto; poi viene strattonata per le vie di Gerusalemme, è disprezzata e schernita da coloro che la trascinano nel tempio, dinanzi a Gesù; quindi, l’adultera, in quei frangenti, offesa nella sua dignità, sperimenta il brivido della morte interiore; infine, finita in mezzo a due fuochi e additata come meritevole di condanna, avverte certamente l’amarezza della morte che di lì a poco sarebbe sopraggiunta mediante i macigni che le avrebbero scaraventato contro.

Sia domenica scorsa (il figliol prodigo), sia oggi (l’adultera), la liturgia ci ha presentato ancora una volta il volto amabile della Misericordia di Dio. In entrambi i casi, Dio attua una logica umanamente inaccettabile: si sveste della toga di giudice per indossare i panni dell’amore e del perdono. Avremmo noi lo stesso coraggio di Dio? Ma sappiamo bene che la sua misericordia è diversa dalla nostra; essa non è, anzi, supera ampiamente il significato che lecitamente o illecitamente attribuiamo al concetto umano di giustizia. “Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 33, 11). A volte, purtroppo, più che la punizione, l’uomo preferisce la morte del peccatore e nei casi meno gravi opta solo per la pena. Ma quante volte, forse anche noi, a causa di errori, abbiamo vissuto l’esperienza di essere giudicati? Quante volte, forse anche noi, per debolezza umana, abbiamo messo i fratelli al centro dell’opinione pubblica, pretendendo soltanto il trionfo del nostro concetto di giustizia? Finché non ci convinceremo che il cuore del Cristianesimo è costituito dalla dimensione del perdono, realtà questa, che gravita al centro della nostra fede, noi continueremo ad errare, smarrendo, altresì, il riferimento essenziale del nostro credo, quello cioè, di essere simili a Gesù, in tutto.

Dinanzi al peccato della donna, Gesù tace, si china per terra; scrivendo sulla sabbia fa finta di non vedere e di non sentire; anzi, amareggiato per la condotta dei giudici senza pietà, prende un netto distacco dai presenti. In mezzo a quella gente ci siamo noi, ci sono anch’io. Nella prima lettura, il profeta Isaia, ancor prima di Gesù, ci esorta a “non ricordare più le cose passate” (Is 43, 18) e noi, invece, abbiamo paura di gettarci nelle braccia di Dio perché spesso la nostra mentalità non sa riconoscere un padre misericordioso ma un dio giudice che punisce tutti coloro che sbagliano. “Io non ti condanno! Va’ in pace e non peccare più” – ci ripete ancora Gesù. Carissimi, la Parola di Dio proclamata in questa Domenica ci ricorda che il cammino della nostra vita certamente è costellato da difficoltà e da prove, ma Dio – attesta Isaia nella prima Lettura – lo rende spedito, mutando la steppa in un paese ricco di acqua (cfr Is 43,19-20). Alla parola del profeta risponde anche il Salmo responsoriale: mentre il popolo gioisce per il ritorno dall’esilio babilonese, esso invoca ancora Dio perché, come in passato, compia anche in futuro le sue grandi opere in favore di Israele.

Questa è la consapevolezza che deve animare e vivificare ogni comunità cristiana, sostenuta, mentre attraversa il deserto di questa vita, dalla grazia dello Spirito Santo. Solo l’amore di Dio può cambiare dal di dentro la vita di ogni uomo, liberandolo così dal peccato che è la radice di tutti i mali. Dalla Parola di Dio di questa Domenica abbiamo imparato che Dio è, sì, giustizia; tuttavia, non dobbiamo dimenticare che Egli è soprattutto amore e che se rigetta il peccato è perché ci ama davvero infinitamente. Spiegandoci perché Dio perdona e insegnandoci a fare del perdono il “pane quotidiano” della nostra esistenza, Gesù oggi ci ha aiutato a toccare con mano le tante difficoltà del nostro cammino di conversione. Egli è venuto in mezzo a noi per portarci tutti in Paradiso assieme a Lui e per ammonirci che l’inferno, del quale oggi si parla poco, esiste ed è eterno per quanti chiudono il loro cuore all’amore di Dio.

Dal Vangelo di questa Domenica si evince che l’attaccamento al peccato è il nostro vero nemico, le cui insidie ci conducono pian piano al non-senso della nostra vita. L’atteggiamento che Gesù usa nei confronti della donna diventa così un grande esempio per tutti noi, esortati a fare dell’amore e del perdono il cuore palpitante della nostra Chiesa. Carissimi, la Quaresima si avvia alla sua conclusione! Ci guidi ancora la certezza che Dio non ci abbandona mai e che il suo amore è l’unica fonte dalla quale sgorga la vera gioia e la pace. Ci conceda la Vergine Maria di amare sempre di più suo Figlio e di seguirlo fino alla fine, imitando la sua stessa fedeltà, perché, come avvenne per l’apostolo Paolo, anche noi possiamo percorrere i sentieri del Vangelo senza esitazioni e senza accettare alcun compromesso.

 di Fra’ Frisina

foto: statoquotidiano.it

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