Il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli, ha relazionato alla Camera sulle decisioni prese dal governo a seguito del disastro del ponte Morandi di Genova. Con il piglio del Robespierre, il ministro ha già emesso il verdetto sulle responsabilità della tragedia, prescindendo dalle risultanze delle indagini della magistratura e i tre gradi di giudizio previsti dalla Costituzione per dichiarare colpevole un qualsiasi imputato.
La responsabilità giuridica (penale e civile) del crollo del ponte e della morte di 43 persone – ha detto il ministro – è di “Autostrade”: “Lasciare ad Autostrade per l’Italia la ricostruzione del viadotto sarebbe una follia e irrispettoso nei confronti dei familiari delle vittime… Autostrade mette i soldi, il ponte di Genova lo rifacciano noi”.
Fermo restando che non è dato da capire chi sarebbero i “noi” e che cosa costoro sarebbero in grado di cantierare, Toninelli ha anche anticipato gli esiti della causa civile alla quale, sicuramente, andrà incontro revocando ad “Autostrade” la concessione al momento in essere sino al 2042. Lo fa senza attendere le controdeduzioni del concessionario, che pure erano state richieste dal governo nella lettera di avvio della procedura di decadenza del contratto. Se, poi, con il “noi”, Toninelli si riferisce allo Stato, non si capisce come un ente che si è dimostrato incapace di controllare il gestore sia in grado di gestire esso stesso la concessione che intende revocare.
Infine, il ministro si è lanciato in un’invettiva nei confronti dei “padroni delle autostrade” che “si sono arricchiti gestendo beni che appartengono a tutti noi (ancora! N.d.r.) … Questo governo – ha detto – farà di tutto per rivedere integralmente il sistema delle concessioni e degli obblighi convenzionali, valutando di volta in volta se l’interesse pubblico sia meglio tutelato da forme di nazionalizzazione oppure dalla rinegoziazione dei contratti in essere in modo che siano meno sbilanciati a favore dei concessionari”.
Al problema delle responsabilità del disastro si affianca quello della paralisi produttiva e dei trasporti
Sulla questione delle responsabilità, il cronista si è già pronunciato in un precedente articolo, ove ha espresso l’opinione che la responsabilità dello Stato, in materia di protezione civile, non può venir meno con il sistema dell’affidamento in concessione della gestione di tratti di autostrada che restano di proprietà dello Stato stesso.
Da un ministro della Repubblica, tuttavia, ci si aspettava che fosse in grado di isolare giuridicamente la questione specifica, rappresentata dal risarcimento dei danni causati dal crollo del viadotto Morandi e della necessità della sua eventuale ricostruzione in situ, dalla più ampia problematica economica e produttiva che il disastro di Genova e l’interruzione dei collegamenti ha causato.
Il viadotto Morandi era l’unico collegamento autostradale tra il levante e il ponente della Liguria, intersecandosi, da una parte, con i collegamenti verso Milano e verso Livorno e, dall’altra, con la prosecuzione della direttrice costiera che si riannoda con le autostrade francesi. Il suo crollo comporta un notevole incremento nei tempi e nei costi di percorrenza del sistema dei trasporti, dato che i percorsi alternativi per le diverse direttrici sono molto più impegnativi in termini di distanza e di intensità di traffico.
La ridotta funzionalità del porto di Genova mette in crisi importanti prospettive economiche per l’Italia
Il collasso di poche centinaia di metri del viadotto, pertanto, imporrebbe l’adozione di una strategia complessiva, da adottare in via d’urgenza, di cui Toninelli non si è nemmeno lontanamente sognato di fare. Enormi, infatti, sono le conseguenze che stanno investendo la funzionalità del porto di Genova e che potrebbero portare a un distorsione dei traffici mercantili che sino a ieri vi approdavano, per poi proseguire verso destinazioni internazionali. Il naviglio, infatti, potrebbe rapidamente spostarsi non tanto su Livorno, quanto verso altri porti stranieri dell’Europa mediterranea.
Inoltre, oltre al danno emergente, la ridotta fruibilità del porto di Genova potrebbe avere come conseguenza un lucro cessante di valore incalcolabile. Lo scenario in pericolo, che si preannunciava enormemente favorevole all’Italia, è quello del posizionamento a Genova del terminale Mediterraneo della Nuova Via della Seta, l’enorme percorso commerciale di prodotti cinesi e di componenti industriali che il gigante orientale sta già realizzando, con la sua presenza a Gibuti, gli accordi con l’Egitto per il transito nel canale di Suez e l’acquisto del porto del Pireo.
Essendo il Pireo inadatto per il proseguimento via terra del percorso sino all’Europa centrale e occidentale, già da alcuni anni, la Cina stava valutando l’opportunità di attestare il suo terminale mercantile a Trieste, a Genova o, al limite, a Gioia Tauro. Comunque in Italia. Ma, se non si risolvono quanto prima i problemi di funzionalità del porto di Genova, la scelta italiana potrebbe essere rimessa in discussione.
Se l’attuale governo fosse meno “giacobino” e un po’ più realista si renderebbe conto che, di fronte al possibile venir meno di un’occasione di rilancio per il nostro paese come quello della Nuova Via della Seta, la proposta di “Autostrade” di ricostruire gratis il viadotto crollato in soli dodici mesi, “turandosi il naso”, potrebbe anche essere accettabile.
Foto di mattiarainieri0 da Pixabay
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