Droni: le Nazioni Unite avviano un’inchiesta

droniLe Nazioni Unite hanno deciso di avviare un’inchiesta sulle conseguenze degli attacchi militari Usa attraverso l’utilizzo dei droni, assecondando la richiesta di Pakistan, Yemen, Russia, Cina e Somalia.

I droni svolgono diversi compiti, come captare conversazioni telefoniche, restituire immagini della situazione sul campo o abbattersi su target con estrema precisione grazie ad apparecchiature sofisticatissime : telecamere, intensificatori d’immagini, visori infrarossi, laser e missili a guida laser.  Ogni velivolo può rimanere in volo per 17 ore di fila, mentre un “sistema” completo (4 aerei, una stazione di controllo a terra e un link satellitare) assicura una copertura “visiva” delle zone in guerra 24 ore su 24.

Sono guidati da militari che possono trovarsi nelle zone di battaglia, ma anche a di chilometri di distanza, come nel caso dei droni che colpiscono il Pakistan (un Paese con cui gli Usa non sono in guerra, ma nelle cui zone tribali, al confine con l’Afghanistan, si trovano i santuari di Al Qaeda). I “piloti” di quegli aerei si trovano nella base Creech, nel Nevada. Solo le fasi di decollo e atterraggio vengono gestite in loco.

L’indagine, iniziata il 24 gennaio, verrà condotta da Ben Emmerson, responsabile del settore inchieste Onu sui diritti umani e Christof Heyns, special rapporteur su controterrorismo ed esecuzioni extragiudiziali e dovrà essere consegnata alla prossima assemblea Onu di ottobre. La posizione della Commissione è che “visto che la tecnologia è ormai diffusa, diventano necessarie strutture e regolamentazioni in maniera che non contrasti col diritto internazionale”. Emmerson ha precisato che lo scopo dell’inchiesta non è quello di puntare il dito contro gli Stati che usano i droni, ma quello di fornire elementi che incoraggino tali Paesi a inchieste singole indipendenti. Tradotto in termini spiccioli ciò significa che la tecnica, per quanto devastante, non sarà interdetta e che per autorizzarla basterà creare un ambiente giuridico legale che consenta ai Paesi utilizzatori di sfuggire alle sanzioni di qualche solerte magistrato della corte penale internazionale.

Le ricerche si svolgeranno a Ginevra e saranno presi in esame tutti gli “incidenti” che hanno investito la popolazione civile durante gli strike ordinati dalla Cia e dal Dipartimento della difesa statunitense.

Sebbene siano circa una dozzina i paesi che utilizzano tale strumento bellico, la maggior parte degli attacchi proviene dagli Stati Uniti, una minima parte da Israele e Gran Bretagna.

Nonostante l’amministrazione Obama continui a ribadire che gli attacchi dei droni vengono condotti “esclusivamente contro obiettivi terroristi“, purtroppo ad oggi  l’uso militare dei velivoli teleguidati sta causando un enorme numero di vittime civili, in violazione del diritto internazionale:  oltre 3.000 persone assassinate dai droni killer in Pakistan, Yemen e Somalia, di cui almeno 500 “non combattenti“, cioè donne, bambini e anziani. Secondo l’osservatorio indipendente DronesWatch di Washington almeno 97 minori sarebbero morti in Pakistan e 25 in Yemen.

I droni vengono fatti decollare da alcune basi segrete in Medio Oriente (l’ultima è stata realizzata nel 2011 nel deserto dell’Arabia Saudita) e dalle isole Seychelles, anche se ultimamente uno dei punti strategici più importanti è l’Africa. La principale infrastruttura si trova a Camp Lemonnier (Gibuti), dove risiedono più di 2.000 militari statunitensi impegnati nei conflitti che lacerano il Corno d’Africa, lo Yemen e le regioni africane nord-orientali, mentre l’aeroporto di Ouagadougou (Burkina Faso) ospita il centro di sorveglianza e intervento degli aerei.

Oltre al Burkina Faso anche Mali, Mauritania, Etiopia, Kenya, Uganda e Nigeria avrebbero concesso l’uso degli scali aerei per i decolli e gli atterraggi dei droni di US Africom, il Comando per le operazioni delle forze armate statunitensi in terra d’Africa.

Secondo indiscrezioni a breve potrebbero essere attivate altre basi in Algeria e Sud Sudan.

In quest’ottica è difficile capire la valenza morale dell’Onu .

Intanto sull’uso militare dei droni si è aperto un confronto tra il Congresso e l’amministrazione Obama che, fresco di seconda nomina, ha messo a capo della Cia John Brennan, uno degli strateghi delle nuove guerre ipertecnologiche. Otto senatori del Partito democratico e tre del Partito repubblicano hanno chiesto al Presidente di rendere pubblico il documento edito dal Dipartimento di giustizia nel 2010 che ha autorizzato le forze militari e d’intelligence all’uso dei droni per individuare e uccidere all’estero i cittadini statunitensi accusati di terrorismo.

Il Ministero della Difesa Usa ha così pubblicato un “manuale d’orientamento” onde evitare problemi. Secondo tale manuale è proibito uccidere individui per mezzo dei droni, a meno che non venga ordinato dal sottosegretario alla Difesa dopo aver  determinato che il target sia implicato in “attività” che potrebbero condurre a un “attacco violento” contro gli Stati Uniti e prosegue facendo una distinzione tra Executive Order e Presidential Order: il primo deve essere registrato per essere valido, il secondo no, perché presuppone appunto che l’attacco sia giustificato nell’interesse degli Stati Uniti.

Ciò significa che l’Executive Order assolve l’esecutore, mentre il Presidential Order l’ente ordinante.

Per capire quanto ipocrita sia tale tecnica, basti pensare che con un simile escamotage è stato assolto il petroliere Giffon, il quale aveva pagato una tangente di 80 milioni di dollari al Presidente del Kazakistan per ottenere una concessione petrolifera. Il tribunale di New York ha infatti assolto l’uomo perché “ha agito nell’interesse degli Stati Uniti d’America”. Insomma ai nostri alleati oltreoceano tutto è concesso!

di Simona Mazza

Foto: analisidifesa.it

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