Roma, Sala delle Colonne, Camera dei Deputati: “Educare a crescere – La Baby Prostituzione e i mezzi di comunicazione nell’Era della Globalizzazione”. Questo il tema affrontato durante il Convegno di lunedì 14 aprile 2014.
Massima puntualità: alle ore 17.03 il Dottor Giuseppe Trieste, presidente dell’onlus Fiaba, apre i lavori. Una sala inizialmente non gremita, si riempie pian piano di persone che silenziosamente cercano di trovare posto. Forse siamo tutti molto più vicini al tema, di quanto non avessi pensato all’inizio.
A prendere quasi subito la parola è l’onorevole Laura Coccia (Pd). Il suo discorso colpisce, fa riflettere su quella vanità fine a se stessa che inganna chi la insegue. Tutti ascoltano con attenzione. “Quella che la società ci propone è una visione distorta tanto del corpo, quanto della figura della donna. I canoni di bellezza impostati dalla collettività, sono di esseri perfetti. Ricordo che quando ero piccola, anche nell’età dell’adolescenza, se si giravano a guardarmi non era per vedere se fossi bella o brutta, ma per osservare la mia disabilità. Ciò che noi tutti dovremmo impegnarci a fare, soprattutto attraverso i mass media o qualsivoglia mezzo di comunicazione, è portare avanti politiche e veicolare messaggi che rivalutino l’essere e non l’apparire”. Un’apparenza che scompare anche sotto l’effetto dei migliori bisturi, dei più sapienti fotomontaggi. Quella stessa apparenza che alletta e illude chi non possiede i filtri giusti per valutare e ridimensionare. Quell’apparenza che bambini, adolescenti, adulti ancora più fragili imparano a conoscere, e riconoscere, a partire dal web.
È a questo proposito che interviene la Dottoressa Maria Carla Bocchino, della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato. Fa presente come la rete rappresenti un mare magnum di stimoli disparati ed incontrollati. Giovani sempre più rapidi e curiosi cercano risposte che non trovano in casa, nella nuova Bibbia del secolo. Quel testo sacro che insieme ad affermazioni considerate assiomi – è vero, è bello, è giusto, perché c’è scritto su internet – fornisce una varietà inesplorata di mondi sconosciuti. Internet è luogo fittizio di incontri, dove il virtuale diventa reale. E in molti casi è proprio il minore a fare da anello. Attraverso lo scambio forsennato di informazioni e immagini, la condivisione, necessaria e dovuta, di esperienze, immagini e filmati – se non vuoi essere ‘out’– la rete può favorire l’incontro occasionale.
Ora, pensare di poter impedire ai giovani di utilizzare un simile mezzo di comunicazione, nello stato attuale delle cose, è un po’ improbabile. Di certo si può prevenire, educare ad un corretto utilizzo del mezzo ed impegnarsi ad essere meno distratti. Fare informazione è indispensabile ad ogni singolo livello. Si può insegnare ai genitori come gestire i filtri del web, per evitare che i pc che utilizzano anche i loro figli abbiano navigazioni illimitate e superflue. Si può insegnare ai bambini, prima che diventino adolescenti smaliziati e con la conoscenza a portata di click, che la rete non è nemica e che non esistono tabù. Bisognerebbe renderli partecipi e consapevoli di quello che può accadere sul web, che è un mondo ricco di insidie, ma che come ogni mare può essere navigato. Ci vogliono solo gli strumenti giusti, quella conoscenza che manca proprio agli adulti. Come ricorda il giornalista Pietro Vultaggio, moderatore del Convegno, “nel dibattito emerge che la chiave educativa resta sempre un connubio tra casa, scuola e chiesa, con le forze dell’ordine pronte ad intervenire a tutela dei minori, i quali nel mondo dei social network possono incappare in trappole non preventivate”. La prevenzione esiste solo dove c’è cultura. Buona cultura. E informazione. Buona informazione.
È il Condirettore de ‘Il Tempo’, Sarina Biraghi, a darci il suo parare sull’argomento. “Il rapporto tra la stampa e la psicologia, si sa, non è proprio dei migliori. I giornali basano gli articoli, tanto quanto la tv basa i servizi, sulle ‘tre S’, Sesso, Soldi, Sangue. Dove ci sono quelle, c’è notizia. Ma la buona informazione è ben altro. I giornalisti sono tenuti ad osservare la Carta di Treviso del 1990, rispettando situazioni ed eventi in cui siano coinvolti i minori: a loro va la massima tutela. Ma dare la notizia, non soffermandosi su particolari scabrosi e superflui, impedendo che il minore sia riconosciuto, acquista in molte circostanze un altro significato: far riflettere”. Chi? La società. Il caso delle baby squillo dei Parioli ha portato alla luce un fattore preoccupante: la collettività odierna crea la sfacciataggine del non aver pudore. Il forsennato bisogno di rendere tutto noto diventa malattia. Le ragazzine della vicenda sono adulte fragili, spinte da una forza apparente che non le rende se stesse ma omologate, quindi forti. Dall’altra parte ci sono uomini che desiderano rimanere sempre giovani, che si affermano attraverso il denaro. Nella stessa ‘narrazione’ viene fuori l’assenza della famiglia, di padri inesistenti e madri disattente o troppo attente agli affari delle figlie piuttosto che al loro bene. “I genitori devono essere osservatori” aggiunge la Biraghi “e sono tenuti ad ascoltare soprattutto quello che i figli non dicono, anche quando sono chiusi nelle loro stanze con le cuffie nelle orecchie. Il compito di noi giornalisti e della tv è quello di fare cultura, anche laddove la società stia mutando e come accade oggi, non si capisca quale sia l’entità del mutamento”.
Una realtà variata la nostra, in uno scorrere piuttosto veloce. Giovanna Sorbelli, Presidente del movimento indipendente Eudonna, inquadra il cambiamento nell’ottica del problema di genere. Gli uomini che cercano ragazze tanto giovani, più o meno consapevoli del proprio corpo, sono uomini che cercano i più deboli, in una disperata ricerca di autoaffermazione. Si tratta di uomini che scappano da donne mature sempre più aggressive, provocatorie e indipendenti. Solo noi donne, ribadisce la Sorbelli, possiamo insegnare ad essere amate e non mercificate.
Nella foto, sopra, l’on. Laura Coccia (Pd)
Che l’inversione di tendenza sia effettiva, non è d’altronde mistero. Il termine adultescenza è stato creato proprio per identificare una persona che non si assume le responsabilità dell’età adulta, pur attraversando una fase che la psicologia definirebbe matura. Quella che noi tutti definiamo sindrome di ‘Peter Pan’. Contrariamente, osserviamo bambini che si atteggiano da adulti, quasi avessero consapevolezza dei propri atteggiamenti. Tra i dati citati durante il convegno, uno fra tutti risulta il più allarmante: 10.000-15.000 sono gli stimoli sessuali provenienti dai mass media che annualmente vengono proposti ai più giovani.
Ed è proprio questo che dovrebbe spingerci ad una riflessione: il corpo erotizzato è davvero al centro della società ed è l’unico oggetto vincente? Se ci sleghiamo dall’aspetto esteriore, possiamo comunque essere o l’altro ci vede solo in funzione del bell’apparire?
Nell’epoca dell’ipersessualizzazione incontrollata, ciò che noi tutti assumiamo da internet è utile per diventare chi vogliamo, costruendo a volte dei personaggi secondo canoni di riconoscibilità e quindi accettazione. Riesco ad affermarmi se seguo modelli accettati, seguiti e condivisi. E in fin dei conti, la storia è sempre stata la stessa. In primis ci fu il paradigma famiglia, poi scuola, infine tv, ora è il web. Che il contesto in cui cercare la propria autoaffermazione vari, in congiunzione o disgiunto dagli altri, non è un problema. La differenza è che forse la soglia del pudore risulta notevolmente più bassa. Il confine tra reale e fittizio è talmente labile che anche l’adulto, convinto di essere un abile pescatore di squali, finisce per diventare l’ignaro pesciolino che segue le correnti uniformate della rete. Figuriamoci allora quanto sia indifeso un bambino che non possiede i filtri per decodificare i messaggi. Vede, memorizza ed immagazzina ancor prima di avere pulsioni sessuali, per poi tirare fuori quelle stesse informazioni in età sempre più precoce, senza la giusta consapevolezza di utilizzo, di espressione di sé e di gestione del proprio corpo.
Ma per una tendenza, si sa, esiste sempre una contro tendenza. Se il trend vigente è quello di scardinare i valori essenziali che servono per costruire i rapporti, velocizzare le modalità di scelta fin quasi a rendere automatico ed impersonale il pensiero, credere che quello che ci circonda sia temporaneo e non duraturo, muoviamoci nella direzione opposta. Educare noi stessi, prima ancora degli altri, significa imparare ad avere coscienza di sé. Comprendere che le capacità di ognuno sono differenziate e potenziabili e che l’autoaffermazione si conquista con la sicurezza nata da conoscenza, informazione, cultura. Ricordarsi che la prima ‘agenzia d’informazione’ è la propria famiglia, anche laddove il figlio non riceva la risposta più esauriente e il genitore non ponga la domanda giusta. Capire che è la scuola a formare gli stessi ragazzi di cui la società si lamenta, e che se viene menomata, vessata, ‘tagliata’, non sarà mai una buona scuola. Domandarsi se l’informazione che leggiamo, la notizia che ascoltiamo, la tv che guardiamo rispecchi davvero quello che vorremmo essere e se così non è, chiedersi se siamo i soli a voler cambiare le cose. ‘Per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio’ dice un proverbio africano: educare non è forse questo?
Concludo con la straordinaria sorpresa che il dott. Trieste ha riservato alla platea per la chiusura del Convegno. Verso le 20.00, dopo tre ore di interventi e dibattiti, viene presentato il Professor Francisco Nisci Bruno (foto a destra), Premio Nobel per la Pace nell’85, che in un fragoroso applauso di un pubblico scattato in piedi, quasi sull’attenti, ci dice con grande umiltà ed un simpatico accento spagnolo: “l’amore è quello che ci fa dare la parte migliore di noi stessi all’altro. Non si compra, non si vende, non si guadagna: si costruisce”. La lezione che a volte tutti dimentichiamo.
Nella foto, a sinistra, Giuseppe Trieste, presidente di Fiaba
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