Se prima si parlava di diverse “anime” del Pd figlie dell’esperienza dell’Ulivo ora appare sempre più evidente come le due “anime” rimaste del partito democratico appaiano in completa rotta di collisione.
A questo punto, per i dirigenti del Nazareno, appare inutile continuare nella patetica pantomima di cercare di tenere unite correnti politiche sostanzialmente contrapposte.
Questo è dimostrato dal fatto che ad ogni uscita pubblica dei rispettivi rappresentanti delle due anime del partito democratico, l’antagonismo politico esplode con tesi contrapposte e accuse reciproche con minacce di scissioni.
Parlare di due anime del Pd può però sembrare riduttivo, perché alla luce dei fatti queste sono molte di più e solo per facilitarne la comprensione dei vari ondivaghi schieramenti, possiamo dividerle in due gruppi che danno la reale sensazione di preparare le fondamenta per due partiti diversi.
Da una parte abbiamo Renzi, il nemico assoluto della minoranza del partito, i ministri pd e i filo governativi, dall’altra la sinistra radicale con Fassina, i bersaniani, Cuperlo, i dalemiani e le altre correnti facenti riferimento a Pippo Civati, a Rosy Bindi e all’ex premier Letta.
Insomma un variegato fronte contrario alla politica del Premier, raccolto in una quota minoritaria del partito, che appare più conservatrice che progressista, che a parole sostiene i cambiamenti e le riforme e nei fatti ostacola il cammino risoluto del segretario Renzi.
Su una cosa però si può essere d’accordo con chi non condivide la linea del segretario del Pd: la politica e gli interventi economici non si fanno a base di “spot” politico pubblicitari, su cui Renzi ha dimostrato di essere un maestro. Anche perché soprattutto in economia le “bugie” hanno le gambe corte e si scoprono facilmente.
Tuttavia, in questo scontro è comparsa la CGIL, che memore degli antichi fasti, ha organizzato una manifestazione nazionale di contestazione alla politica renziana proprio nello stesso giorno in cui il premier parlava all’assemblea del “partito nuovo” alla Leopolda di Firenze.
I dissidenti del Pd, da Cuperlo a Civati, da Fassina a Bindi, hanno preferito però la passerella romana piuttosto che confrontarsi con il segretario in un dibattito democratico.
Ma si sa, la Leopolda è una creatura di Renzi e quindi va ostracizzata a prescindere dagli argomenti trattati.
Ovviamente andrebbe analizzato il ruolo della CGIL nei confronti del PCI prima e fino al Pd di oggi. Un sindacato sostanzialmente “politico” che per anni ha dettato legge nel mercato del lavoro italiano e nelle sue scelte non solo economiche ma anche politiche, costringendo spesso i partiti della sinistra a venire a patti, anche sapendo di sbagliare.
Vedi la riforma Dini sulle pensioni, che se approvata allora, avrebbe risparmiato la “macelleria sociale” creata dalla Fornero.
Ma si sa il sindacato una volta faceva soldi (con le tessere), raccoglieva voti e quindi era meglio non inimicarselo. Usando una frase un po’ polemica se mamma CGIL chiama, il Pd risponde.
Ma perché questa componente della sinistra del partito ancora non decide di staccarsi “dall’anomalo” segretario? Il motivo è molto semplice: perché da sondaggi effettuati per conto della minoranza questa, in caso di elezioni, non supererebbe il 5%.
Quindi nulla di nuovo sotto il sole della politica italiana. Se il centro-destra, orfano di Berlusconi, vaga a vista, tra i democratici, pur avendo un segretario eletto, che è anche Presidente del Consiglio, le cose non vanno meglio.
L’esperienza dell’Ulivo è fallita miseramente per gravi lotte intestine sempre dettate da piccole minoranze (verdi, rifondazione ecc.). Il nuovo Pd nato dalle ceneri dell’Ulivo non sembra riuscire ad avere un gruppo dirigente coeso, anche con accesi dibattiti interni come è giusto che sia quando si discute di politica.
L’infantilismo scissionista vero o presunto, di cui sinceramente i cittadini poco ne comprendono le motivazioni, resta una prerogativa dei membri di un partito, che incapaci di seguire il famoso “centralismo democratico” di togliattiana memoria, appaiono come gruppi “l’un contro l’altro armati”.
Quello attuale più che un Partito democratico, con l’orgogliosa ambizione di essere come i democratici statunitensi, appare oggi una volgare disputa di condominio.
di Enzo Di Stasio
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