Il mese di dicembre non sarà dedicato ad un solo autore, ma ai tanti che, con i loro racconti, hanno reso il Natale una festa migliore. Iniziamo da Dino Buzzati, e dal suo Racconto di Natale.
E’ di Dino Buzzati, il primo racconto con cui voglio segnare l’approssimarsi del Natale.
Lo stile dei suoi componimenti brevi è inconfondibile: egli allontana il carico di amarezza che la quotidianità riserva, dedicandosi ad emozionare, commuovere attraverso l’intreccio di destini dei suoi personaggi. Non a caso i suoi autori preferiti sono Dante, Proust, de Maupassant. Tolstoj, Omero, Poe, che hanno costruito opere solide, massicce, guardando alla tradizione ed al contempo distaccandosene; creando qualcosa di nuovo.
E’ ciò che fa egli stesso.
Una notte di Natale davvero particolare, quella di Buzzati. Fedele al suo stile favolistico, alle sue incursioni liriche nel mistero, ci descrive un sontuoso palazzo vescovile e l’annessa cattedrale, entrambi immensi e freddi, che giganteggiano nella piazza di un paesino. A dire il vero non sappiamo se si tratta di un piccolo paese o di una città; Buzzati non lo dice. Eppure dalle domande che i parrocchiani si pongono sul Natale del vescovo, dai diversi personaggi che si incontrano non sembra possano esserci dubbi sul fatto che trattasi di un piccolo centro. Forse, le sue parole arrivano dalle cime dolomitiche che Buzzati ha dentro l’animo; nel suo descrivere le cose come se arrivassero sempre da lì, dai suoi amati monti.
Don Valentino sta sistemando la chiesa affinché il vescovo possa trascorrervi in preghiera la notte di Natale. Egli sa bene che Dio riempirà quel luogo e non lascerà solo il suo vescovo. Ha già cominciato a farlo, in realtà: il Duomo è traboccante della presenza divina, una presenza calda, accogliente, visibile, capace di infondere nel cuore la gioia più pura. Eppure, qualcosa sta per cambiare.
Grande estimatore di Edgar Allan Poe ed esperto cronista di nera, Buzzati inserisce nella storia un’idea di mistero. Pochi colpi risuonano nella chiesa: qualcuno sta bussando. È un barbone, un uomo umile che chiede a Don Valentino di poter avere un po’ di quel tanto di Dio che riempie quel luogo. “E’ di sua eccellenza l’arcivescovo. Serve a lui, fra un paio d’ore. Sua eccellenza fa già la vita d’un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio!”.
Il pover’uomo viene messo alla porta, dunque. Il problema è che la presenza, l’essenza di Dio sparisce con lui.
Inizia, dunque, per Don Valentino, un lungo pellegrinaggio in cerca di un po’ di Dio da riportare in chiesa per l’arcivescovo. Bussa in casa di una famiglia che si stava accingendo a cenare; nella stanza aleggia la stessa infinita gioia, lo stesso infinito amore che c’era in chiesa poc’anzi. Valentino ne chiede un po’, ma il capofamiglia, ritenendo Dio una sua proprietà, reagisce nello stesso modo in cui egli aveva reagito con il barbone. E Dio sparisce anche da quella casa. La stessa scena si ripete in ogni dove, finché in lontananza Don Valentino non vede una piccola chiesa pregna del calore divino. Entra per elemosinarne un po’: c’è un uomo solo al centro della navata ed è raccolto in preghiera, si tratta dell’arcivescovo, il quale accoglie Don Valentino a braccia aperte chiedendogli dove fosse stato in quella notte così fredda.
Non si è mai mosso dal Duomo ed ha immaginato tutto? La consapevolezza d’aver perduto Dio nel momento esatto in cui si era rifiutato di condividerlo con uno sconosciuto ha reso buio e freddo il suo cammino? Oppure è morto ed è il purgatorio che attraversa quella notte? Non dimentichiamo lo stretto rapporto che Buzzati ha con la morte in tutta la sua vita, rendendola spesso protagonista dei suoi scritti. Indro Montanelli, che per anni ha diviso con Buzzati e Piovene, la stanza al Corriere della Sera, scherzosamente e causticamente disse: “Dalla mattina alla sera mi spiavano e si spiavano fra loro per vedere che smorfia avrei fatto se fossi morto; vivevano entrambi in compagnia della morte e la morte per loro ero io”.
Forse, il pellegrinaggio di don Valentino non è altro che il vuoto interiore, il vortice oscuro in cui viene catturato l’animo che non conosce pietà, che rifiuta altruismo ed umanità. Forse, anzi sicuramente, i piani di lettura sono molteplici e non si può trascurare quello intimistico, dove Buzzati usa spargere particelle di sé, pur sapientemente universalizzate.
Egli lascia sospesa la sua verità, ma il messaggio arriva dritto al cuore ed è sua peculiarità, quella di cercare l’emozione del lettore, usando temi semplici ed uno stile facilmente fruibile; la sua verità, sì, perché ognuno ne ha una, leggendo Buzzati. La mia è questa: è nella condivisione caritatevole, che Dio risiede; sono le mani che si tendono verso gli altri, noti o sconosciuti che siano, a scaldarsi grazie all’Amor divino; è nel nostro senso di umanità e di altruismo che risiede la grotta di Betlemme, perché lì nasce il seme di Dio ed ogni giorno è Natale.
Forse sarebbe bene ricordarlo a noi stessi, soprattutto in questi tempi in cui, sotto la parola “accoglienza” vengono celati “interessi individuali”, “arricchimento di pochi a danno di molti”, ma soprattutto tanta “indifferenza” nei confronti dell’altro, del meno fortunato, di colui che viene trasformato, dall’egoismo fintamente ideologico, in un mero corpo che produce soldi, ricche diarie per chi specula sull’immigrazione: l’ultima frontiera della schiavitù.
di Raffaella Bonsignori
Scrivi